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L’impianto manualistico serve poco
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Bersaglieri e corazzieri
Fare l'Italia, fare gli italiani
Il processo di unificazione nazionale
Sei in: Fare l'Italia, fare gli italiani - Il biennio 1848-1849 - 2 SPAZI, TEMPI, EVENTI - 2.3 Documenti da Belgioioso - I milanesi prendono la via dell'esilio
I milanesi prendono la via dell’esilio
Dalle memorie di Cristina di Belgioioso pubblicate in Francia (L’Italie et la révolution italienne de 1848-L’insurrection milanaise) e successivamente tradotte in italiano, riportiamo le pagine in cui si descrive l’esodo dei milanesi che lasciano le loro case e i loro averi al ritorno degli austriaci.
Andava il popolo di porta in porta in traccia dei capi: di palazzo in palazzo per cercarvi munizioni correva: non voleva ancor credere a tutta la sua sventura. Arrivava intanto un parlamentario austriaco ad annunziare che il general d’Aspre sarebbe entrato colle sue truppe al mezzo giorno, che tutti gli uomini dai 18 ai 40 anni arruolati in reggimenti croati verriano spediti al di là delle Alpi: che chi l’esilio preferiva, abbandonar dovesse la città lasciando libero il farlo sino alle ore 8 della sera.
Questa alternativa fu intesa con gaudio da quel misero popolo. Più di due terzi della popolazione – uomini, donne, vecchi, giovani, ricchi e poveri, tutti si incamminavano per la Porta, che più lontana si trovava a quella, per dove entrar dovevano gli Austriaci: si videro allora numerose colonne di emigrati d’ogni età, sesso, condizione: tutti portavan con sé gli oggetti i più preziosi, i più cari, i bambini, sino gli ammalati, che abbandonar non volevano alla rabbia croata, od alla discrezione del vincitore: grida, gemiti, pianti li precedevano: qualche cavallo, pochi carri o birocci li seguiano. Quando questa turba ebbe passata l’ultima barriera, quando ella si trovò ad un centinaio di passi dal patrio tetto, sostò; lo sguardo alla città rivolse: Gerusalem novella la patria salutò.
Era rossa la tinta del cielo, nere colonne di fumo alle nubi s’ergeano. Che era quel fuoco? l’incendio dei sobborghi forse non ancor spento? o l’austriaco cominciava già le sue vendette? o qualche pio cittadino avria mantenuto il giuro di non lasciar all’inimico, che un mucchio di cenere?
Le ruine del palazzo nazionale del Genio, della Dogana, dell’ospitale militare di S. Ambrogio coprono un mistero: non v’ha persona, che lo conosca.
Così Milano fu ancor una volta dell’Austria: le sue truppe entravano trionfanti, là dove quattro mesi prima erano state vergognosamente cacciate. Venticinque mila soldati avevano presa una città difesa da quarantacinquemila uomini di truppe regolari al difuori, da più di quarantamila guardie nazionali al didentro: senza colpo ferire la tenevano. Stracciata la capitolazione, stava in arbitrio del generale d’Aspre ordinare il saccheggio: preferì lasciar libero sfogo a private vendette, a personali rancori. I forzati di Porta Nuova lasciati in libertà si unirono ai soldati: entrarono nelle semideserte case: gli oggetti preziosi derubarono; dalle case passarono alle chiese, dalle chiese ai musei nazionali. I generali Rivaira e Roger, che per inferma salute non avevan potuto sottrarsi colla fuga, furono condannati a morte. Mancavano i tribunali, gli impiegati al fisco, le formalità, e sopratutto il tempo necessario per confiscare i beni dei profughi: ad altro mezzo si ebbe ricorso: le contribuzioni forzose esaurirono le casse private. Ad onta delle istanze, delle minaccie e delle promesse del generale austriaco, nessun emigrato pensò di rimpatriare.
Dopo i fatti dell’agosto quasi 100 mila milanesi ebbero asilo nel Cantone Ticino: fra questi, due membri del Comitato di difesa, Restelli e Maestri: s’unirono questi a Mazzini, pure emigrato, al quale le ultime nostre sciagure non furon nuove: si costituirono in giunta insurrezionale. Un gran numero di lombardi, specialmente coloro, che tutto sperano dalla casa di Savoia soltanto, si portarono in Piemonte: dove ebber accoglienza poco fraterna: a Parigi stessa furono freddamente ricevuti coloro, che v’eran venuti a dimandare il soccorso francese. L’Austria aveva fatti precedere i nostri lagni da ogni calunnia.
Da Principessa Cristina Triulzi-Belgioioso, L’Italia e la rivoluzione italiana (Dalla “Revue des Deux Mondes” 1848); aggiuntovi: Gli ultimi tristissimi fatti di Milano (narrati dal Comitato di Pubblica Difesa, con documenti), prefazione di Arcangelo Ghisleri, Remo Sandron Editore, Libraio della R. Casa, Milano-Palermo-Napoli 1904, in http://www.liberliber.it, pp. 35-36.
Il frontespizio della rivista francese «Revue des Deux Mondes» del 1848, dove fu pubblicato il testo di Cristina Trivulzio di Belgioioso
Guida alla Lettura
1) Quali sentimenti vuole suscitare nel lettore Cristina di Belgioioso con la descrizione dell’esodo dei milanesi al rientro degli austriaci? Scegli fra quelli sottoelencati e motiva la tua scelta, poi confrontati e discutine con i compagni.
Soddisfazione – tristezza – sgomento – gioia – indignazione – ribellione – solidarietà – commiserazione.
2) Dove si dirigono i profughi? In quale paese vengono meglio accolti, secondo il giudizio della Belgioioso? Perché? Fai la tua ipotesi e confrontala con i compagni. Puoi consultare in proposito: La Svizzera federale (1848), asilo dei fuoriusciti.
3) Fai una ricerca su Internet per sapere quanti fossero nel 1848 gli abitanti della Svizzera e in particolare del Canton Ticino e rifletti su che cosa potesse significare accogliere in pochi giorni centomila profughi lombardi. Discutine con i compagni, confrontandolo con i circa sessanta milioni della popolazione italiana di oggi e con i dati dell’immigrazione forzata verso le coste italiane che in questo periodo provoca tante tragedie del mare e suscita molto dibattito.