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L’impianto manualistico serve poco
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Bersaglieri e corazzieri
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Alberto Mario
Alberto Mario
Alberto Mario, nato a Lendinara (Rovigo) nel 1825, aveva 35 anni nel 1860, al tempo della Spedizione dei Mille. Da dodici era in esilio per motivi politici.
Nel febbraio 1848, giovane studente di legge, si era distinto nella manifestazione antiaustriaca degli universitari di Padova. Nell’agosto dello stesso anno, dopo aver assistito alla capitolazione di Milano, se ne andò esule e senza denaro fra Svizzera, Piemonte e Toscana.
Dopo la sconfitta di Novara (23 marzo 1849) partecipò alla resistenza di Bologna (8-15 maggio) per ritrovarsi a Genova a fine giugno insieme a molti rifugiati politici, tra i quali Agostino Bertani, Nino Bixio, Enrico Cosenz, Giacomo Medici, Rosolino Pilo, Carlo Pisacane. In tale contesto si avvicinò alle idee democratiche e repubblicane di Mazzini e intraprese l’attività di giornalista e scrittore che sarebbe poi diventata la sua occupazione principale. Collaborò con diversi fogli di ispirazione mazziniana, spesso senza firmare o firmando con uno pseudonimo gli articoli per evitare le ritorsioni della polizia sabauda.
Nel maggio del 1857 Mario conosce Jessie White, ufficialmente giornalista del «Daily News», in realtà fidata e determinata collaboratrice di Mazzini. Infatti Jessie, che al tempo aveva solo ventidue anni, era stata incaricata di organizzare la spedizione di Carlo Pisacane e di promuovere sollevazioni in Liguria e Toscana. Quando alla fine di giugno, il tentativo di Pisacane fallì tragicamente e i moti di Genova e Pisa furono repressi, Jessie e Alberto furono imprigionati nel carcere genovese di Sant’Andrea. Fra loro si stabilì un affetto profondo e duraturo, cementato dalle difficoltà di una vita tutta dedicata alla causa italiana. Scarcerati ed espulsi dal Regno sabaudo, i due fidanzati partirono per l’Inghilterra: si sposarono a Portsmouth il 17 dicembre 1857 e si trasferirono a Londra, in due piccolissime stanze, a due passi da Mazzini. Di lì a poco la coppia andrà negli Stati Uniti per una missione finanziata con fondi mazziniani: visitare le comunità degli emigrati e tenere un ciclo di conferenze sull’Italia.
Rientrati in Italia il 25 luglio 1859, quindici giorni dopo l’armistizio di Villafranca, i due vengono arrestati a Pontelagoscuro, sulla sponda ferrarese del Po, dove si erano recati per avere notizie sulle gravi condizioni di salute del padre e sull’arresto della sorella di Alberto. Trasportati di carcere in carcere fino a Milano, vengono poi espulsi in Svizzera.
A Lugano Mario strinse amicizia con Carlo Cattaneo e diresse, fino al marzo 1860, la rivista mazziniana «Pensiero e Azione».
Quindi, costretto a lasciare la Svizzera, si recò a Genova dove riuscì a imbarcarsi con la moglie per la Sicilia soltanto con la seconda spedizione, comandata da Giacomo Medici, che sbarcò nel golfo di Castellammare del Golfo la mattina del 18 giugno 1860. Alberto e Jessie incontrarono Garibaldi in una Palermo ormai libera. Il Generale accolse molto affettuosamente i coniugi e li tenne in gran conto: a Jessie affidò la cura dei feriti e ad Alberto l’incarico di organizzare nella città un collegio militare per i trovatelli e i giovani poveri. Dopo qualche settimana, Alberto Mario, desideroso di combattere, rinunciò al comando dell’istituto e al connesso grado di colonnello per partecipare, nella notte fra il 7 e l’8 agosto, alla rischiosissima traversata dello Stretto che portò duecento uomini scelti a sbarcare sulla costa calabra in località Alta Fiumara, eludendo la sorveglianza borbonica. Per il ruolo avuto nella presa di Reggio sarà nominato luogotenente del Generale. Con questo incarico condividerà con tutti i garibaldini l’entusiasmo per una risalita tanto rapida e vittoriosa fino al trionfale ingresso in Napoli. Qui sarà nominato dittatore pro-tempore e, mandato in missione a Ischia, riuscirà a comporre felicemente una controversia fra i notabili locali.
Al Volturno sarà testimone dell’eccezionale talento bellico di Garibaldi e avrà una nuova prova del valore delle camicie rosse. La partecipazione all’infelice spedizione di Isernia (12-21 ottobre) gli farà invece comprendere quanto sarebbe stata ancora lunga la strada per “fare gli italiani”. Nel tentativo di sedare la ribellione dei “cafoni” (i contadini fedeli ai Borboni), i garibaldini perderanno oltre duecento uomini, saranno sconfitti e, soprattutto, dovranno fare i conti sia con il risentimento popolare sia con la sufficienza dei funzionari locali, che attendono l’arrivo delle vittoriose truppe piemontesi. Infine Mario sarà presente con lo Stato Maggiore all’incontro di Teano fra il re Vittorio Emanuele e Garibaldi e al commiato che il Generale darà ai suoi volontari, imbarcandosi per Caprera, il 7 novembre.
Nello stesso mese di novembre Mario si congedò dall’esercito meridionale e si recò a Ferrara, per riabbracciare la propria famiglia, dove venne arrestato nel marzo 1861, perché si era rifiutato di allontanarsi dalla città come gli imponeva l’ordine della polizia sabauda che vietava agli esuli veneti di risiedere vicino al confine. Rilasciato, riparò nuovamente in Inghilterra e poi ancora in Svizzera, a Lugano, dove la sua intesa con Carlo Cattaneo si approfondì.
Dopo i fatti di Aspromonte Mario si mostrò più critico nei confronti di Mazzini, il suo programma divenne l’unità federale, cioè l’unità compatibile con il massimo di autonomie locali, amministrative e legislative.
Dalla fine del 1862 fino al 1866 Mario e la moglie si trasferirono a Firenze in una piccola casa sul colle di Bellosguardo. Furono anni quieti e laboriosi in cui Mario mise a punto la stesura del suo memoriale sull’impresa dei Mille, La camicia rossa, e si dedicò alla letteratura e alla critica. In quel periodo conobbe Giosuè Carducci: ne nascerà un’amicizia forte e duratura. Nel 1863, eletto a sua insaputa nel collegio di Modica, rifiutò la deputazione. Partecipò alla campagna del 1866 tra le forze garibaldine e nel 1867 alla sfortunata impresa di Mentana, che si concluse con la rotta dei garibaldini il 3 novembre. Dopo il 1870 si dedicò completamente all’attività giornalistica: diresse diverse riviste democratiche, sostenendo sempre la repubblica federale. Negli ultimi anni della sua vita ritornò a Lendinara, dove morì nel 1883. Molti suoi studi e articoli furono riuniti da Carducci, con la collaborazione della moglie Jessie, e apparvero postumi: Scritti letterari, scelti e curati da Giosuè Carducci con ritratto d’autore (1884), e Scritti politici, a cura e con proemio di Giosuè Carducci (1901).