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Napoleone III: da rivoluzionario a imperatore

Sulla scena storica dell’Ottocento, Luigi Napoleone Bonaparte, che poi assunse il nome di Napoleone III, ha interpretato il ruolo di uomo del destino, erede della famiglia Bonaparte e insieme difensore delle classi lavoratrici, in un bel mix di populismo, diremmo oggi, mostrandosi di volta in volta rivoluzionario, riformista, dittatore autoritario e stratega politico.

Gli anni della formazione politica

Era doppiamente imparentato con il suo famoso predecessore, l’imperatore Napoleone I, in quanto figlio del fratello Luigi e di Ortensia de Beauharnais, figlia di un precedente matrimonio di Giuseppina, prima moglie di Napoleone.
Non era automatico che governasse la Francia, perché dal punto di vista ereditario lo precedevano il figlio di Napoleone, Francesco Carlo Napoleone II, morto a ventun anni nel 1832 e il fratello maggiore, Napoleone Luigi, morto di vaiolo nel 1831. Inoltre l’impero napoleonico era stato scalzato dal rientro delle famiglie reali di Borbone Orléans e le tensioni per ricostituire un governo repubblicano restavano forti.
Una volta però venuti a mancare gli altri pretendenti, Luigi Napoleone fu considerato l’erede della dinastia napoleonica.
Nato nel 1808, cominciò la sua carriera politica, vestendo i panni del rivoluzionario: partecipò come carbonaro ai moti italiani del 1831 in Romagna e nelle Marche in difesa delle nazionalità oppresse. Una citazione di cronaca ci racconta che in seguito al fallimento dei moti, braccato dagli austriaci, si salvò grazie all’intervento della madre, che chiese aiuto a un influente prelato, Giovanni Maria Mastai Ferretti, il futuro papa Pio IX.
Dopo questa sfortunata prova, tentò un colpo di stato in Francia a partire da Strasburgo, infine volle sollevare una rivoluzione con uno sbarco nel porto di Boulogne, approfittando del rientro della salma di Napoleone da Sant’Elena. Tutti i tentativi furono degli insuccessi, condotti in modo improvvisato, così che, più che rivoluzionario, venne considerato un fallito.
Queste mosse contribuirono però a risollevare la passione, mai sopita in molti francesi, per il bonapartismo. Fu condannato a vita nella fortezza di Ham, da cui evase dopo sei anni di dorata, ma umiliante prigionia, per rifugiarsi a Londra. Negli anni del carcere si dedicò a studi politici che lo rivelarono alla nazione, come un discreto scrittore vagamente socialista, sostanzialmente molto fiero dell’essere un rappresentante dei Bonaparte.

 

Protagonista della politica francese ed europea

Rientrò in Francia dopo la rivoluzione del 1848 in piena Seconda Repubblica, sostenuto dai bonapartisti, ancora infatuati dal mito napoleonico. A dicembre di quell’anno fu eletto presidente della Repubblica; nel 1851 assunse poteri dittatoriali, nel 1852 fu proclamato imperatore.

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Napoleone III in un ritratto ufficiale di Franz Xaver Winterhalter, 1855, olio su tela, 240x155 cm, Museo Napoleonico, Roma.

​La prova della Repubblica Romana nel 1849

Appena divenne presidente della Repubblica, i patrioti italiani confidarono in lui per un aiuto alla causa dell’indipendenza e della formazione di uno stato costituzionale in Italia, ma la situazione internazionale ridimensionò amaramente le loro speranze.
La prova venne in occasione della proclamazione della Repubblica Romana del 1849.
Il papa Pio IX, fuggito dallo Stato Pontificio, chiese aiuto alle potenze cattoliche internazionali Austria, Francia, Regno delle Due Sicilie e Spagna tramite il segretario di Stato, cardinale Antonelli. In una nota egli invocò l’intervento per «conservare integro il patrimonio della Chiesa e la sovranità che vi è annessa, così indispensabile a mantenere, come Capo Supremo della Chiesa stessa […] si rivolge di nuovo a quelle stesse potenze, e specialmente a quelle cattoliche […] nella certezza che vorranno con ogni sollecitudine concorrere […]».
L’Austria, uscita vittoriosa dalla guerra con il Regno di Sardegna nel marzo del 1849, si occupò di ristabilire l’ordine e il governo a Bologna, Mantova, Ancona e in Toscana; la Francia di Luigi Napoleone si incaricò di abbattere la Repubblica Romana. Il sacrificio della repubblica mazziniana fu bollato come infame tradimento dai patrioti italiani e dai rappresentanti della sinistra francese, ma era conseguenza di una scelta opportunistica in politica interna ed estera: Napoleone aveva bisogno dell’appoggio dei cattolici conservatori francesi per consolidare il suo ruolo di presidente della Repubblica, mostrandosi difensore della cristianità secondo la tradizione di Carlo Magno (forse anche in ricordo dell’aiuto che Pio IX gli aveva dato nel lontano 1831). In tal modo sarebbe apparso agli occhi dell’opinione pubblica un moderato, cancellando la precedente immagine di sostenitore delle nazionalità oppresse. In politica estera voleva far assumere alla Francia un ruolo attivo in Italia, per evitare di lasciarla completamente sotto il controllo austriaco.
Per vendicare l’intervento contro la Repubblica Romana, Felice Orsini, un infiammato mazziniano, organizzò un attentato a Parigi nel 1857 per uccidere Napoleone, ormai imperatore. Non raggiunse lo scopo e causò la morte di 12 persone. Fu condannato a morte e anzi Napoleone ne approfittò per scatenare una violenta repressione contro i repubblicani francesi.

 

Il colpo di stato del 1851

Disprezzato dai suoi avversari politici (lo scrittore Victor Hugo lo definì «Napoléon le petit»), Luigi Napoleone, fra il 1849 e il 1852, seppe destreggiarsi astutamente fra tentativi rivoluzionari sia conservatori che di sinistra, mostrandosi come l’uomo del partito dell’ordine e del rispetto della voce popolare, finché il 2 dicembre del 1851 organizzò un colpo di stato che incontrò poca o nessuna resistenza per l’appoggio dei ceti dominanti. Furono erette delle barricate nella capitale e in provincia, ma furono smantellate in breve tempo. I morti furono un migliaio, ma ben più aspra fu la repressione successiva: 26.000 avversari politici furono arrestati e mandati nelle colonie penali. Nonostante la brutalità dell’intervento, Napoleone ottenne l’appoggio dell’esercito e del popolo, fece emanare una nuova costituzione, in cui era previsto il suffragio universale, ma anche lo svuotamento del potere legislativo del Parlamento, che poteva solo ratificare le decisioni presidenziali. Dopo pochi mesi si proclamò imperatore, inaugurando il Secondo Impero: per i sostenitori un impero liberale e liberista, per gli oppositori una dittatura conservatrice e reazionaria. Di fatto fu un governo autoritario che godeva dell’appoggio del popolo a cui direttamente si rivolgeva l’imperatore, attraverso il suffragio universale: si inaugurava prematuramente la stagione dei plebisciti, tipici delle dittature del Novecento.
Fa riflettere il seguente giudizio di Luigi Salvatorelli: «Mentre il primo regime imperiale (di Napoleone Bonaparte) era andato verso un assolutismo personalistico sempre più completo, il Secondo Impero seguì un’evoluzione contraria, fino a trasformarsi nell’Impero liberale, cioè in una monarchia costituzionale vera e propria, salvo la persistente ambiguità che l’imperatore era responsabile davanti al popolo francese, a cui poteva sempre fare appello».

 

La politica interna

Napoleone III si dedicò alla modernizzazione del paese, dando forte impulso alla seconda rivoluzione industriale e trasformando la Francia in potenza capitalistica. Fu costruita un’efficiente rete ferroviaria, si espanse l’estrazione mineraria di ferro e carbone, furono fondate grandi industrie, si sviluppò la finanza con la fondazione di Societé Générale e Crédit Lyonnais, due banche ancora oggi esistenti nel gruppo Crédit Agricole.
Volle dare una nuova impostazione urbanistica a Parigi, trasformandola in moderna capitale, rispettosa dei più recenti criteri d’igiene, ma anche dalla grandeur spettacolare. Chiamò il barone Haussmann che, insieme ai successori, costruì il volto attuale di Parigi. Per evitare la diffusione di epidemie, favorire la circolazione dell’aria e rimodernare la rete fognaria, fece abbattere interi quartieri medievali, malsani e cadenti, sostituendoli con ampi boulevards (viali) che si dirigevano in modo scenografico verso un monumento rappresentativo del potere. Lungo i viali furono costruiti nuovi quartieri, infatti furono distrutte più di 20.000 case e ne furono costruite più di 40.000.
La nuova urbanizzazione gravò pesantemente sulle finanze francesi, ma aveva uno scopo politico non dichiarato: impedire alle masse popolari rivoluzionarie di erigere barricate all’interno delle anguste stradine della città vecchia e bloccare l’intervento della forza pubblica. Infatti i grandi viali permisero lo scorrimento veloce di forze armate: ancora oggi grandi parate militari si tengono lungo il viale degli Champs-Élysées.

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Gli Champs-Élysées nel 1905 e oggi

​La politica estera e il rapporto con il Regno di Sardegna

L’intenzione di Napoleone era di assegnare di nuovo alla Francia un ruolo di primo piano nel contesto delle grandi potenze. Nel decidere per esempio di partecipare alla guerra di Crimea del 1854, giocò a scompaginare gli accordi stabiliti dalla Santa Alleanza nel 1815: ufficialmente volle assumere il ruolo di paladino della cristianità e in questo gioco politico venne assecondato dalla Turchia, ma osteggiato dalla Russia, che nel frattempo era riuscita a isolare dalle altre potenze europee. Riuscì infine a convincere l’opinione pubblica francese che appoggiò l’operazione militare.
Nei confronti dell’Italia la strategia era precisa: di fronte alle pressioni dei rivoluzionari italiani, era sicuramente contrario alla formazione di un grande regno unitario al confine con la Francia; piuttosto preferiva la formazione di uno stato cuscinetto, come un Piemonte ingrandito a tutta l’Italia settentrionale, forte a sufficienza per fronteggiare l’Austria; intendeva poi estendere il controllo francese sulla Toscana e possibilmente sul Regno delle Due Sicilie (da sottrarre all’influenza inglese), per avere un avamposto filofrancese al centro del Mediterraneo; infine difendeva a oltranza lo Stato della Chiesa, secondo la tradizione francese.
La sorte volle che Napoleone III incontrasse sulla sua strada Cavour. Lo spregiudicato conte piemontese si rivelò più abile dell’imperatore, giocò con perizia le sue carte, prendendo decisioni immediate e arrivando a contrastare il suo stesso re, Vittorio Emanuele II. Dopo la partecipazione del Piemonte alla guerra di Crimea, Cavour incontrò Napoleone III nella stazione termale di Plombières, coinvolgendolo in un’alleanza antiaustriaca, fino a far scoppiare la Seconda guerra d’indipendenza. L’imperatore francese intervenne nella guerra, grazie anche alla promessa di annettere alla Francia, Nizza e Savoia (cosa che avvenne con un plebiscito nel 1860), ma dopo la battaglia di Solferino, firmò l’armistizio con l’Austria a Villafranca, senza la presenza di Vittorio Emanuele. Le condizioni del trattato erano così svantaggiose che il primo ministro Cavour si dimise all’istante.

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Jean Louis-Ernest Meissonier, Napoleone III a Solferino, 1863, olio su tela, 44x76 cm,
Museo nazionale del castello di Compiègne.

Perché Napoleone III firmò l’armistizio, fermandosi alla conquista della Lombardia e senza procedere a quella del Veneto, secondo gli accordi di Plombières? Ci sono varie interpretazioni: l’alto numero dei militari caduti nelle battaglie; l’ostilità crescente dell’opinione pubblica francese conservatrice e cattolica verso la guerra; il timore di lasciare sguarnito il confine orientale francese con il rischio di un’invasione da parte della Prussia che si stava riarmando lungo il Reno; la percezione di essere diventato uno strumento nelle mani di Cavour che stava per costruire uno Stato più forte del previsto, ma con un impegno militare limitato. Lo storico Eugenio Di Rienzo propende per quest’ultima versione, ma è probabile che ci fosse una concomitanza di motivi.

Fortunatamente dopo alcuni mesi Cavour riprese il suo posto e continuò la sua opera diplomatica, destreggiandosi fra le grandi potenze: Austria, Inghilterra, Francia e Prussia che a livello internazionale condizionavano in vario modo la politica italiana. Da convinto liberal conservatore, Cavour seppe infine controllare le spinte rivoluzionarie, a cominciare dall’intervento di Garibaldi, temuto da Napoleone III e in parte anche dalla Prussia, non osteggiato dagli inglesi. Il risultato fu la fondazione del Regno d’Italia che Napoleone III riconobbe un po’ a malincuore solo alcuni mesi, dopo, nel giugno del 1861.

Gli ultimi anni dell’impero

La sua condotta politica tentennante fra l’essere pro o contro il Regno d’Italia si vide in occasione della cosiddetta Terza guerra d’indipendenza nel 1866, determinata da una forte tensione fra Prussia e Austria per il predominio sul popolo tedesco.
Napoleone III attuò una strategia complessa: per quanto riguardava l’Italia, continuava a immaginare la penisola divisa in tre stati: a nord il Piemonte con Lombardia e Veneto, al centro lo Stato della Chiesa un po’ ingrandito e a sud uno stato analogo al Regno borbonico. Nello stesso tempo, in contrasto con il principio di nazionalità, mirava a impossessarsi dei territori tedeschi a ovest del Reno ambiti dalla Prussia (alleata dell’Italia contro l’Austria). In cambio avrebbe concesso alla Prussia di inglobare la Sassonia e altri territori. Mirava infatti a indebolire la Confederazione germanica in una specie di Risiko delle nazioni ormai superato nella mentalità politica dell’epoca. Infine firmava un accordo segreto con l’Austria, in base al quale non si sarebbe opposto se in Italia si fossero verificate insurrezioni conservatrici per portare sul trono i governanti precedenti al 1859.
Accadde invece che i prussiani vincessero a Sadowa e l’Italia, nonostante le gravi sconfitte di Custoza e Lissa, potesse ottenere il Veneto, anche se con procedura contorta e un po’ umiliante: l’Austria l’avrebbe ceduto alla Francia che a sua volta l’avrebbe passato all’Italia.
La strategia politica di Napoleone in questi ultimi anni di regno non fu la migliore: si inimicò definitivamente la pericolosa e confinante Prussia, non ottenne simpatia e sostegno dall’Austria, contro cui aveva combattuto a favore dell’Italia, fu guardato con ostilità anche dallo Stato italiano per il suo persistente appoggio allo Stato Pontificio per impedire che Roma divenisse capitale d’Italia.
Nel 1870, caduto nella rete diplomatica del cancelliere tedesco Otto von Bismarck, Napoleone iniziò la disastrosa guerra franco-prussiana, che portò al crollo del suo impero e alla nascita dell’Impero tedesco. In suo aiuto non intervenne l’Austria e, appena Napoleone fu sconfitto a Sedan (dove si consegnò ai prussiani), l’Italia ne approfittò per conquistare Roma con i bersaglieri il 20 settembre 1870.
Andato in esilio a Londra dopo la sconfitta, Luigi Napoleone morì tre anni dopo.

Riflessioni: Napoleone e l’Italia

Napoleone III in conclusione fu un fautore o un avversario dell’unificazione italiana?
Sicuramente senza la forza militare della Francia, il piccolo Piemonte non avrebbe avuto alcuna possibilità di riuscita sul piano militare in una guerra contro il potente Impero asburgico. Un’insurrezione popolare nazionale, come auspicava Mazzini, sarebbe stata improbabile e irrealizzabile.
Bisogna poi considerare che in modo alterno e tenendo conto degli interessi francesi, Napoleone si schierò a favore del principio della difesa delle nazionalità in opposizione alla Santa Alleanza del 1815. Assunse un ruolo per l’epoca “moderno” al punto di correre dei rischi con gli oppositori francesi e il contesto internazionale, per favorire in fondo l’indipendenza di un altro Stato: l’Italia.

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