top of page

Sei in: Fare l'Italia, fare gli italiani - Un decennio di preparazione e di guerre (1850-1859) - 3 SOGGETTI E PROTAGONISTI - Carlo Pisacane: il testamento

Carlo Pisacane: il testamento

Carlo Pisacane, prima di imbarcarsi per l’impresa di Sapri, consegnò all’inviata di Mazzini, la giornalista inglese Jessie White, quello che è considerato il suo testamento politico.

Genova, 24 giugno 1857.

Nel momento d’avventurarmi in una intrapresa risicata, voglio manifestare al paese la mia opinione per combattere la critica del volgo, sempre disposto a far plauso ai vincitori e a maledire ai vinti.
I miei principî politici sono sufficientemente conosciuti; io credo al socialismo, ma ad un socialismo diverso dai sistemi francesi, tutti più o meno fondati sull’idea monarchica e dispotica, che prevale nella nazione: esso è l’avvenire inevitabile e prossimo dell’Italia e fors’anche dell’Europa intiera. Il socialismo, di cui parlo, può definirsi in queste due parole: libertà e associazione. Questa opinione fu da me sviluppata in due volumi, che ho composto, frutto di quasi sei anni di studi, ai quali per mancanza di tempo non ho potuto dedicare le ultime cure che richiedono lo stile e la dizione. Se qualcheduno fra [i] miei amici volesse surrogarmi e pubblicare questi due volumi, io gliene sarei riconoscentissimo.
Io sono convinto che le strade di ferro, i telegrafi elettrici, le macchine, i miglioramenti dell’industria, tutto ciò finalmente che sviluppa e facilita il commercio, è da una legge fatale destinato ad impoverire le masse fino a che il riparto dei benefizi sia fatto dalla concorrenza. Tutti quei mezzi aumentano i prodotti, ma li accumolano in un piccolo numero di mani, dal che deriva che il tanto vantato progresso termina per non esser altro che decadenza. Se tali pretesi miglioramenti si considerano come un progresso, questo sarà nel senso di aumentar la miseria del povero per spingerlo infallibilmente a una terribile rivoluzione, la quale cambiando l’ordine sociale metterà a profitto di tutti ciò che ora riesce a profitto di alcuni.
Io sono convinto che l’Italia sarà grande per la libertà o sarà schiava: io sono convinto che i rimedî temperati, come il regime costituzionale del Piemonte e le migliorie progressive accordate alla Lombardia, ben lungi dal far avanzare il risorgimento d’Italia, non possono che ritardarlo. Per quanto mi riguarda, io non farei il più piccolo sacrifizio per cambiare un ministero o per ottenere una costituzione, neppure per scacciare gli Austriaci dalla Lombardia e riunire questa provincia al regno di Sardegna. Per mio avviso la dominazione della casa di Savoia e la dominazione della casa d’Austria sono precisamente la stessa cosa. Io credo pure che il regime costituzionale del Piemonte è più nocivo all’Italia di quello che lo sia la tirannia di Ferdinando II. Io credo fermamente che se il Piemonte fosse stato governato nello stesso modo che lo furono gli altri Stati italiani, la rivoluzione d’Italia sarebbe a quest’ora compiuta.
Questa opinione pronunciatissima deriva in me dalla profonda mia convinzione di essere la propagazione dell’idea una chimera e l’istruzione popolare un’assurdità. Le idee nascono dai fatti e non questi da quelle, ed il popolo non sarà libero perché sarà istrutto, ma sarà ben tosto istrutto quando sarà libero. La sola cosa, che può fare un cittadino per essere utile al suo paese, è di attendere pazientemente il giorno, in cui potrà cooperare ad una rivoluzione materiale: le cospirazioni, i complotti, i tentativi di insurrezione sono, secondo me, la serie dei fatti per mezzo dei quali l’Italia s’incammina verso il suo scopo, l’unità. L’intervento della baionetta di Milano ha prodotto una propaganda molto più efficace che mille volumi scritti dai dottrinari, che sono la vera peste del nostro paese e del mondo intiero.

Vi sono delle persone che dicono: la rivoluzione dev’esser fatta dal paese. Ciò è incontestabile. Ma il paese è composto di individui, e se attendessero tranquillamente il giorno della rivoluzione senza prepararla colla cospirazione, la rivoluzione non scoppierebbe mai. Se al contrario tutti dicessero: la rivoluzione deve farsi dal paese e siccome io sono parte infinitesimale del paese, così ho io pure la mia parte infinitesimale di dovere da adempiere, e l’adempisse, la rivoluzione sarebbe fatta immediatamente e riuscirebbe invincibile perché immensa. Si può non esser d’accordo sulla forma di una cospirazione, sul luogo e sul tempo in cui una cospirazione debba compiersi: ma non essere d’accordo sul principio è un’assurdità, un’ipocrisia, un modo di celare il più basso egoismo.
Io stimo colui che approva la cospirazione ed egli stesso non cospira: ma non sento che disprezzo per coloro, che non solo non voglion far niente ma che si compiacciono nel biasimare e nel maledire gli uomini d’azione. Secondo i miei principî avrei creduto di mancare ad un sacro dovere se vedendo la possibilità di tentare un colpo di mano su d’un punto bene scelto ed in circostanze favorevoli, non avessi spiegato tutta la mia energia per eseguirlo e farlo riuscire a buon fine.
Io non ho la pretesa, come molti oziosi me ne accusano per giustificare se stessi, di essere il salvatore della patria. No: ma io sono convinto che nel mezzogiorno dell’Italia la rivoluzione morale esiste: che un impulso energico può spingere le popolazioni a tentare un movimento decisivo ed è perciò che i miei sforzi si sono diretti al compimento di una cospirazione che deve dare quello impulso. Se giungo sul luogo dello sbarco, che sarà Sapri, nel Principato citeriore, io crederò aver ottenuto un grande successo personale, dovessi pure lasciar la vita sul palco. Semplice individuo, quantunque sia sostenuto da un numero assai grande di uomini generosi, io non posso che ciò fare, e lo faccio. Il resto dipende dal paese, e non da me. Io non ho che la mia vita da sacrificare per quello scopo ed in questo sacrifizio non esito punto.
Io sono persuaso, se l’impresa riesce, otterrò gli applausi generali: se soccombo, il pubblico mi biasimerà. Sarò detto pazzo, ambizioso, turbolento, e quelli, che nulla mai facendo passano la loro vita nel criticare gli altri, esamineranno minuziosamente il tentativo, metteranno a scoperto i miei errori, mi accuseranno di non esser riuscito per mancanza di spirito, di cuore e di energia...
Tutti questi detrattori, lo sappiano bene, io li considero non solo incapaci di fare ciò che si è da me tentato, ma anche di concepirne l’idea. A quelli che diranno che l’impresa era d’impossibile riuscita io rispondo che se prima di combinare di tali imprese si dovesse ottenerne l’approvazione nel mondo bisognerebbe rinunziarvi. Il mondo non approva in prevenzione che i disegni volgari. Fu detto un pazzo colui che fece in America l’esperimento del primo battello a vapore, e si è più tardi dimostrata l’impossibilità di traversare l’Atlantico con tali battelli. Era un pazzo il nostro Colombo prima di aver scoperto l’America, e l’uomo volgare avrebbe trattato di pazzi e d’imbecilli Annibale e Napoleone se avessero avuto a soccombere quello alla Trebbia, questo a Marengo. Io non pretendo paragonare la mia impresa con quelle di questi grandi uomini. Essa per altro loro rassomiglia in una parte: perché sarà l’oggetto dell’universale disapprovazione se fallisco, e dell’ammirazione di tutti se riesco. Se Napoleone prima di abbandonare l’isola d’Elba per sbarcare a Fréjus con cinquanta granatieri avesse domandato dei consigli, il suo progetto sarebbe stato biasimato all’unanimità.
Napoleone aveva ciò ch’io non ho, il prestigio del suo nome, ma io unisco alla mia bandiera tutte le affezioni e tutte le speranze della rivoluzione italiana. Combatteranno con me tutti i dolori e tutte le miserie d’Italia.
Io più non aggiungo che una parola: se non riesco disprezzo profondamente l’uomo ignobile e volgare che mi condannerà: se riesco apprezzerò assai poco i suoi applausi. Ogni mia ricompensa io la troverò nel fondo della mia coscienza e nell’animo di questi cari e generosi amici, che mi hanno recato il loro concorso ed hanno diviso i battiti del mio cuore e le mie speranze: che se il nostro sacrifizio non apporta alcun bene all’Italia, sarà almeno una gloria per essa l’aver prodotto dei figli che vollero immolarsi al suo avvenire.

Sottoscritto
CARLO PISACANE

 

Da http://www.liberliber.it

Guida alla Lettura

1) Perché questa lettera è considerata il testamento politico di Pisacane? Da che cosa lo capisci? Analizza il sentimento che ispira il patriota e fai le tue ipotesi. Poi confrontale con quelle dei compagni.

2) Perché Pisacane considera più nocivo il regime costituzionale del Piemonte rispetto a quello assoluto di Fernando II nel Regno delle Due Sicilie?

3) Pisacane afferma che il popolo è «sempre disposto a far plauso ai vincitori e a maledire ai vinti». Condividi questa affermazione? Spiega perché sì o perché no. Se possibile, fai qualche riferimento alla storia del Risorgimento o all’attualità.

4) In che cosa consiste la “filosofia dell’azione” di Pisacane? La condividi? Spiega perché sì o perché no. Esprimi poi un giudizio sulla statura politica del personaggio e confrontalo con i compagni.

5) Pisacane si professa socialista. Spiega con parole tue su quali concetti si basa il socialismo di Pisacane. Scegli fra i seguenti i tre aggettivi più adatti a definirlo e utilizzali.

riformista – rivoluzionario – costituzionale – ugualitario – classista – innovativo − democratico – repubblicano – monarchico.

6) In che cosa il pensiero politico di Pisacane è vicino a quello di Mazzini? In che cosa, invece, si differenzia? Consulta l’unità Il pensiero politico di Mazzini e rispondi confrontandoti con i compagni.

bottom of page