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Glossario

Aristocrazia

Classe sociale tipica di una società monarchica che riceve le proprie ricchezze e il proprio potere come diritto di nascita. Erede delle classi dominanti del passato, in Europa rimase la classe dominante fino a tutto l’Ottocento in quanto era proprietaria della maggior parte delle terre e occupava le più alte cariche nella gerarchia militare, ecclesiastica e politica.
Chi nasce nobile rimane tale fino alla morte, anche nel caso in cui perda il potere economico-politico; è possibile invece diventare nobili, ma solo in rari casi, per concessione di un sovrano in seguito a meriti politici, sociali o culturali.
Nell’Ottocento, molti nobili italiani rimasero fedeli ai loro sovrani preunitari e si opposero alle idee liberali, ma molti altri parteciparono attivamente alle lotte risorgimentali perché capivano di avere interesse alla formazione di uno Stato liberale: infatti la Costituzione avrebbe limitato il potere assoluto del sovrano e, in un Parlamento eletto con un suffragio riservato alle classi più ricche, l’élite privilegiata degli aristocratici avrebbe sempre avuto la maggioranza.

Assolutismo

[vedi anche monarchia (assoluta)]


Con assolutismo si definisce una teoria politica e, di conseguenza, una forma di governo dello Stato in cui il potere è accentrato nelle mani del sovrano che può esercitarlo in maniera assoluta, cioè senza alcun contrappeso e senza alcun vincolo di garanzia nei confronti dei sudditi, in quanto ne è stato investito direttamente da Dio. Tale pratica deriva la sua forza dalla concezione del diritto divino del sovrano elaborata dal filosofo e giurista francese Jean Bodin (1529-1596) e sostenuta dal filosofo e matematico inglese Thomas Hobbes (1588-1679).
Nel XVII secolo l’esigenza di mantenere eserciti permanenti e di imporre tributi in modo sistematico favorì la nascita dell’assolutismo monarchico che si affermò in Francia con il lungo regno (1643-1715) di Luigi XIV, detto il Re Sole. La monarchia assoluta si diffuse poi in altri Paesi dell’Europa continentale, nel Settecento ne furono interpreti significativi: Federico II di Prussia, che regnò dal 1740 al 1786 (data della morte), Caterina II, zarina di Russia dal 1762 al 1796. Entrambi, così come l’imperatrice Maria Teresa d’Austria (1717-1790) e il figlio Giuseppe II (1741-1790), pur mantenendo un governo autocratico, introdussero riforme che migliorarono la vita quotidiana dei loro sudditi e favorirono lo sviluppo delle lettere e delle arti, meritandosi l’appellativo di despoti illuminati.
Per altro il termine assolutismo cominciò a essere utilizzato solo nel XIX secolo, quando la cosiddetta “Età dell’assolutismo” era ormai tramontata.

Barricata

Con barricata si intende una barriera improvvisata, costruita con materiali e oggetti vari e voluminosi per ostacolare e impedire il passaggio del nemico. Il termine deriva da barriques e designa quelle botti di legno che, durante la Rivoluzione francese, venivano riempite con terra o detriti e venivano usate per creare tali barriere.
Durante i combattimenti nei centri abitati le barricate sono sempre state un elemento decisivo: costruite in genere dai cittadini in lotta contro truppe regolari (soldati, gendarmi, polizia...) permettevano di difendersi e ostacolavano le manovre dei militari. Potevano essere costruite soprattutto nei centri storici di origine medievale, con strade strette e edifici fitti. Tant’è vero che molti interventi urbanistici dell’Ottocento furono progettati per ampliare i viali e le piazze in modo da rendere impossibile la costruzione di barricate. L’intervento più famoso fu quello affidato da Napoleone III a Haussman a Parigi, ma in tutte le città europee furono adottati piani urbanistici simili.

Bipartitismo

Per bipartitismo si intende un sistema elettorale, proprio di alcune democrazie parlamentari, dove il panorama politico è dominato da due partiti principali, che si alternano al governo. Grazie al metodo “maggioritario” il partito che ha raggiunto la maggioranza relativa dei voti, può governare da solo.
Tra i vari sistemi, è stato a lungo considerato quello che consente il miglior funzionamento delle istituzioni rappresentative. Di questo avviso furono nel Risorgimento anche tre patrioti che andarono esuli in Inghilterra: Ugo Foscolo, Giuseppe Pecchio e Giuseppe Mazzini.

Borghesia

È la classe sociale che ricava il proprio reddito non tanto dalla rendita agricola, come la nobiltà, ma specialmente da attività professionali non manuali effettivamente svolte nel commercio, nell’industria, nelle libere professioni, negli enti pubblici.
La disponibilità economica permette ai membri di questa classe di aver accesso alla cultura, di partecipare alla vita politica e di godere di uno stile di vita benestante. Il desiderio di difendere e potenziare le proprie conquiste sociali porta molti membri di questa classe a schierarsi su posizioni conservatrici, ma è anche vero che quasi tutte le innovazioni in campo scientifico, tecnico, economico, politico e culturale sono opera di borghesi, dato che essi costituiscono la parte colta della società.
Nella società occidentale odierna i sociologi, al posto di “borghesia”, utilizzano piuttosto il termine “ceto medio” per indicare quel continuum sociale che, per reddito e stile di vita, comprende la maggior parte della popolazione, con l’esclusione dell’élite privilegiata e delle fasce più povere. Nell’Ottocento, invece, la borghesia era più limitata e con caratteristiche e privilegi molto evidenti.
Il termine deriva dalla parola “borgo” che in Età medievale indicava la città. Borghese era quindi chi abitava nel centro della città e non nel castello e praticava un libero mestiere. Almeno in origine il borghese non poteva usare le armi (riservate alla nobiltà), per cui anche oggi il termine è usato per indicare chi non veste una divisa.
La borghesia fu la classe sociale che più contribuì al processo di unificazione dell’Italia in particolare perché negli stati preunitari il suo potere politico era scarsissimo. Per questo molti borghesi volevano la fine delle monarchie assolute e dei privilegi nobiliari, chiedevano una Costituzione che garantisse il diritto di voto non solo alle fasce più ricche della popolazione e vedevano con favore la formazione di un mercato unitario in tutta la penisola che ne facilitasse lo sviluppo economico.

Brigantaggio

Con il termine brigantaggio si definisce un tipo di banditismo caratterizzato da azioni violente, per esempio la rapina a scopo di estorsione, che in talune circostanze può assumere forme insurrezionali e avanzare rivendicazioni politiche e/o sociali.
Tuttavia nella storiografia italiana con questo termine abitualmente si fa riferimento alle bande armate che erano presenti nelle regioni meridionali tra la fine del Settecento e il 1870 circa. In particolare ci si riferisce alla rivolta che nel primo decennio successivo alla proclamazione del Regno d’Italia divampò per tutto il Mezzogiorno, una vera rivoluzione e una sorta di guerra civile che l’esercito del neonato Stato italiano faticò non poco per reprimere, nonostante leggi e provvedimenti speciali.
Per altro, l’attività brigantesca, fomentata in Età napoleonica contro i francesi dai Borboni e dalla Chiesa, era già stata duramente repressa durante il Regno di Napoli, al tempo di Gioacchino Murat, come ci testimonia Pietro Colletta nel suo saggio, Storia del Reame di Napoli dal 1734 al 1825.

Classe popolare

Costituisce lo stato sociale che dispone di minori risorse sul piano economico e su quello culturale e, di conseguenza, anche su quello sociale e politico. Fanno parte di questa classe i lavoratori manuali impiegati in agricoltura (contadini e braccianti), nell’industria (operai) e nell’artigianato, nel commercio e nei servizi (facchini, domestici, inservienti ecc.), cioè quelli che, secondo l’analisi marxiana, sono il proletariato. Ma in questa classe può essere collocato anche il sottoproletariato, cioè quella parte povera della popolazione che non è direttamente impiegata nel lavoro o non lo è più, come i disoccupati, gli invalidi o chi svolge attività al limite della legge (imbonitori che nelle fiere vendevano i loro prodotti fasulli, mendicanti di professione, prostitute, ladruncoli).
In passato (e oggi nelle società non sviluppate) le classi povere, oppresse dal lavoro, analfabete e prive di diritti, costituivano la stragrande maggioranza della popolazione. Oggi nelle società sviluppate il loro numero è diminuito e comunque le loro condizioni di vita sono migliorate.
Nel complesso il mondo delle campagne rimase estraneo se non addirittura ostile al processo risorgimentale, dato che i suoi motivi (l’indipendenza dall’Austria, l’unità della patria, un mercato unificato in tutta la penisola) erano assolutamente lontani dagli interessi dei contadini e gli ideali del Romanticismo erano sconosciuti e incomprensibili per persone completamente analfabete, soggette inoltre alla propaganda antiliberale della Chiesa. I contadini si opposero ancora più al nuovo Stato unitario che peggiorò ulteriormente le loro condizioni di vita con nuove tasse, la coscrizione obbligatoria, la perdita del diritto di usare le terre comuni, la repressione feroce di chi veniva chiamato brigante.
Invece è possibile trovare molti lavoratori manuali urbani sulle barricate delle città, sui campi di battaglia delle guerre di indipendenza e tra i volontari di Garibaldi. La loro partecipazione era dovuta specialmente alla propaganda mazziniana che sosteneva che il popolo dovesse prendere coscienza di sé, liberandosi dalla povertà e dall’ignoranza e per questo invitava i lavoratori a organizzarsi in Società di Mutuo Soccorso. Molti lavoratori urbani aderirono al partito democratico-repubblicano e alle sue iniziative, anche se gli obiettivi risorgimentali non erano certo l’interesse principale di queste persone. In effetti, quando l’unità e l’indipendenza furono raggiunte, le classi lavoratrici non ne ebbero nessun vantaggio.

Classe sociale

Gruppo di persone all’interno di una società che hanno caratteristiche simili dal punto di vista economico, politico, culturale, delle attività svolte e del tenore di vita. I membri di ogni classe occupano posizioni diverse, superiori o inferiori, all’interno della gerarchia dei rapporti sociali.

Cosmopolitismo

Il termine cosmopolitismo deriva dal greco (kòsmos, «mondo», e polìtes, «cittadino«, cui si aggiunge il suffisso italiano -ismo) e significa «essere e/o sentirsi cittadini del mondo». Questo sentimento diventa un modo di pensare che si diffonde nel Settecento, quando gli uomini si riconoscono uguali per diritto (o legge di natura), al di là delle differenze, e fratelli nell’universo, oltre le barriere degli stati.
Con la Restaurazione sancita dal Congresso di Vienna (1815), i principi illuministi del cosmopolitismo e della Rivoluzione francese continuano a circolare in tutta Europa, attraverso le sette massoniche e carbonare che facevano capo a Filippo Buonarroti. Sono questi principi, tradotti nella richiesta di una Carta costituzionale, a guidare i moti liberali che, nel 1820-1821, coinvolgono molti paesi europei: Spagna e Portogallo, Regno delle Due Sicilie, Piemonte e Grecia.
Successivamente Mazzini, con la fondazione della Giovane Europa (1834), va oltre questa dimensione individuale e generica di cosmopolitismo, per indicare come le diverse organizzazioni nazionali, impegnandosi a operare per la libertà e l’indipendenza del proprio popolo, avrebbero contribuito nei fatti allo sviluppo democratico in Europa e al progresso dell’umanità.
Cosmopolita è, dunque, il cittadino del mondo dal greco polìtes e kósmos, al quale interessa che la sua patria non sia un’entità esclusiva, ma uno Stato che assicuri libertà e felicità ai suoi cittadini.

Costituente

Con questo termine si intende l’Assemblea costituente che, secondo la tradizione dell’Assemblea nella Grecia antica, diventa il punto di riferimento politico e normativo dei democratici nel Risorgimento italiano.
Costituente diventa infatti dal 1848-1849 la parola d’ordine per rilanciarne il movimento. Sempre scritta con la maiuscola, è un’idea che viene personificata e fatta oggetto della venerazione riservata alla Madonna e che viene diffusa mediaticamente attraverso una serie di immagini femminili.

Costituzione

Con costituzione si intende l’insieme dei principi che definiscono le caratteristiche, la struttura, l’attività e le regole di un’organizzazione. Il termine oggi è abitualmente usato per definire la legge fondamentale di uno Stato, la fonte principale, da cui deriva la legalità di tutte le altre leggi e dei vari regolamenti.
Dall’Illuminismo e dalla Rivoluzione francese è derivata l’accezione che collega il termine costituzione a un sistema strutturato secondo la separazione dei poteri: legislativo, esecutivo e giudiziario.
Nell’Ottocento i liberali riconoscevano le condizioni necessarie per ogni forma di governo legittimo nella Carta costituzionale, come garanzia delle libertà individuali e dei diritti dei cittadini, e nel sistema rappresentativo che, attraverso il voto, era l’espressione della sovranità popolare.
Secondo i democratici la Costituzione doveva essere elaborata da un’Assemblea costituente eletta a suffragio universale (maschile) e, quindi, piena espressione della sovranità popolare, mentre per i moderati la carta costituzionale poteva essere elargita come concessione del sovrano. 
Nel Risorgimento italiano un esempio del primo tipo è rappresentato dalla Costituzione della Repubblica Romana che, promulgata il 2 luglio 1849, non divenne mai operativa, mentre un esempio del secondo tipo è riscontrabile nello Statuto Albertino, carta costituzionale del Regno di Sardegna dal 1848 al 1861 e del Regno d’Italia dalla sua proclamazione (17 marzo 1861) fino all’avvento della Repubblica e all’entrata in vigore della Costituzione repubblicana, il 1° gennaio 1948.

Democratici/Corrente democratica repubblicana

I democratici, così come i liberali, sostenevano tutte le libertà di tipo individuale, ovvero libertà di pensiero, di azione, di parola, di associazione. Si differenziavano invece dai liberali per la grande importanza che attribuivano alla sovranità popolare, all’uguaglianza e alla giustizia sociale. In particolare ritenevano che l’Italia dovesse conquistare la sua indipendenza e la sua unità attraverso un’insurrezione nazionale con la partecipazione della popolazione. Non si fidavano delle monarchie e dei regnanti italiani che in varie occasioni (dal 1820 al 1848-1849) avevano concesso e poi ritirato la Carta costituzionale. Pensavano invece a una “nuova Italia” come a una repubblica fondata sulla sovranità popolare, che doveva esprimersi attraverso un’assemblea rappresentativa eletta a suffragio universale.

Destra e Sinistra

 

Nel dibattito politico degli ultimi decenni ricorrono spesso i termini Destra e Sinistra.

Questi due termini sono nati insieme al primo parlamento italiano nel 1861. 

Destra e Sinistra facevano riferimento ai banchi del parlamento in cui si sedettero alla prima seduta parlamentare i due schieramenti. Il significato che nell’Ottocento avevano i termini Destra e Sinistra era però molto diverso dal significato che gli stessi termini hanno assunto nel Novecento, quando il riferimento degli schieramenti si è identificato con partiti dalle forti strutture. Per questo nei testi di storia, quando si parla della Destra e della Sinistra nell’Ottocento, spesso si aggiunge l’aggettivo storica ai due termini. 

Nel primo parlamento del Regno d’Italia, i deputati eletti erano in gran parte nobili, avvocati, professionisti, ufficiali. Si riconoscevano in idee e schieramenti politici diversi, Destra e Sinistra, anche se erano espressione dei ceti sociali più agiati (i soli che avessero al tempo diritto al voto) e costituivano un gruppo dirigente ristretto. 

Dittatura

Con dittatura oggi si intende una forma autoritaria di governo in cui il potere è accentrato in un solo organo, di solito nelle mani di una sola persona, il dittatore appunto, che lo gestisce a sua discrezione, non essendo limitato dalle leggi e dai vincoli imposti da una Carta costituzionale né da altri fattori che possano fungere da controllo e contrappeso. La connotazione negativa del termine è dovuta soprattutto all’esperienza di dittature sanguinarie nel XX e nel XXI secolo in Europa e nel mondo.
Con questo termine nell’antica Roma si designava una carica pubblica di durata determinata (sei mesi) alla quale si ricorreva prevalentemente in tempo di guerra, quando era necessario che fosse una sola persona a guidare l’esercito e ad assumere le opportune decisioni. Si trattava di una carica a tempo sempre revocabile dal Senato.
Nell’Ottocento l’uso del termine dittatore non aveva, come ai tempi dell’antica istituzione romana, una connotazione negativa, anzi figure come George Washington, Simón Bolívar e Garibaldi ne furono interpreti positivi. L’esempio paradigmatico è proprio quello di Garibaldi che, assunta la dittatura in nome e per conto dell’Italia e di Vittorio Emanuele (vedi il proclama di Salemi), consegnò al re tutti i territori conquistati/liberati per ritirarsi a Caprera come un novello Cincinnato.

Esercito meridionale/I Mille/Garibaldini

[vedi anche volontari]
Che cosa si intende quando si dice “i Mille”? I garibaldini partiti da Quarto nella notte fra il 5 e il 6 maggio 1860? Oppure l’intero esercito di volontari che, al comando di Garibaldi e al grido di Italia e Vittorio Emanuele, compì in pochi mesi l’impresa di rovesciare la dinastia dei Borbone dal Regno delle Due Sicilie, unendo l’intero Meridione a quello che di lì a poco (17 marzo 1861) sarebbe diventato il Regno d’Italia?
In senso proprio “I Mille” sono soltanto quei 1089 garibaldini che sbarcarono a Marsala l’11 maggio 1860. Il dato venne stabilito a conclusione del lavoro di una Commissione incaricata di accertare numero e nominativi dei Mille per assegnare loro una medaglia e, secondo una legge del 1865, una pensione annua di 1000 lire.
Ma a quel primo contingente si aggiunsero numerosissimi volontari siciliani, calabresi, napoletani e successive spedizioni da Genova che ingrossarono di molte migliaia – con giovani provenienti dalle diverse regioni italiane e da paesi stranieri – quello che venne e viene propriamente definito come “esercito meridionale”. Tra gli stranieri i più numerosi erano gli ungheresi, circa cinquecento, raggruppati nella  brigata comandata dal colonnello Eber.
Mentre molti “picciotti” siciliani correvano ad arruolarsi con Garibaldi, Agostino Bertani organizzava dalla città ligure l’invio di circa 20.000 “camicie rosse”. Si calcola che i combattenti fossero circa 50.000 quando l’11 novembre 1860, venne sancito con decreto regio lo scioglimento dell’esercito meridionale.
Garibaldini è invece un’accezione più ampia con la quale vengono identificati i volontari che si arruolarono con Garibaldi nelle diverse fasi risorgimentali, a fianco dell’esercito regolare – come nella Seconda e nella Terza guerra d’indipendenza – o in contrasto con questo, come per esempio nell’episodio dell’Aspromonte.
Passati alla storia come “camicie rosse” i garibaldini per lo più non vestivano uniformi definite e regolate.
I Mille partiti da Quarto indossavano i propri normali vestiti. In tale occasione la stoffa rossa era bastata solo per poche centinaia di divise che furono indossate dagli ufficiali e dai soldati più vicini al Generale come elemento di riconoscimento sul campo di battaglia.

Esercito settentrionale

Con tale definizione si intende l’esercito del neonato Regno d’Italia che intervenne nelle ultime fasi della Spedizione dei Mille con lo scopo dichiarato di ricevere il Regno delle Due Sicilie da Garibaldi e, nello stesso tempo, di impedire al generale di sconfinare nel regno pontificio tentando una nuova impresa per la conquista di Roma.
Il nuovo esercito, caratterizzato da una divisa con tunica o giubba blu, fu costituito su mandato regio, dal generale Manfredo Fanti che, divenuto nel gennaio del 1860 ministro della Guerra, venne incaricato di fondere in un’unica armata il vecchio esercito sardo e l’esercito della Lega dell’Italia Centrale, che si era formato dopo l’armistizio di Villafranca (11 luglio 1859) con uomini provenienti dalle truppe del Granducato di Toscana, del Ducato di Parma, del Ducato di Modena e della Legazione delle Romagne. Nel nuovo organismo militare vennero inquadrati circa 50.000 uomini dei diversi corpi, al comando di oltre 7000 ufficiali. Al Sud venne inviata una spedizione che, costituita da cinque divisioni e comandata dallo stesso Fanti e dal generale Cialdini, evitò di passare per il Lazio, tutelato dalle truppe francesi di Napoleone III, ma attraversò le Marche e l’Umbria, sconfiggendo le truppe pontificie a Castelfidardo (18 settembre 1860), Loreto e Ancona, e conquistando le due regioni. L’esercito di Cialdini, dopo gli scontri sostenuti nel territorio dello Stato Pontificio, fu protagonista della conquista di Capua e di Gaeta.

Esule/Esilio

Il termine esule deriva dal latino exilium, composto dal prefisso ex- «fuori» e solum «terra»: significa quindi «chi è lontano, chi va via dalla (propria) terra». L’esilio, cioè l’allontanamento dalla patria, può essere una pena imposta, una condanna comminata dall’autorità giudiziaria oppure una scelta a cui l’esule si sente obbligato per sottrarsi a persecuzioni e per poter continuare a esercitare alcuni diritti, per esempio quello di libera espressione e associazione, che nel suo paese d’origine non gli sono più garantiti.
Nel Risorgimento italiano si incontrano figure di entrambi i tipi: da Mazzini e Garibaldi, condannati a morte in contumacia, a Ugo Foscolo che con il ritorno dell’amministrazione austriaca (1814) preferì chiedere asilo politico in Inghilterra, piuttosto che restare a servire il nuovo governo.
Nell’Ottocento la funzione degli esuli fu determinante per la circolazione delle idee liberali e per l’affermazione di un’opinione pubblica favorevole all’unità e all’indipendenza dell’Italia.
Ai protagonisti di quella migrazione politica, che si articolò in fasi successive, corrispondenti ai fallimenti dei moti rivoluzionari e che si distribuì in differenti paesi, a quei fuoriusciti italiani possono oggi essere paragonati i rifugiati politici e i richiedenti asilo che arrivano nel nostro paese.

Federalismo/Stato federale

Con federalismo si intende un sistema politico, in cui entità territoriali autonome, per lo più stati, che hanno tradizioni e interessi comuni, si uniscono attraverso un patto che stabilisce criteri e vincoli dell’alleanza (dal latino foedus, «patto», «alleanza»). L’unità che viene così a configurarsi si definisce federazione, se si basa su una Costituzione condivisa e su un governo comune, o confederazione se il patto non si fonda su questi presupposti. Il termine federalismo designa inoltre la concezione che ispira tale sistema e il movimento politico che lo propugna e federalisti sono detti i suoi sostenitori.
Con il termine federalismo fiscale, oggi entrato nell’uso quotidiano, si intende invece un sistema decentrato di riscossione delle imposte, nel quale sono gli enti locali a gestire le entrate per conto dell’amministrazione centrale, a cui ne viene comunque devoluta una parte.
Lo Stato federale compare per la prima volta con la fondazione degli Stati Uniti d’America, dopo la guerra di indipendenza delle tredici colonie inglesi (1775-1783): la Costituzione, approvata nel 1787 da un Congresso provvisorio, ne sancì la nascita. Essa prevedeva, infatti, una federazione di stati indipendenti e autonomi, che delegavano a un governo federale alcuni compiti essenziali, come la politica estera e la guida di un esercito per la difesa nazionale, mentre i governi di ogni singolo Stato si assumevano l’incarico di assolvere a tutti gli altri compiti. 
Nasceva un tipo di governo democratico che, secondo le regole della sovranità popolare, permetteva la convivenza di diversi livelli di governo: l’autogoverno di stati più piccoli, affiancato a un governo centrale con compiti generali, ma circoscritti. La pluralità dei centri di potere garantiva autonomia e libertà di scelta alle realtà territoriali più piccole, ma insieme permetteva la sicurezza e la protezione da parte di un potere.
Carlo Cattaneo (Milano 1801 – Lugano 1869) è considerato l’iniziatore del pensiero federalista in Italia. Di formazione illuminista, pragmatico e repubblicano, è favorevole a una federazione di stati italiani che, sul modello della confederazione elvetica, favorisca lo sviluppo graduale delle diverse regioni e ne valorizzi le specificità, salvaguardando le autonomie locali. La sua ipotesi risulterà sconfitta: nel Risorgimento si affermerà infatti la soluzione unitaria e centralista sotto la guida della monarchia sabauda.

Filantropia/Beneficenza

Nel corso dell’Ottocento esistevano forme molto ridotte di servizi sociali per i più poveri. Nei secoli precedenti era stata soprattutto la Chiesa a provvedere a orfani, vedove, malati, invalidi ecc.
Dall’Età napoleonica le istituzioni ecclesiastiche che si occupavano di assistenza ai bisognosi furono via via soppresse e i loro beni confiscati. Anche il Regno di Sardegna dalla metà dell’Ottocento e poi il Regno d’Italia adottarono la stessa politica. Durante il Risorgimento e negli anni successivi all’unità d’Italia ci furono molte donne appartenenti all’aristocrazia e alla borghesia di ideali liberali e umanitari a realizzare iniziative e istituzioni assistenziali e educative per i poveri, i vecchi soli, i bambini delle classi più umili, le ragazze madri, gli orfani, gli invalidi, le prostitute, i carcerati. Cristina Belgioioso, Laura Solera Mantegazza, Alessandrina Ravizza, Alice Hallgarten Franchetti, Ersilia Majno, e altre realizzarono asili, scuole professionali, orfanotrofi, mense, pensionati, istituti di recupero: enti che rappresentavano un primo nucleo di quei servizi garantiti dallo Stato, che nel Novecento caratterizzerà la maggior parte dei paesi sviluppati e sarà denominato welfare.

Forze armate

Con questo termine si indica di solito il complesso di uomini e mezzi organizzati militarmente per la difesa dello Stato. Le forze armate comprendono l’Esercito, la Marina e, dopo l’invenzione dell’aeroplano, l’Aviazione. Ciascuna delle tre armi citate si articola in corpi che sono denominati in modo diverso nei differenti paesi in relazione alla storia e alla tradizione: cavalleria, fanteria, artiglieria, carabinieri, bersaglieri, corazzieri, alpini, dragoni, ussari, zuavi, marines ecc.

Guerra

Per guerra si intende normalmente l’insieme delle operazioni militari di un conflitto tra due stati o due schieramenti di più stati alleati tra loro. Una guerra può essere circoscritta alle zone di confine tra gli stati o agli schieramenti nemici oppure può implicare l’invasione da parte dell’esercito più forte del territorio nemico.
Fino al Novecento l’inizio di una guerra era preceduto da una serie di passi diplomatici: ultimatum, consegna della dichiarazione di guerra da parte degli ambasciatori al governo avversario con l’indicazione della data di inizio delle ostilità. Nella seconda metà del Novecento, però molte guerre sono state scatenate con attacchi improvvisi, senza preavviso.
Una guerra che implichi lo spiegamento di forze su diversi fronti si articola in campagne, gestite ciascuna da un corpo di spedizione differente con un distinto Stato Maggiore, che raccoglie i comandanti di più alto grado per quel fronte. Si parla di guerra aerea, navale, terrestre a seconda dello scenario prevalente. Si parla invece di guerra atomica, batteriologica, chimica, nucleare (e persino doganale) a seconda del tipo di “armi” usate o previste. La guerra fredda, che ha caratterizzato l’Europa e il mondo dalla fine della Seconda guerra mondiale fino alla fine dell’URSS, è stato un conflitto giocato soprattutto sul piano economico, tecnico, diplomatico, con ridotti confronti militari su teatri di guerra (cioè zone) locali o regionali.
Guerra lampo, guerra di posizione, di logoramento sono termini che fanno invece riferimento alle scelte tattiche e strategiche di conduzione della guerra.
Se si fa riferimento alla vastità del conflitto si distinguono guerre locali, regionali o mondiali. Se si fa riferimento invece allo scopo le guerre possono essere di conquista, di indipendenza, di liberazione, di successione, di sterminio o sante, come le crociate o il jihad.
La guerra civile è una guerra che vede contrapposti schieramenti di cittadini o sudditi appartenenti allo stesso Stato o paese divisi da scelte politiche o religiose differenti e percepite come inconciliabili. La parola civile non fa riferimento all’etica o alla correttezza del conflitto (che anzi di solito è molto aspro), ma viene dal latino civis («cittadino») e indica appunto un conflitto tra cittadini di uno stesso Stato. Un particolare tipo di guerra civile è la guerra di secessione in cui uno dei contendenti mira a separarsi dallo Stato di cui fa parte.
L’armistizio è la sospensione temporanea di una guerra siglato tra i contendenti: a volte dopo mesi o anni il conflitto riprende, a volte si procede verso un trattato di pace che pone fine alla guerra.

Guerriglia

La guerriglia è una modalità di combattere che rifiuta le forme tipiche degli eserciti regolari. Tra i guerriglieri non c’è una carriera definita, si diventa comandanti per l’abilità e il coraggio dimostrati.
Fino all’Ottocento le manovre militari in battaglia si svolgevano con reparti di soldati ben definiti, secondo schieramenti prevedibili (in linea, in colonna, in catena, in quadrato) regolati dalla tradizione e variati, di poco, sul campo di battaglia a seconda della situazione. I guerriglieri si muovevano invece in raggruppamenti variabili, con manovre rapide e imprevedibili, attacchi notturni, sabotaggi ecc.
La guerriglia è la tecnica militare adottata di solito durante l’occupazione del proprio paese da parte di un esercito invasore. anche tipica delle guerre di liberazione.

Impero

Con impero si intende un organismo politico costituito da un insieme esteso di territori e da tanti popoli differenti per lingua, storia, tradizioni. È guidato da un sovrano, che porta il titolo di imperatore. Il termine deriva dal latino imperium che significa potere militare e coercitivo.
Storicamente il primo punto di riferimento è proprio l’antico Impero romano: ad esso infatti si richiamò Carlo Magno come fondatore del Sacro Romano Impero e ad esso si richiamavano gli appellativi dell’imperatore tedesco Kaiser, e dell’imperatore russo Czar, entrambe traduzioni di “Cesare”.
L’impero di per sé era un’istituzione politica autoritaria che offriva però altri vantaggi in sostituzione dell’assenza di libertà: l’Impero austriaco, considerato “l’impero perfetto”, era multietnico e multiculturale, perché aveva mantenuto per secoli forme di tolleranza che consentivano la convivenza di popoli diversi. Solo l’affermarsi dell’idea di nazione nell’Ottocento e la lotta per i diritti politici nati con la Rivoluzione francese scatenarono le lotte per l’indipendenza delle nazionalità presenti al suo interno, che lo fecero implodere.

Internazionale liberale

Con questa espressione alcuni storici hanno recentemente definito la nascita e il consolidarsi di una rete transnazionale fra i tanti esuli europei che parteciparono al triennio rivoluzionario spagnolo (Triennio liberal, 1820-1823), un movimento di idee e di persone che trasformò le preesistenti società segrete diffuse sul territorio europeo in una sorta di “santa alleanza dei popoli” in grado di sovvertire il quadro politico e istituzionale definito dal Congresso di Vienna.

Irredentismo

Con questo termine si definisce l'aspirazione e la volontà di un popolo circa il completamento della propria unità territoriale nazionale, sulla base di un’identità etnico-linguistica e di tradizioni storiche comuni, con l’acquisizione di terre soggette al dominio straniero (che vengono dette terre irredente).
Storicamente l’irredentismo nasce in Italia dopo la cosiddetta Terza guerra d’indipendenza nel 1866. Per questo motivo il termine è stato acquisito nella forma italiana in altre lingue.
Questo movimento democratico e insieme nazionalista lottava per far rientrare nello Stato italiano liberale quelle regioni, prevalentemente di lingua e cultura italiana, rimaste sotto il dominio dell’Impero austriaco.
La rivendicazione di Trento e Trieste come città italiane avrà il suo cruento compimento nella Prima guerra mondiale (1914-1918), quando l’Italia scenderà in campo a fianco dell’Intesa (Francia, Gran Bretagna e Russia) e contro gli Imperi centrali, ovvero Il Reich tedesco, l’Impero asburgico (Austria-Ungheria), l’Impero ottomano e il Regno di Bulgaria.

Liberalismo

Il liberalismo, secondo i principi affermati dalle Rivoluzioni americana e francese, individuava le condizioni necessarie per ogni forma di governo legittimo nella Carta costituzionale, come garanzia delle libertà individuali e dei diritti dei cittadini, e nel sistema rappresentativo che, attraverso il voto, era l’espressione della sovranità popolare. Gli ideali di riferimento del liberalismo politico erano dunque rappresentati da questi elementi: Costituzione, Parlamento e partecipazione dei cittadini all’amministrazione e al governo, diritto all’autodeterminazione dei popoli. La volontà popolare con insurrezioni dal basso avrebbe infatti generato nazioni libere, indipendenti e “sorelle” nelle garanzie sancite dalla Carta costituzionale.
Dal punto di vista economico il liberalismo sosteneva il libero commercio (e la correlata abolizione delle barriere doganali) come fonte di benessere e fattore di sviluppo sociale. Tra i suoi sostenitori: Giuseppe Pecchio e Cavour.

Liberismo/Protezionismo

Il liberismo è una teoria economica sorta nei primi decenni del Settecento in Francia e considerata da molti come applicazione in ambito economico del liberalismo.

Il liberismo si è affermato nel corso dell’Ottocento e del Novecento, soprattutto nelle fasi di crescita economica. Il liberismo propone il libero scambio e il libero mercato cioè un sistema economico aperto. La teoria afferma inoltre che il mercato stesso tende spontaneamente verso l’efficienza, l’equilibrio e la stabilità. Si oppone al socialismo, al comunismo e a tutte le forme di intervento statale nell’economia. Sostiene storicamente l’economia di mercato nelle sue forme più pure.

Oggi, dopo molte crisi e adattamenti economici e finanziari, gli studiosi parlano di neoliberismo. 

Il protezionismo è una politica economica opposta al liberismo. Mira a proteggere le attività produttive nazionali mediante l’intervento economico dello Stato che in genere pone ostacoli alla concorrenza degli Stati esteri.

Gli strumenti delle politiche protezioniste sono diversi:

  • dazi protettivi sui prodotti importati, che ne aumentano automaticamente il prezzo rispetto ai prodotti nazionali. Questi vengono quindi favoriti nel mercato interno, mentre è ostacolato l’acquisto di merci straniere; 

  • dazi sulle materie prime esportate per mettere in difficoltà l'economia degli stati acquirenti non produttori;

  • norme dedicate formalmente a precauzioni sanitarie (quarantene, ispezioni, accertamenti) che in realtà ostacolano le importazioni;

  • riduzioni fiscali e tassi agevolati ai produttori nazionali che esportano;

  • controllo dei cambi delle monete e del movimento dei capitali.

 

Il protezionismo è adottato da molti stati nei periodi di crisi, come fu dopo le guerre napoleoniche o a partire dagli anni ’73 -’78 dell’Ottocento in Europa. Spesso gli stati furono coinvolti in “guerre commerciali”, come quella che coinvolse Italia e Francia nel 1888 e che provocò danni soprattutto alle esportazioni italiane di olio, vino e agrumi. Il protezionismo è spesso la base economica da cui si sviluppano idee politiche nazionaliste e spinte verso conflitti non solo commerciali, ma anche militari.

Logistica

Un esercito richiede – oltre a migliaia di armati e all’organizzazione di un sistema di comando – anche molti servizi di supporto. Mezzi per spostarsi dalle retrovie verso le zone di combattimento e lungo il fronte, servizi per il rifornimento di cibo, divise, armi e munizioni alle truppe, servizi per la raccolta e la trasmissione delle informazioni sul territorio in cui si combatte e sullo schieramento delle truppe nemiche, servizi di assistenza ai feriti.
L’organizzazione e la pianificazione di tutti questi servizi è detta logistica.

Melodramma/Opera

Melodramma, dal greco mélos, «canto» o «musica», e dráma, significa azione scenica o recitazione, è il termine musicologico e letterario per indicare l'opera messa in musica.
Il termine è utilizzato anche per indicare il genere letterario, che come prodotto di creazione fa capo al libretto, cioè tutta la produzione di testi teatrali – stesi in versi e/o in prosa – di un autore, che successivamente verranno messi in musica dal compositore, interpretando l’etimologia come dramma per canto anziché come abbinamento di canto e azione.
Opera è invece il termine internazionale che indica lo spettacolo in cui l’azione teatrale si realizza attraverso la musica e il canto. Poiché si avvale di scenografie e, spesso, di azioni coreografiche, l’opera può essere considerata una delle manifestazioni artistiche più complesse. Opera e melodramma sono abitualmente usati come sinonimi.
Il teatro d’opera nell’Ottocento diede un contributo fondamentale all’affermazione dell’ideologia risorgimentale: alcuni brani delle opere, soprattutto i cori, divennero strumenti per diffondere le istanze di libertà e di liberazione dal dominio straniero. Il melodramma, infatti, parlava un linguaggio comprensibile a tutti, anche ai ceti subalterni, ai molti uomini e donne analfabeti che, attraverso le opere di Rossini, Bellini, Donizetti e, soprattutto, di Verdi, poterono riconoscere e far propri i valori romantici e risorgimentali.

Moderati/Corrente moderata monarchica

La corrente di pensiero moderata riconosceva nella monarchia la guida per la formazione di uno Stato italiano e cominciò a consolidarsi intorno al 1840, dopo i drammatici insuccessi delle azioni rivoluzionarie mazziniane. I personaggi che ispirarono questo movimento: Vincenzo Gioberti, Massimo d’Azeglio, Cesare Balbo, Marco Minghetti, fino al più noto, il conte Camillo Benso di Cavour, erano tutti, eccetto Gioberti, di estrazione aristocratica o borghese, contrari alle azioni radicali promosse dai mazziniani, ma interessati a raggiungere accordi con i sovrani per ottenere riforme. Erano quindi riformisti illuminati e la forma di organizzazione dello Stato a cui si ispiravano era quella della monarchia costituzionale. Pur collocandosi nell’ala conservatrice del movimento risorgimentale, proponevano per il futuro Stato italiano una confederazione che rispettasse le differenze tra le diverse regioni, ipotesi che poi non si realizzò, poiché prevalse l’idea centralista di trasferire al nuovo Stato tutta la legislazione di tipo autoritario dei Savoia.

Monarchia

[vedi anche assolutismo]


La monarchia, come ci dice l’etimologia del termine che deriva dal greco monárchis, composto di mónos, «solo, unico», e -archìs, da árchô, «governare, comandare», è una forma di governo in cui la carica di capo di Stato è esercitata da una sola persona, il re o monarca, solitamente per tutta la durata della sua vita o fino a che non vi rinunzi con un atto di abdicazione.
Alla morte o all’abdicazione di un monarca ne succede un altro, che viene scelto nell’ambito della stessa famiglia, secondo un criterio ereditario e dinastico.
La monarchia si dice assoluta, quando il sovrano governa senza alcun organismo di controllo, né contrappesi politici, avendo riunito nelle sue mani il potere legislativo, giudiziario ed esecutivo; si dice invece costituzionale, quando i poteri del re sono definiti e limitati da quanto è stabilito dalla Carta costituzionale.
Nell’Ottocento i sovrani assoluti vennero indotti o costretti dal movimento liberale a cedere le loro prerogative e a concedere la Costituzione in un numero via via crescente di paesi europei.

Moti liberali

Così sono definiti quei movimenti insurrezionali che nell’Ottocento assumevano come proprio riferimento gli ideali del liberalismo politico: Costituzione, Parlamento e partecipazione dei cittadini all’amministrazione e al governo, diritto all’autodeterminazione dei popoli. I primi moti liberali si verificarono negli anni 1820-1821: in Spagna, in Portogallo, nel Regno delle Due Sicilie, in Piemonte e in Grecia, dove diedero l’avvio a una decennale guerra per l’indipendenza dall’Impero ottomano. Una nuova ondata di moti si verificò poi nei primi anni trenta (a Parigi, in Belgio, in Germania, nell’Italia centrale) e infine nel 1848 (ancora a Parigi, in Germania, in Italia, in Polonia e Ungheria e anche a Vienna).

Nazionalismo

Il nazionalismo è l’ideologia della nazione, cioè il modo di intenderla. È sostenuto da organizzazioni e partiti politici che in vario modo perseguono l’idea di unità nazionale, valorizzando la convivenza del popolo, inteso quasi come una comunità immaginata, in cui i legami familiari e religiosi sono sostituiti da quelli nazionali. Grande importanza assume il richiamo o addirittura la costruzione di un passato comune, a volte mitizzato. Altrettanto significativi sono i simboli comuni, come la bandiera, l’inno nazionale, monumenti che ricordano la costituzione dello Stato.
Prevale una dimensione democratica se il nazionalismo è di tipo civile-illuminista, ossia fondato sui diritti e doveri dei propri cittadini che si riconoscono nelle istituzioni liberali e democratiche. Un esempio si può individuare nel nazionalismo multiculturale dei cittadini statunitensi.
Predomina un nazionalismo emotivo e discriminatorio, quando l’identità etnico-culturale è considerata distintiva della nazione che viene ritenuta unica e superiore a tutte le altre. In tal caso il nazionalismo diventa l’ideologia per eccellenza di regimi totalitari. Il richiamo al nazismo tedesco è immediato.

Nazione/Stato nazionale

Con nazione viene definito «il complesso delle persone che hanno comunanza di origine, di lingua, di storia e che di tale unità hanno coscienza, anche indipendentemente dalla sua realizzazione in unità politica.» (http://www.treccani.it/enciclopedia/nazione/). Si parla, per esempio, di nazione basca e di nazione palestinese, anche se non esistono uno Stato basco e uno Stato palestinese corrispondenti.
Un concetto di nazione, così simile a quello di popolo, nasce con la Rivoluzione francese e viene diffuso dal movimento romantico in tutta Europa.
Con stato nazionale si intende un organismo politicamente sovrano, legittimato dal sostegno dei cittadini tramite libere elezioni. È dotato di un governo elettivo e non autoritario, che esercita il potere su un territorio con confini chiaramente delimitati e su una popolazione che si riconosce nella cultura e nella lingua del paese. Si tratta di un sistema democratico che attraverso una carta costituzionale sancisce e tutela i diritti dei suoi cittadini, ma non degli stranieri residenti sul suo territorio che non vi abbiano acquisito la cittadinanza.
L’Europa è stata il laboratorio dello Stato nazionale, che è diventato l’organizzazione politica d’avanguardia in Europa e nelle Americhe nel corso dell’Ottocento, mentre nel Novecento si è diffuso nei paesi decolonizzati di Asia e Africa, nonostante suscitasse forti contraddizioni con le culture locali.

Neoguelfismo/Movimento neoguelfo

Con questo termine si fa riferimento a un progetto di federazione italiana che assegnava un ruolo di guida al papa, un progetto con il quale alcuni pensatori cattolici italiani, come Vincenzo Gioberti, avevano tentato di risolvere la difficile questione politica legata alla dimensione sovranazionale del potere del pontefice. Infatti il papa, in quanto capo religioso, estendeva la sua influenza spirituale e politica a tutto il mondo cattolico in Europa, in America e sulle comunità cattoliche create dai missionari in Asia. Questa dimensione sovranazionale era molto importante per i sovrani cattolici europei, soprattutto l’imperatore austriaco e il sovrano di Francia, che ritenevano indispensabile per l’autorità e l’autonomia del papa la permanenza di uno Stato della Chiesa.
Numerosi intellettuali accolsero questo progetto e ne fecero la base del movimento neoguelfo, che ottenne molto seguito tra il 1843 e il 1848. Sembrava infatti che Pio IX, eletto papa nel 1846, con i primi provvedimenti di clemenza e di apertura riformista potesse incarnare le speranze riformatrici dei patrioti italiani.

Patriota

Con il termine patriota si intende chi ama la patria ed è perciò disposto a combattere e perfino a morire per essa. Nel Risorgimento i patrioti volevano far risorgere quell’Italia che era andata perduta con la fine dell’Impero romano antico e ritrovare una patria unitaria, ricca del suo glorioso passato. Per i patrioti la “madrepatria” è un valore morale in sé, come dicono formule quali «morire per la Patria». La morte in battaglia per la madrepatria veniva, infatti, considerata l’esempio perfetto ed estremo di patriottismo.
I protagonisti del Risorgimento furono soprattutto uomini e donne colte di origine aristocratica e borghese. Ad essi si unirono artigiani, commercianti e membri dei ceti popolari urbani.
Durante la Seconda guerra mondiale, furono così chiamati i partigiani, protagonisti della lotta per la Resistenza.

 

 

Patriottismo

Il patriottismo indica l’attitudine di gruppi o individui favorevole alla patria e si esprime attraverso sentimenti quali: l’orgoglio per la cultura e i progressi conseguiti dalla patria, il desiderio di conservarne il carattere e i costumi, l'identificazione con gli altri membri della nazione.
Il patriottismo si può considerare un nazionalismo civile, perché si fonda sull’idea di libertà di un popolo e sull’affermazione di istituzioni politiche democratiche capaci di tutelarlo.
Il patriottismo ottocentesco accompagnava costantemente le richieste di indipendenza e unità nazionale a quella di una Costituzione (monarchica o repubblicana, a seconda delle istanze). Furono molte le organizzazioni patriottiche per l’indipendenza nazionale italiana: le più note furono la Carboneria, la Giovane Italia e la Giovane Europa, movimenti anarchici di metà Ottocento (come quello sostenuto da Felice Orsini).

Pittori-soldato

Con questo termine ci si riferisce a quei pittori che descrissero i fatti risorgimentali da testimoni, essendo accorsi a dare il loro contributo sui campi di battaglia. Nelle file dei volontari combatterono infatti numerosi artisti che alternarono la baionetta alla matita e al pennello. Precursori dei moderni fotoreporter, essi documentarono sui fogli e sulle tele i luoghi di combattimento e le fasi delle imprese di cui erano partecipi registrando nei momenti di pausa quello che avevano visto e vissuto; poi, finito l’impegno militare, rielaborarono schizzi e bozzetti in dipinti di grandi dimensioni.

Plebiscito

Con questo termine del vocabolario giuridico si intende una votazione popolare con la quale i cittadini si esprimono su una questione di interesse nazionale.
Lo strumento del plebiscito, già usato in epoca napoleonica per sostenere le conquiste francesi con il consenso delle popolazioni espresso a suffragio universale, venne impiegato nel Risorgimento dal Regno sabaudo per legittimare, con l’approvazione corale del popolo, i suoi ampliamenti territoriali e per farli riconoscere a livello internazionale. I più importanti furono quelli del 1860 che da marzo a novembre ratificarono l’annessione al Piemonte di Emilia e Toscana, successivamente quella delle regioni meridionali conquistate dall’esercito garibaldino e, infine, quella di Marche e Umbria che erano state sottratte al governo pontificio dall’intervento dell’esercito piemontese.
In tale occasione ebbero diritto di voto tutti i cittadini maschi che avessero compiuto ventun anni, sapessero leggere e scrivere e godessero dei diritti civili. Vennero quindi chiamati a votare quasi tutti i maschi adulti, mentre nelle votazioni successive per il Parlamento il suffragio fu ristretto a meno del 2% della popolazione.
La scheda indicava che si doveva scegliere fra «Unione alla Monarchia Costituzionale del re Vittorio Emanuele II» oppure «Regno separato», non meglio specificato, mentre non era contemplata la possibilità di una repubblica. Il risultato, come sempre accade in un plebiscito, fu largamente a favore dell’annessione in tutte le regioni. In questo modo i liberali moderati poterono affermare che l’unità d’Italia e il suo carattere monarchico costituzionale non era solo un desiderio dei “signori”, ma di tutto il popolo.

Poeti/Scrittori-soldato

Relativamente al Risorgimento il termine definisce quei patrioti e letterati che parteciparono alle vicende garibaldine, in particolare alla Spedizione dei Mille, lasciandone testimonianza scritta.
Un posto di rilievo, nella letteratura risorgimentale, occupano infatti i memoriali di Giuseppe Cesare Abba, Da Quarto al Volturno. Noterelle di uno dei Mille (1891), di Giuseppe Bandi, I Mille. Da Genova a Capua (1902) e di Alberto Mario, La camicia rossa (1866). Anche Ippolito Nievo può essere annoverato fra gli scrittori-soldato: partecipò all’impresa dei Mille, lasciandone testimonianza nel Diario e nelle Lettere garibaldine.

Questione

Il termine questione è stato usato tra il XIX e il XX secolo dagli storici, soprattutto italiani, per indicare un complesso di problemi di difficile interpretazione e soluzione. Si è parlato quindi e si è scritto di questione italiana, in relazione al tema della unificazione della penisola nel contesto della diplomazia internazionale nel XIX secolo, di questione romana, in riferimento ai difficili rapporti tra Stato e Chiesa in Italia soprattutto dopo il 1870; questione meridionale, in relazione alla situazione di arretratezza politica sociale ed economica delle regioni del Sud; questione sociale, in relazione alla condizione dei lavoratori e alle loro rivendicazioni e forme organizzative negli ultimi decenni dell’Ottocento; questione femminile per indicare la condizione delle donne e le loro lotte tra Ottocento e Novecento. Il termine ha avuto anche altre aggettivazioni ed è stato usato a volte anche sulla stampa.

Questione romana

Con questione romana si intende, secondo la denominazione attribuita da giornalisti e politici del tempo e poi codificata dagli storici, la complessa questione dei rapporti tra il papato e il Regno d’Italia. L’opposizione del Vaticano alla creazione di uno Stato italiano si prolungò molto oltre il 1861 e si aggravò con la presa di Roma nel 1870 e con il contestuale rifiuto da parte del papa di qualunque accordo con lo Stato italiano. Il delicato problema ebbe parziali soluzioni solo a partire dall’Età giolittiana, quando con il patto Gentiloni (1913) i cattolici italiani furono autorizzati dalla Santa Sede a partecipare alla vita politica sia come elettori sia come eletti: e fu, infine, sciolto con i Patti Lateranensi dell’11 febbraio 1929, il concordato sottoscritto durante il fascismo.

Repubblica

Con repubblica si intende una forma di governo dello Stato, in cui, come suggerisce la derivazione dal latino res publica, ovvero «cosa pubblica», la sovranità appartiene al popolo, o meglio a una parte più o meno vasta di esso che la esercita secondo i criteri e nei limiti definiti dalle leggi vigenti. Inoltre la repubblica è una forma di governo in cui le cariche pubbliche, non costituendo proprietà privata di chi li detiene, non vengono ereditate secondo un criterio dinastico, ma vengono assegnate tramite nomina o elezione.
Nel Risorgimento la repubblica fu la bandiera di tutto il movimento democratico: Cattaneo era per una repubblica federale, capace di rispettare le autonomie locali valorizzandone le specificità, mentre Mazzini avrebbe voluto costruire con un’insurrezione popolare un’Italia una, indipendente, libera e repubblicana. Giudicava infatti improponibile il progetto di uno Stato federalista: senza unità, secondo Mazzini, l’Italia sarebbe stata una nazione debole sia per la vicinanza di potenze quali l’Austria e la Francia sia per il probabile risorgere fra città e città di quelle rivalità che avevano caratterizzato la storia dell’Italia medievale.
Tranne che per le brevi esperienze della Repubblica veneta (22 marzo 1848 – agosto 1849) e della Repubblica Romana (9 febbraio-4 luglio 1849), il progetto repubblicano non venne applicato nel Risorgimento: l’unità nazionale venne infatti conseguita sotto la guida della monarchia sabauda.
Soltanto dopo la Seconda guerra mondiale l’Italia assumerà una Costituzione repubblicana (1° gennaio 1948).

Restaurazione

Con questo termine si intende, su un piano territoriale e politico, l’assetto che – con il Congresso di Vienna (1815) – aveva riportato al potere i sovrani spodestati da Napoleone e i gruppi sociali che li sostenevano: l’aristocrazia conservatrice, gli ordini religiosi, come i gesuiti, che avevano un ruolo importante nell’istruzione dei rampolli dell’aristocrazia e, soprattutto nelle campagne, una parte della popolazione povera che contava sulla beneficenza della Chiesa e dei conventi per la propria sopravvivenza.
Si intende inoltre, da un punto di vista più generale, il movimento di opinione che contrastò sul piano culturale i principi di libertà, uguaglianza e solidarietà della Rivoluzione francese, cioè quegli ideali che erano stati diffusi in tutta Europa dagli eserciti napoleonici. I suoi sostenitori ritenevano infatti che Il potere discendesse direttamente da Dio, che il sovrano ne fosse il rappresentante in terra e che esclusivamente a Dio stesso avrebbe dovuto risponderne, mentre era del tutto sciolto (latino solutus) da vincoli rispetto ai sudditi e libero da altri condizionamenti. Proprio contro questa concezione “assoluta” del potere (da cui il termine assolutismo) si battevano i liberali con la richiesta delle garanzie costituzionali e per il rispetto della sovranità popolare.

Risorgimento

Con questo termine si identifica quel processo di trasformazione politica, fatto di dibattiti teorici, campagne di propaganda, moti insurrezionali, guerre di indipendenza che, preparato in Età napoleonica dalle esperienze della Repubblica italiana (1802-1805), del Regno d’Italia (1805-1814) e del Regno di Napoli (1806-1815), portò tra il 1815 e il 1870, nella penisola italiana, all’unificazione del territorio in un’unica nazione: il Regno d’Italia.
Gli storici hanno dato a questo periodo il nome di Risorgimento italiano perché, nelle lotte di quegli anni, c’era la volontà di far risorgere quell’Italia che era andata perduta con la fine dell’Impero romano antico e di ritrovare una patria unitaria, ricca del suo glorioso passato.

Rivoluzione industriale

 

[vedi anche Seconda rivoluzione industriale]

Il termine indica un processo iniziato in Inghilterra alla metà del Settecento quando una serie di innovazioni tecniche furono introdotte nei processi produttivi e li trasformarono radicalmente. Per primi, nuovi telai meccanici sostituirono il lavoro artigianale e accrebbero la produttività, poi la macchina a vapore permise di lavorare con una forza molto maggiore di quella umana o animale usata fino a quel momento. In seguito la forza del vapore fu applicata in ogni settore, dalle miniere alle fabbriche, dall’agricoltura ai trasporti per mare e per terra e trasformò non solo la produzione economica, che crebbe in modo vertiginoso, ma tutta la società. 

Siccome le nuove tecnologie costavano, furono poche persone, ricche e sostenute dalle banche, a poter organizzare questo nuovo sistema di produzione in grandi fabbriche dove vennero a lavorare migliaia di persone. Nacquero quindi due nuove classi sociali che divennero centrali nella società: la borghesia imprenditoriale, proprietaria della fabbrica, delle materie prime da lavorare e del prodotto finito, e la classe operaia, spesso proveniente dalle campagne sovrappopolate e proprietaria solo della sua forza lavoro e di quella dei propri figli. Non a caso Marx la chiamò “proletariato”.

Intorno alle fabbriche nacquero nuove città operaie povere e malsane, mentre crebbe l’inquinamento dovuto agli scarichi industriali. In ogni caso l’aumento della produzione e la diminuzione dei prezzi provocò una forte crescita demografica. Il vapore applicato alle locomotive e ai battelli rese i viaggi più rapidi e sicuri, permettendo una grande crescita dei commerci. 

Dall’Inghilterra la rivoluzione industriale passò in altri paesi in Europa e nel mondo e portò un enorme sviluppo in tutti i settori della società. Tale sviluppo fu possibile grazie allo sfruttamento degli operai, al saccheggio delle materie prime che, spesso, provenivano da altri paesi (territori coloniali) e all’avvelenamento dell’ambiente. Invece i paesi dove la rivoluzione non si realizzò videro crescere sempre di più la distanza economica e sociale che li separava dai paesi industrializzati. 

L’Italia, ancora divisa in tanti stati di piccole dimensioni, non partecipò a questa prima fase di rivoluzione industriale e rimase ai margini di questo processo, producendo ed esportando solo materie prime e prodotti agricoli. Soltanto pochi imprenditori, spesso stranieri, avviarono nel Nord le prime fabbriche tessili, importando dall’estero le nuove tecniche di produzione e di gestione della forza lavoro.

Romanticismo

Con Romanticismo si fa riferimento a un movimento culturale che si sviluppò in campo artistico, musicale e letterario in Germania alla fine del XVIII secolo e che, nell’Ottocento, si diffuse in tutta Europa, assumendo specificità differenti nei vari paesi.
Con il termine “romantico”, dall’inglese romantic (cioè fantasioso o romanzesco) venivano indicati nel XVII secolo i romanzi cavallereschi o altri generi letterari di invenzione ambientati in una cornice storica. Successivamente il termine passò a designare le emozioni che le rappresentazioni artistiche, musicali e letterarie inducevano in chi le poteva vedere, ascoltare, leggere. Proprio questo significato di sentimentale, emozionale fu quello che si impose nel XIX secolo e che ancora oggi corrisponde a ciò che noi identifichiamo con “romantico”, ovvero tutto quanto ha a che fare con l’intimità, la spiritualità e l’aspirazione verso l’infinito.
Nel contesto italiano gli ideali romantici – la lotta dell’individuo contro il tiranno e dei popoli contro i loro oppressori, il recupero di gloriose tradizioni del passato, l’identità linguistica e la comunanza culturale – si connotarono come aspirazione all’indipendenza e all’unità nazionale e si manifestarono nelle insurrezioni che a partire dal 1820-1821, passando per i moti degli anni trenta, esplosero in molte città e in tutti gli stati della penisola nel biennio rivoluzionario 1848-1849.

Romanticismo storico

Il Romanticismo storico fu una corrente artistica che si sviluppò nella prima metà del XIX secolo, in corrispondenza con la Restaurazione, periodo di numerosi moti rivoluzionari ispirati dal desiderio di libertà e di affermazione dell’identità nazionale.
In Italia, dove la dominazione straniera non permetteva di esprimere apertamente le istanze patriottiche si fece ricorso, in ambito letterario e artistico, a episodi e personaggi del passato, soprattutto del Medioevo, in cui si adombrarono riferimenti più o meno velati alla situazione politica contemporanea. Protagonista e capostipite di questo nuovo orientamento fu Francesco Hayez.
In Francia, invece, le diverse condizioni politiche consentirono a Eugène Delacroix di rappresentare i fatti del presente senza incorrere nei tagli della censura, come è documentato nel celebre dipinto La Libertà che guida il popolo.

Seconda rivoluzione industriale

 

[vedi anche Rivoluzione industriale]

Fra il 1870 e la Prima guerra mondiale, in Europa e in America – con tempi differenti nei diversi paesi industrializzati – lo stretto rapporto tra scienza, tecnologia e industria, che veniva finanziato dai grandi sistemi bancari, portò a un numero incredibile di innovazioni. Ne derivarono un’enorme crescita nella produzione, lo sviluppo delle comunicazioni e dei trasporti e una profonda trasformazione della vita sociale in ogni suo aspetto. 

Divennero centrali nell’economia nuovi settori produttivi rispetto a quello tessile, che aveva dato vita alla prima rivoluzione industriale. In particolare si svilupparono il settore dell’acciaio, con le sue mille applicazioni dagli utensili alle costruzioni o alle armi, e quello della chimica, in grado di produrre detersivi, coloranti, tessuti sintetici, medicinali, gas asfissianti e infiniti altri prodotti.

L’elettricità e il motore a scoppio misero a disposizione macchine più duttili e facili da usare rispetto alla macchina a vapore e diedero impulso ai settori elettrico e petrolifero.

Gli enormi investimenti necessari in questo modello produttivo spinsero le imprese a concentrarsi in grandi blocchi sostenuti dai sistemi bancari e a controllare il mercato attraverso monopoli (un’unica impresa produce un certo prodotto e quindi ne decide il prezzo) o oligopoli (poche imprese, d’accordo tra loro, producono un certo prodotto). In questo modo cessava di esistere la libera concorrenza ottocentesca, fatta di imprese a carattere familiare. 

Le nuove invenzioni entrarono anche nella vita quotidiana: l’illuminazione nelle case e nelle strade, l’automobile e poi l’aereo, la radio, il telefono, il cinema, nuove tecniche diagnostiche e medicine, beni di consumo a prezzi bassi cambiarono la vita di milioni di persone, fecero crescere la classe media e allargarono il divario tra paesi industrializzati e non. 

L’Italia, finalmente unificata, iniziò il suo processo di industrializzazione proprio in questa fase e lo poté fare grazie a un forte sostegno dello Stato che, se voleva inserirsi tra le potenze europee, aveva bisogno di costruire moderne infrastrutture (ferrovie e porti, rete postale e telegrafica ecc.) e specialmente una forza armata di livello superiore. Perciò i settori che si svilupparono furono principalmente quello siderurgico e idroelettrico (per la produzione di energia) e in seguito quello chimico e meccanico e lo fecero da subito con forme di forte concentrazione monopolistica. Con l’appoggio delle banche, le commesse da parte dello Stato e una politica protezionistica che difendeva la produzione nazionale dalla concorrenza straniera, imprenditori come Vincenzo Stefano Breda, Giorgio Enrico Falk, Giovanni Ansaldo, Giovanni Pirelli, Ercole Marelli, Giovanni Agnelli impiantarono grandi complessi industriali con migliaia di operai. Questo sviluppo industriale però si realizzò solo al Nord, mentre la pressione dei grandi proprietari terrieri lasciò il Sud sostanzialmente agricolo. La Prima guerra mondiale e poi il fascismo mantennero anche in seguito la forte dipendenza dell’industria dallo Stato. 

Socialismo/Socialisti utopisti

Con socialismo si intende quell’insieme e quel tipo di concezioni, orientamenti, dottrine e movimenti politici che mirano a trasformare la società in senso egualitario e a realizzare – attraverso la socializzazione dei mezzi di produzione e un’equa distribuzione dei beni prodotti e delle risorse – una piena uguaglianza dei cittadini sul piano giuridico, economico e sociale. Quindi il socialismo prevede che, con l’abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione, si arrivi a una società di uguali, cioè a una società senza distinzioni di classe sociale.
Con socialismo utopistico si fa riferimento alla prima forma di socialismo ispirato dalle teorie dei filosofi francesi Saint-Simon (1760-1825) e Fourier (1772-1837) e realizzato con la sperimentazione di comunità produttive di tipo cooperativo in Francia e negli Stati Uniti. Un altro socialista e filantropo Robert Owen (1771-1858) riuscì a installare in Scozia una fabbrica modello dal punto di vista sociale e produttivo.
I socialisti utopisti confidavano nel metodo riformista (opposto alla rivoluzione marxista) per la costruzione di una società fondata sulla collaborazione comune e sulla fratellanza tra gli uomini. La definizione “socialismo utopistico” è di Karl Marx che, nel Manifesto del Partito Comunista (1848) volle così distinguere il pensiero di questi importanti precursori dalla teoria elaborata da lui stesso e da Engels e designata come socialismo scientifico, perché fondata su un’analisi scientifica dei processi di produzione e sulla conoscenza delle trasformazioni sociali nel corso della storia.
Tra i patrioti italiani il più vicino alle posizioni socialiste fu Carlo Pisacane che, assolutamente convinto della priorità della questione sociale su quella politica e influenzato dal socialismo utopistico e libertario di Fourier e Proudhon, sostenne l’esigenza di una radicale riforma agraria con la distribuzione delle terre ai contadini, in modo da convincerli a battersi per l’indipendenza nazionale, offrendo loro la speranza di un futuro migliore.
Invece Mazzini con il suo idealismo religioso e interclassista rimase estraneo al mondo socialista, anzi dopo il fallimento delle insurrezioni del 1848-1849, l’esule genovese accusò proprio i socialisti di aver terrorizzato la borghesia e i moderati favorendo la vittoria delle forze reazionarie.

Società segrete

Così si definiscono le numerose organizzazioni che sorsero tra la fine del Settecento e i primi decenni dell’Ottocento in diversi paesi d’Europa, con lo scopo di ottenere l’indipendenza, negli stati che ancora facevano parte di imperi sovranazionali o, più in generale, di migliorare le condizioni di vita dei cittadini e il funzionamento delle istituzioni. Tutte le società prevedevano riti di iniziazione per l’ammissione e diversi gradi di militanza e responsabilità, nonché un linguaggio segreto. Queste misure erano state escogitate per difendersi dalle polizie e dalla censura e mantenere segrete le riunioni e i nomi degli aderenti. Le organizzazioni erano infatti vietate dalle leggi e dovevano agire in modo clandestino.
La più importante era la Massoneria, sorta a fine Settecento, che utilizzava nei suoi riti il linguaggio dei muratori (maçon in francese significa appunto «muratore»). Molti patrioti del Risorgimento italiano aderirono alla Massoneria e alla Carboneria che nella penisola divenne, con il suo ramo femminile “Le Giardiniere”, la società segreta più diffusa.
Oggi le società segrete sono proibite in tutti gli stati e quelle che ancora esistono e mantengono riti e riunioni segrete sono considerate organizzazioni malavitose come, per esempio, la mafia.

Sovrani legittimisti

Con questa definizione si intendono i sovrani dei diversi stati in cui era suddivisa la penisola italiana dopo il Congresso di Vienna (1815). Tali sovrani erano ovviamente contrari alla creazione di uno Stato unitario che avrebbe segnato la fine del loro potere. In generale tutti contavano sull’Impero austriaco e sul suo esercito per contrastare i movimenti liberali e i tentativi insurrezionali.

Stati italiani preunitari

Con questa espressione si intendono gli stati in cui venne divisa la penisola italiana dal Congresso di Vienna (1815): un assetto territoriale che, con la breve interruzione del biennio rivoluzionario (1848-1849) si manterrà fino alla proclamazione del Regno d’Italia (17 marzo 1861), poi ingranditosi con le acquisizioni del Veneto (1866) e di Roma (20 settembre 1870).
Dopo la caduta di Napoleone, che per primo aveva realizzato esperienze di stati di ampie dimensioni riferibili all’idea di uno Stato “italiano”, quali la Repubblica italiana (1802-1805), il Regno d’Italia o italico (1805-1814), il Regno di Napoli (1806-1815), gli stati europei convenuti a congresso a Vienna ridisegnarono la carta politica dell’Italia, riportando sul trono i sovrani che Napoleone aveva esautorato e creando nuovi stati.

Stato liberale/di diritto

 

Lo Stato liberale si fonda su una Carta Costituzionale che sancisce diritti e libertà dei cittadini e sulla divisione dei tre poteri: legislativo, esecutivo e giudiziario.

La Carta, una Costituzione o uno statuto, assicura – con modalità differenti in relazione al periodo storico e al contesto politico dello stato – libertà e diritti fondamentali, quali libertà di parola e di stampa, di culto e di associazione, garantisce il diritto al giusto processo, talvolta, il diritto di sciopero e, in qualche caso, stabilisce il divieto della tortura. 

I tre poteri, legislativo, esecutivo e giudiziario sono divisi e sono gestiti da organi diversi: il potere legislativo compete al Parlamento che viene eletto dal popolo secondo criteri e norme che si modificano nel tempo. 

Il potere esecutivo compete ai ministri: nel Regno d’Italia erano nominati dal re e, di conseguenza, a lui rispondevano. Oggi i ministri esercitano il potere in nome del popolo: per questo motivo, una volta designati dal presidente della Repubblica, devono ottenere la fiducia del parlamento.  

Il potere giudiziario compete alla magistratura: i giudici lo esercitano in nome del popolo italiano, mentre nel Regno d’Italia amministravano le leggi per conto e su nomina del re. 

Con Italia liberale si intende il contesto e il governo del paese nel periodo storico che va dalla proclamazione del Regno d’Italia (1861) alla presa del potere da parte del fascismo (1924) e al conseguente cessare delle garanzie costituzionali che erano in vigore nello Stato di diritto.

Statuto

[vedi anche Costituzione]


Con questo termine si identifica una Carta costituzionale benignamente elargita dal sovrano ai suoi sudditi. Nel Risorgimento l’esempio tipico è rappresentato dallo Statuto Albertino che, promulgato da Carlo Alberto nel 1848, venne poi mantenuto come Carta costituzionale del Regno di Sardegna e successivamente del Regno d’Italia fin tanto che il 1° gennaio 1948 non venne sostituito dalla Costituzione repubblicana tuttora vigente.

Strategia/Tattica

Si intende per strategia l’insieme di scelte e operazioni che chi è al comando compie per progettare la guerra nel suo complesso: l’organizzazione dell’esercito e degli spostamenti, la scelta di dove stabilire la postazione di comando, su quali fronti attaccare e su quali difendersi, come suddividere le truppe sui diversi fronti.
La tattica è l’insieme di scelte e di azioni relative a un aspetto limitato della guerra: una battaglia, uno dei fronti, l’organizzazione di poche azioni o pochi reparti.

Suffragio universale

Con suffragio universale si intende la garanzia per ogni cittadino maggiorenne di poter esercitare – senza restrizioni di sorta – il diritto di voto, partecipando alle elezioni politiche e amministrative e ad altre consultazioni pubbliche. Un diritto oggi sancito nella nostra Costituzione per i cittadini italiani, senza esclusioni collegate a qualsivoglia tipo di condizioni economiche, sociali e culturali: per esempio il ceto, il censo, l’etnia, il grado di istruzione, il genere e l’orientamento sessuale.
Nel Risorgimento italiano il suffragio universale – limitatamente ai cittadini maschi – venne esercitato solo per eleggere l’Assemblea costituente della Repubblica Romana (febbraio 1849). Il suffragio universale maschile, una parola d’ordine dei democratici, diventerà legge dello Stato nel 1912, mentre le donne potranno votare solo nel 1945, al termine della Seconda guerra mondiale, nelle elezioni che definiranno il nuovo assetto istituzionale dello Stato: la Repubblica italiana.

Trasformismo

 

Negli ultimi decenni del XIX secolo, le differenze tra Destra e Sinistra non erano rigide, quasi nessun politico del tempo si richiamava a precise ideologie come avverrà nel Novecento. 

I politici della Destra e della Sinistra esprimevano divergenze di vedute all’interno della stessa classe dominante.

Per questo, quando un certo numero di politici dello schieramento al governo valutò socialmente inadeguata la politica della Destra, cambiò il proprio orientamento e determinò anche il cambiamento della maggioranza e il passaggio del governo allo schieramento della Sinistra. 

Fu Agostino Depretis il principale autore di questa politica che mirava a ottenere in ogni caso una maggioranza raccogliendo consensi e appoggi da entrambi gli schieramenti. Giornalisti e politici dell’opposizione bollarono con il termine dispregiativo di trasformismo tale condotta spregiudicata.

Volontari

Con questo termine si intendono quelle persone che, pur non appartenendo a un esercito regolare, istituito da uno Stato, sentono il dovere di arruolarsi e di combattere per una causa di cui condividono le finalità. Tutte le battaglie del Risorgimento videro la presenza di migliaia di volontari che accorrevano per dare il loro aiuto dovunque ci fosse la possibilità di lottare contro gli austriaci e per la costruzione della patria italiana. In battaglia si distinguevano per il loro coraggio e la loro decisione.

Migliaia di volontari già in Età napoleonica erano accorsi a difendere gli ideali della Rivoluzione francese: libertà, uguaglianza, fratellanza o, come diremmo oggi, solidarietà. In seguito, seguendo gli stessi ideali e i valori del Romanticismo, si recarono a combattere dovunque un popolo oppresso stesse lottando per la sua liberazione.
Nel Risorgimento le formazioni più organizzate si raccolsero intorno a Garibaldi che per la sua capacità militare, divenuta leggendaria, portava migliaia di volontari ad accorrere sotto il suo comando. Dalla esperienza delle truppe garibaldine nella Seconda e nella Terza guerra d’indipendenza (Cacciatori delle Alpi e Corpo Volontari Italiani) nascerà nel 1872 il corpo degli Alpini, specializzato nella guerra in montagna e protagonista della Prima guerra mondiale.
D’altra parte, numerosi furono anche i volontari che fra il 1860 e il 1870 accorsero a ingrossare le fila dell’esercito papalino per difendere lo Stato Pontificio.

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