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Sei in: Fare l'Italia, fare gli italiani - Il biennio 1848-1849 - 2 SPAZI, TEMPI, EVENTI - 2.4 La Prima Guerra d'indipendenza - La Prima guerra d'indipendenza e il ruolo di Carlo Alberto 

La Prima guerra d’indipendenza e il ruolo di Carlo Alberto

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La guerra tra il Regno di Sardegna e l’Impero austriaco del 1848-1849 è passata alla storia come Prima guerra d’indipendenza, ma fu lo sbocco di attriti e contrasti di vario genere tra i due stati e l’idea di liberare e unificare l’Italia non era certamente fra le motivazioni di Carlo Alberto alla vigilia della guerra.
I motivi di scontro con l’Austria erano soprattutto di tipo economico: l’ostilità austriaca a una ferrovia che collegasse Genova, Torino e Milano, che interessava invece il Piemonte come stimolo allo sviluppo dei propri commerci; la rivalità dei porti di Trieste e Genova come punti di transito per le merci dirette all’Europa settentrionale, soprattutto verso la Germania; contrasti doganali sul sale diretto in Svizzera; alti dazi imposti nell’Impero austriaco sui formaggi e sul vino piemontesi. Carlo Alberto sperava poi di estendere il territorio del Regno nella Pianura Padana conquistando la Lombardia. Nel 1848 in molte città europee e italiane si verificarono insurrezioni e moti di piazza che chiedevano, oltre alla Costituzione (come già negli anni venti e trenta) il riconoscimento di diritti di autodeterminazione dei popoli e di giustizia sociale.
A Milano tra il 18 e il 22 marzo insorti di ogni ceto sociale, aiutati anche da molti abitanti del contado, avevano cacciato le truppe austriache presenti in città e avevano instaurato un governo provvisorio presieduto da Gabrio Casati: la vicenda è nota come le Cinque Giornate di Milano.

 

L’occasione era favorevole ai progetti espansionistici di Carlo Alberto ed egli chiese garanzie al governo provvisorio milanese (in cui erano presenti anche personalità non favorevoli ai Savoia, come Carlo Cattaneo); convocò quindi il Consiglio dei ministri per deliberare sulla guerra. Il 24 marzo 1848 varcò il Ticino aprendo così le ostilità contro l’Austria. 

Mansi, Ritratto di Carlo Alberto di Savoia, litografia, 1860 

La guerra ebbe due fasi.
La prima fase nel 1848, dal 24 marzo al 9 agosto fu caratterizzata da una forte partecipazione di volontari: non solo i milanesi, che avevano già cacciato gli austriaci durante le Cinque Giornate, prima dell’intervento piemontese, ma anche corpi di spedizione da tutta la penisola: da Napoli 10-12.000 uomini al comando di Guglielmo Pepe, molti altri da Roma, molti dalla Toscana (soprattutto studenti universitari).
La prima fase della guerra fu condotta con grande coraggio, ma con strategia incerta. A Carlo Alberto sono state attribuite molte responsabilità per alcune incertezze nella gestione della guerra: per esempio perse giorni preziosi a Milano aspettando i risultati di un plebiscito per l’annessione della Lombardia al Regno di Sardegna, mentre l’esercito austriaco aveva tempo di riorganizzarsi nelle fortezze del Quadrilatero: Peschiera, Verona, Legnago, Mantova.

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Il Quadrilatero 

La guerra d’altronde era stata preparata in fretta e lo Stato maggiore non conosceva la posizione delle fortezze e dei reggimenti nemici. Molti dei generali, poi, non avevano una vera formazione militare e una preparazione adeguata, erano semplicemente dei nobili, entrati nella carriera militare per accedere a un titolo onorifico e prestigioso più che per esercitare una professione vera e propria.
Ci furono comunque diverse vittorie iniziali tra aprile e giugno: a Goito, in due diversi scontri a distanza di oltre un mese, a Pastrengo e a Peschiera con la conquista della fortezza. Anche i volontari toscani si distinsero nella battaglia di Curtatone e Montanara.
Nel frattempo però il papa aveva ritirato il suo appoggio (30 aprile) e richiamato i volontari in quanto sosteneva di non poter appoggiare una guerra contro un impero cristiano cattolico come quello austriaco. Altri volontari furono ritirati o si allontanarono anche perché dallo Stato maggiore e da Carlo Alberto stesso venivano guardati con diffidenza in quanto ispirati da ideali liberali o addirittura democratici o repubblicani. Venuto meno l’apporto dei volontari in prima linea l’esercito si trovò sguarnito e, attaccato dagli austriaci al comando del maresciallo Radetzky, fu sconfitto a Sommacampagna e Custoza il 24 e il 25 luglio. Il 5 agosto Carlo Alberto abbandonò Milano e rientrò nel territorio piemontese. Pochi giorni dopo firmò l’armistizio di Salasco (9 agosto).

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Il ponte di Curtatone durante la battaglia del 1848

Nella battaglia di Curtatone si trovò impegnata una colonna di truppe proveniente dal Granducato di Toscana di circa 6000 uomini tra cui erano inseriti circa 450 tra studenti e professori dell’Università di Pisa e di Siena. I volontari toscani impegnarono per l’intera giornata del 29 maggio 1848 le truppe austriache numericamente molto superiori (circa 8500 uomini). Subirono gravi perdite e a fine giornata ripiegarono verso Peschiera dove aveva combattuto il grosso dell’esercito di Carlo Alberto.
A Montanara invece, furono impegnati i volontari napoletani che resistettero a numerosi assalti, ma alla fine furono accerchiati e fatti prigionieri in gran numero. Solo pochi riuscirono a ritirarsi, unendosi a quelli provenienti da Curtatone.
Gli scontri di Curtatone e Montanara furono nel complesso un episodio secondario dal punto di vista militare nello svolgimento della Prima guerra d’indipendenza. Ebbero però una grande importanza simbolica per la testimonianza di coraggio e generosità dei giovani volontari e per il valore dimostrato contro uno degli eserciti più addestrati e meglio armati dell’epoca, quello austriaco.

Passaggio_Ticino_esercito_austriaco_1849

Il 20 marzo 1849 le truppe austriache preparano l’invasione del Regno di Sardegna
creando una testa di ponte sulla sponda occidentale del Ticino

La seconda fase della guerra fu brevissima: il 20 marzo del 1849 l’armistizio fu disconosciuto e il re riprese le ostilità contro l’Austria, spinto dal volere del Parlamento e del Governo, ma anche dalla propria volontà di riscatto e rivincita. In soli tre giorni il maresciallo Radetzky sconfisse l’esercito piemontese a Novara (23 marzo). Il re, che aveva invano cercato la morte in battaglia vedendo la disfatta delle proprie truppe, la sera stessa abdicò a favore del figlio Vittorio Emanuele. Sperava così di ottenere condizioni migliori per il Piemonte. Lasciò l’Italia dirigendosi in Portogallo, forse con il progetto di trasferirsi in America. In realtà morì pochi mesi dopo, il 28 luglio 1849.

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Giovanni Fattori, Una carica della cavalleria piemontese alla battaglia della Sforzesca durante la Prima guerra d'indipendenza, olio su tela, 1880

Dopo l’ingresso degli austriaci in territorio piemontese la conduzione della guerra divenne convulsa: ci furono episodi di grande valore come la resistenza presso la Cava di Luciano Manara e dei suoi, ma anche episodi di colpevole incompetenza. Il generale Gerolamo Ramorino, che ritirò le sue truppe isolando appunto il battaglione di Manara fu in seguito processato, condannato dalla corte marziale e fucilato a Torino il 20 maggio.

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