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L’avanguardia garibaldina passa lo Stretto (A. Mario)

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Nella notte fra il 7 e l’8 agosto, mentre i soldati borbonici stanno lasciando Messina e la Sicilia, un’avanguardia garibaldina passa lo Stretto e sbarca in Calabria. Ecco il resoconto dell’impresa nella testimonianza di Alberto Mario.

Sull’imbrunire capitarono successivamente quattro ufficiali ad avvertire il Generale che le loro squadre trovavansi al luogo fissato.

– Va bene: tornate là e attendetemi.

Un quarto d’ora appresso, seguito dal generale Medici, da due aiutanti e da me, egli scese in un palischermo.

Postosi al timone, si sguizzò inavvertiti fra le molte barche, e s’entrò in un canale che serpeggia intorno alle trincee del Faro. Alla foce stava preparato un naviglio di settanta barchette e sulle ripe alcuni gruppi di gente armata; quivi fucilieri, costì cacciatori, colà guide, in silenzio, mentre sull’attigua spiaggia dello stretto riagitavansi e romoreggiavano migliaia di soldati nell’imminenza della ritirata.

Il Generale mi mandò al capo d’ogni gruppo per ordinare l’imbarco di tre uomini in ciascuna barchetta.

Ridiscesi noi a mare, le settanta navicelle circondarono il nostro palischermo. Il Generale rapidamente spartille in isquadre distinte per numeri. Ciascuna barchetta governavano quattro rematori siciliani e un timoniere. Vi ebbe nel primo istante un po’ di confusione; mancavano i revolvers, le scale d’assalto, alquanti soldati e parte della munizione.
Alfine tutto fu in punto. Quand’ecco le guide, armate di carabine, s’accorgono che le cartucce superano la portata dell’arma; se ne sparge la notizia.

– Generale, gridò il non troppo accorto comandante della spedizione, le cariche non vanno alle carabine.

Il momento era supremo; ogni indugio impossibile. Prontamente e con accento soggiogatore, Garibaldi rispose: – Fatevela a pugni!

S’udì un sì collettivo ed elettrico. Indi, ordinatomi di entrare nella barchetta del comandante, maestrevolmente sviluppò in un girar di ciglio quell’ingombro galleggiante che a foggia di spira avvolgeva la sua lancia. I tamburi avevano già battuta la ritirata. La quiete regnava profonda. Noi non udivamo che la voce di Garibaldi a intervalli, sonora, concitata, onnipotente.

O Rossi! rasentate la costa, dirigetevi sulla punta del Faro. Così egli comandava in dialetto genovese.

Rossi, genovese, capitano di mare, sedeva al timone della prima barchetta occupata dal colonnello Muss..., da Libero Stradivari, da Ergisto Bezzí e da me.

Manovrando su e giù lungo la linea, il Generale stabiliva le distanze fra barchetta e barchetta, fra squadra e squadra, e ammoniva i timonieri. Egli più a mare di noi diresse la propria lancia alla punta del Faro, disegnando una retta, e vi arrivò mentre la mia barchetta spuntava dall’ultima estremità di Cariddi, e si affacciava al nostro sguardo lo spettacolo del doppio mare.

– O Rossi!

– Generale!

– Puntate la prora su Alta Fiumara. Vicino a terra piegate a destra. Approdino tutti sulla vostra sinistra.

E volgendo la parola al corpo di spedizione:

– A voi l’onore di precedermi. L’impresa è ardita, ma ho fede in voi. Vi conosco a prova. Ci rivedremo fra poco... E intanto la piccola armata gli sfilava davanti.

Suonavano le dieci. La brezza notturna increspava leggermente il mare; le correnti dello stretto ci spingevano alquanto fuori della bocca del canale, onde timoneggiando verso il punto fisso, l’avventurosa flottiglia formava un arco stupendo, che io dalla mia barca in testa di colonna vedevo mano mano disegnarsi. La notte era stellata e senza vento, e fantastici volumi di nuvole coprendo la luna, spandevano una oscurità propizia sul nostro passaggio. Il timoniere coll’acuto occhio marinaro aveva a tutta prima ravvisati due legni borbonici della crociera, i quali, passando sotto l’Alta Fiumara, muovevano alla volta di Scilla. Verso il mezzo dello Stretto la luce rossa dei fanali e il distinto brontolio del vapore che scaricava dal minor tubo, ci segnalavano due o tre altre navi da guerra nemiche. […] 


Durante la traversata l’avvistamento di una “massa nera”, che i rematori scambiano per un vapore nemico, crea un po’ di scompiglio. Ma fortunatamente quando li raggiunge…  


– Un brigantino mercantile, proruppero in coro i rematori.

– Un brigantino, un brigantino! – s’udì ripetere su tutta la linea: e il brigantino col vento in poppa e a vele spiegate tragittando a qualche metro da noi nel più alto silenzio, piegò verso l’ovest, e si perdette rapidamente nell’oscurità. Rinfrancatisi, i marinai si diedero a vogare a tutta lena.

– Quelle tre luci rosse costà, osservò uno di loro indicando colla mano due più alte e la terza più bassa, sono due vapori e una cannoniera. Li notammo partendo. Se ci veggono siamo a tiro.

Ancora un quarto d’ora e la spiaggia calabrese ci si offerse alla vista come una livida striscia sull’onda bruna. Avanti! comandò Rossi a’ marinai; cacciate la prora nel lido. E vôlto a noi: Seduti, signori.

Indi con forza a mezza voce, ai primi: Voga, voga! Ed ecco la prora penetrar con violenza nella sabbia della riva. Desideroso di toccare per primo il suolo di Calabria, spiccai prestamente un salto e fui a terra, ma il sottotenente Bezzi divise meco quella priorità. In pochi minuti approdarono successivamente le settanta barchette a mancina della nostra: poscia, vuote dei soldati e delle scale, spesseggiarono al Faro.

Su quel ponte invisibile traversarono lo stretto duecentodieci garibaldini. 
 


Da Mario A., La camicia rossa, 1° episodio “Il ponte invisibile”, Edizioni Antilia, Treviso 2011. Il testo è consultabile per intero qui
 


Guida alla Lettura

 

Consulta l’unità Lo sbarco garibaldino in Calabria: carta geografica.

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