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Sei in: Fare l'Italia, fare gli italiani - Il completamento dell’unità e la costruzione dello Stato - 2 SPAZI, TEMPI, EVENTI - 2.5 La fine del potere temporale dei papi: Italia e contesto europeo - Lo scontro all’Aspromonte

Lo scontro all’Aspromonte

Il problema di Roma

Nel 1860 era stato proclamato il Regno d’Italia, ma l’unificazione non era ancora stata raggiunta: mancava il Veneto, in mano agli austriaci, ma specialmente mancava Roma e una parte dell’Italia centrale che era ancora Stato della Chiesa. Come si poteva pensare a un’Italia veramente unita senza Roma? Ma il papa era sostenuto dall’opinione pubblica cattolica di tutto il mondo e qualunque minaccia contro di lui rischiava di provocare, come era successo nel 1849, l’intervento della Francia o dell’Austria, stati a maggioranza cattolici.
Ma Garibaldi l’aveva giurato: Roma o morte! Nel 1860, dopo la conquista di Napoli, quando si proponeva di proseguire verso il Lazio era stato fermato dall’esercito piemontese che apparentemente era venuto per aiutarlo contro i Borboni, ma in realtà per fermarlo.
Nel 1862, confidando nell’immensa fama che lo circondava dopo l’impresa dei Mille, ci volle riprovare, utilizzando la stessa modalità che aveva funzionato nel 1860 contro i Borboni: uno sbarco in Sicilia con un piccolo esercito di volontari, una rapida risalita della penisola arruolando nuovi volontari per poter arrivare a distruggere il potere temporale dei papi.
Ma a Torino il governo italiano non poteva permettersi un incidente diplomatico: il papa non era il re delle Due Sicilie. Nel 1860 il governo piemontese aveva potuto far finta di non sapere che cosa Garibaldi stesse tramando perché Francia e Inghilterra erano d’accordo sulla fine dei Borboni; ora, invece, non era pensabile che il nuovo governo italiano lasciasse agire nel suo territorio una banda di ribelli che volevano andare all’attacco di uno Stato straniero. Il generale Enrico Cialdini venne quindi mandato a bloccarli.

Lo scontro all’Aspromonte

Il 29 giugno 1862 i bersaglieri del colonnello Emilio Pallavicini raggiunsero Garibaldi sui monti dell’Aspromonte in Calabria. Qui i garibaldini erano arrivati tre giorni prima provenendo dalla Sicilia, ma non avevano trovato l’accoglienza che si aspettavano, mentre altri volontari in arrivo venivano bloccati e arrestati. L’ordine di Cialdini a Pallavicini era di non venire a patti e di non accettare altro fuorché la resa. La situazione era drammatica perché si fronteggiavano italiani contro italiani che fino a poco prima avevano lottato per lo stesso scopo: Garibaldi era per tutti un mito, tra i bersaglieri molti soldati e ufficiali che erano stati con lui in campagne precedenti, anche Pallavicini, avevano combattuto in Crimea, nella guerra del 1859 e contro i Borboni.
Quando le truppe di Pallavicini cominciarono a fare fuoco, Garibaldi corse avanti ordinando di non sparare, ma alcuni giovani volontari, che facevano parte del gruppo di Menotti Garibaldi, risposero. Nello scontro una palla colpì il Generale alla coscia e una al malleolo. Appena videro il loro capo ferito, i garibaldini si ritirarono, mentre i loro ufficiali accorrevano accanto a Garibaldi. Anche i bersaglieri cessarono il fuoco. Lo scontro era durato una decina di minuti, ma comunque era costato sette morti e 20 feriti tra i garibaldini, tra cui Menotti leggermente ferito a un polpaccio, cinque morti e 23 feriti tra le truppe regolari.
Disteso sotto un albero, Garibaldi, ricevette un ordine di resa da un tenente dei bersaglieri che gli parlò molto villanamente. Intervenne allora il colonnello Pallavicini che, dopo essere sceso da cavallo, gli ripeté la richiesta con la dovuta cortesia. A questo punto Garibaldi accettò di arrendersi.

Garibaldi prigioniero

La ferita al malleolo apparve subito grave. Garibaldi fu trasportato a braccia su una barella di fortuna in direzione della costa. Nella notte dormì nella capanna di un pastore mentre la febbre cominciava a salire. Il giorno dopo, raggiunta la costa, chiese di essere imbarcato su una nave inglese, ma non gli fu concesso. Si rese conto di essere un prigioniero e come tale fu imbarcato su una nave da guerra italiana diretta al carcere di La Spezia, insieme a Menotti, una decina di ufficiali e tre medici. Alla sua partenza assisté lo stesso Cialdini, che non si degnò neppure di salutare il vinto.
Dei circa 3000 volontari guidati da Garibaldi, solo alcune centinaia riuscirono a fuggire. Gli altri furono arrestati e imprigionati. Tutti loro e lo stesso Garibaldi vennero amnistiati alla prima occasione possibile: il matrimonio di Maria Pia di Savoia, figlia di Vittorio Emanuele II, con il re del Portogallo il 5 ottobre 1862.
Per molti mesi i migliori medici italiani e stranieri cercarono di curare la ferita al piede del Generale, che non guariva perché non si era riusciti a estrarre la pallottola e quindi continuava a suppurare, dando dolori e febbre alta. Si voleva a tutti i costi evitare l’amputazione. Finalmente, alla fine di novembre l’operazione di rimozione della pallottola riuscì e Garibaldi poté tornare a Caprera, anche se le conseguenze della ferita gli rimasero per il resto della vita, complicando la grave artrosi di cui soffriva. In ogni caso la ferita al piede, le lunghe e dolorose cure e la difficile guarigione accrebbero ancor più la fama del Generale: la pallottola, lo stivale, le foto del malato e dei suoi medici entrarono a far parte degli oggetti su cui si costruiva il suo mito.

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Alessandro Duroni, Il dottor Paltridge visita Garibaldi ferito ad Aspromonte, 1862

Le reazioni

Diverse dimostrazioni a sostegno di Garibaldi si erano avute in tutta Italia all’annuncio della nuova partenza dei garibaldini per conquistare Roma. Quando cominciarono ad arrivare le notizie, confuse e incerte, sullo scontro all’Aspromonte e su Garibaldi ferito e forse morto, scoppiarono tumulti in diverse città italiane. A Milano i manifestanti furono caricati dalla cavalleria e si ebbero un morto, parecchi feriti e molti arresti.
L’episodio ebbe molta risonanza anche a livello internazionale: a Londra, 100.000 persone si radunarono a Hyde Park per manifestare la loro solidarietà e lord Palmerston offrì un letto speciale per la convalescenza dell’eroe.
Una dura polemica si scatenò tra gli esponenti della destra e della sinistra. I mazziniani accusarono il governo di aver combattuto «per il papa» e di aver tradito la rivoluzione italiana. I giornali della destra presentarono Garibaldi come «ribelle al re e alla patria» e vero responsabile del «deplorevole episodio di lotta civile» e lodarono il governo perché era stato capace di controllare i disordini interni dimostrando al mondo che l’Italia era un vero Stato.

Guida alla Lettura

1) Perché il governo italiano intervenne contro la nuova impresa di Garibaldi, mentre solo due anni prima ne aveva appoggiata una analoga?

2) Secondo te, i garibaldini erano una banda di ribelli? Tu li avresti appoggiati?

3) Perché Garibaldi cercò di sfuggire allo scontro e ordinò ai suoi di non sparare?

4) Perché, secondo te, qualcuno gli disobbedì?

5) Perché Garibaldi e i suoi uomini furono incarcerati, ma appena possibile furono amnistiati?

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