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L’impianto manualistico serve poco
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Bersaglieri e corazzieri
Fare l'Italia, fare gli italiani
Il processo di unificazione nazionale
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La spedizione di Sapri
Ecco come lo storico Lucio Villari nel suo libro Bella e perduta. L’Italia del Risorgimento racconta la spedizione di Sapri e la morte di Carlo Pisacane (1° luglio 1857).
Pisacane andò di nascosto a Napoli ai primi di giugno per sondare il terreno e ne tornò deluso («Io non ho del tutto perduto le speranze – scrisse il 13 giugno al patriota siciliano Rosolino Pilo – ma le speranze sono debolissime»). Era fallito il progetto? Lo pensò subito Enrichetta, la compagna di Pisacane, e implorò Carlo di desistere dall’impresa avendo come il presentimento del suo esito tragico. Ma Pisacane aveva comunque messo in moto una macchina che non poteva, non doveva essere fermata. L’angoscia di Enrichetta aveva però avuto un’eco nel suo animo se, al momento di partire, Pisacane volle lasciare alla giornalista inglese Jessie White il suo testamento politico.
Si trattava di un documento di esemplare dignità ideologica e intelligentemente pessimista. Dopo una dichiarazione di fedeltà ai valori del socialismo (Pisacane è uno dei precursori del socialismo italiano) e all’ineluttabilità della rivoluzione italiana, Pisacane affermava:
Io sono convinto che nel Mezzogiorno dell’Italia la rivoluzione morale esiste; che un impulso energico può spingere le popolazioni a tentare un movimento decisivo, ed è perciò che i miei sforzi si sono diretti al compimento di una cospirazione che deve dare quell’impulso. Se giungo sul luogo dello sbarco, che sarà Sapri, nel Principato citeriore, io crederò aver ottenuto un grande successo personale, dovessi pur lasciar la vita sul palco. Semplice individuo, quantunque sia sostenuto da un numero assai grande di uomini generosi, io non posso che ciò fare e lo faccio. Il resto dipende dal paese e non da me. Io non ho che la mia vita da sacrificare per quello scopo e in questo sacrificio non esito punto.
Il 25 giugno Pisacane si imbarcò a Genova sul piroscafo Cagliari della linea Genova-Tunisi. Con lui, in veste di passeggeri viaggiavano ventiquattro compagni. Durante il viaggio alcuni di loro irruppero nel ponte di comando, si impossessarono della nave e sequestrarono un carico di fucili e munizioni che si trovava a bordo. Per errori di comunicazione e per una violenta burrasca non si incrociarono con barche che dovevano fornirli di altre armi. Era un brutto segno.
Fecero comunque rotta verso l’isola di Ponza, dove esisteva un carcere borbonico di massima sicurezza. Sbarcati, con un’azione veloce entrarono nel penitenziario liberando 323 detenuti, tra i quali dei «politici», e requisendo altre armi della guarnigione, che si arrese senza reagire. Il Cagliari riprese con il carico dei «trecento» il viaggio verso Sapri, dove giunse la sera del 28, più tardi però delle comunicazioni che le guardie di Ponza avevano intanto diramato per telegrafo alle autorità di Gaeta.
Lo sbarco a Sapri provocò una grande confusione tra le autorità locali, finché la situazione fu presa in mano dal giudice regio di Sanza, Vincenzo Leoncavallo, padre del celebre musicista. Intanto, la prima delusione per Pisacane: gli abitanti si chiudevano in casa sbarrando porte e finestre. Come un baleno si spargeva la voce che dei briganti senza Dio, degli ergastolani evasi, erano sbarcati per rubare, violentare le donne, distruggere beni comuni e privati. Pisacane, mentre si apriva il vuoto davanti a lui e a quanti lo seguivano, decise di puntare su Padula. Qui il primo luglio vi fu un primo scontro con le guardie e con soldati di stanza nel luogo. Centocinquanta patrioti furono uccisi e gli altri, ripiegati su Sanza, furono circondati anche da contadini inferociti, da preti che maledicevano e urlavano invitando le donne a nascondersi e gli uomini ad armarsi di forconi e di ogni arma possibile. Furono quasi tutti massacrati senza che nessuno di loro reagisse o levasse un’arma contro gli aggressori. Pisacane, di fronte a questo eccidio e all’illusione perduta, rivolse la pistola contro se stesso suicidandosi. I versi della Spigolatrice di Sapri («Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti») di Luigi Mercantini, una delle più belle ballate politiche del Risorgimento, rimangono come il sigillo struggente di un patriottismo profondamente morale e come dono letterario e storico alle future generazioni.
Da Villari L., Bella e perduta. L’Italia del Risorgimento, Laterza, Roma-Bari 2009, pp. 260-262.
Ponza nel 1895
Guida alla Lettura
1) Quale scopo ha la spedizione di Sapri nelle intenzioni di Pisacane e dei suoi compagni? Quali sono le loro aspettative?
2) I fatti si svolgono, invece, in modo diverso. Perché? Fai la tua ipotesi e confrontati con i compagni.
3) Dopo averne consultato la biografia e aver letto La spigolatrice di Sapri esprimi un tuo giudizio sulla figura di Pisacane e confrontalo con quello dei compagni.