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L’impianto manualistico serve poco
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Bersaglieri e corazzieri
Fare l'Italia, fare gli italiani
Il processo di unificazione nazionale
Sei in: Fare l'Italia, fare gli italiani - Il contesto, gli attori, il perché del Risorgimento italiano - 3.1 SOGGETTI E PROTAGONISTI - I padri della Patria - Camillo Benso conte di Cavour
Camillo Benso conte di Cavour
Se tra i padri della Patria vogliamo considerare solo figure ben delineate come il volontario partecipe ai moti rivoluzionari, impermeabile a compromessi politici, passionale sostenitore dell’unità di uno Stato nazionale italiano sostenuto dal popolo, allora Camillo Benso conte di Cavour non dovrebbe comparire fra questi.
Tuttavia senza l’abilissima diplomazia di Cavour, l’Italia non sarebbe stata altro «che un’espressione geografica», secondo un’efficace frase di Metternich, cancelliere austriaco ai tempi del Congresso di Vienna.
I principi politici
Secondo una breve biografia, il conte Camillo Benso di Cavour nacque a Torino nel 1810 e qui morì nel 1861 ad appena 51 anni.
Appartenente a una ricca famiglia nobile, che si era legata al regime napoleonico, ricevette la classica educazione militare al seguito dei Savoia, ma la sua personalità vivace ed esuberante lo portò sin da giovanissimo a rifiutare l’ambiente della monarchia assoluta e le idee contrarie a ogni forma di libertà sia pubblica che individuale. Complessivamente la sua formazione fu illuminista, cioè laica (è sua la frase: «Libera Chiesa in libero Stato»). Egli fu infatti favorevole al matrimonio civile e a una visione non clericale della vita, rispettosa delle prerogative di un parlamento eletto dai cittadini e della separazione dei poteri, quindi liberale, ma fu favorevole anche alla libera iniziativa delle imprese e del commercio, quindi liberista.
Cavour a vent’anni
Cavour a vent’anni
Viaggiò molto in Inghilterra, in Belgio e in Francia, dove visitò fabbriche e studiò le leggi a sostegno dei poveri. Si convinse allora che lo sviluppo tecnologico e industriale avrebbe favorito il progresso degli stati e il miglioramento complessivo delle condizioni di vita. Non scese mai a sud di Genova.
Fondò un giornale quotidiano, «Il Risorgimento», il 15 dicembre 1847, dove nell’editoriale era scritto: «Il Risorgimento italiano è certo, è grande, è santo, è sancito ormai. – Dio lo vuole: Dio ce lo chiede, guai a chi lo tocchi. Dunque ancora: 1°: Indipendenza; 2°: Unione tra prìncipi e popoli; 3°: Progresso nella via delle riforme; 4°: Lega dei prìncipi italiani tra sé; 5°: Forte ed ordinata moderazione […]» (Cesare Balbo, 1789-1853). Cavour a sua volta scrisse un pezzo in cui «sottolineava la stretta relazione tra la libertà e l’avvenire economico della penisola» (Romeo). Infatti affermava: «Facciamo sì che tutti i nostri concittadini, ricchi e poveri, i poveri più dei ricchi, partecipino ai benefici della progredita civiltà, delle crescenti ricchezze, ed avremo risolto pacificamente, cristianamente il gran problema sociale, ch’altri pretenderebbe sciogliere con sovversioni tremende e rovine spaventose».
Le azioni politiche
Fu sindaco di Grinzane (provincia di Cuneo) per molti anni, poi ministro del Regno di Sardegna (prima dell’Agricoltura e del Commercio, poi delle Finanze) e infine, dal 1852, primo ministro quasi ininterrottamente fino al 1861.
In ognuno di questi incarichi introdusse innovazioni significative, secondo la sua filosofia:
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fece accordi di libero scambio doganale con Inghilterra, Belgio e Francia, cercando di favorire l’esportazione di prodotti piemontesi;
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introdusse l’uso di concimi chimici e fece costruire una rete di canali di irrigazione, fatti che riducevano drasticamente i danni di carestie improvvise;
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avviò al pareggio di bilancio lo Stato piemontese, imponendo tasse sulle proprietà della Chiesa e limitandone il suo strapotere;
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creò il primo nucleo di una banca nazionale: la Banca Nazionale degli Stati Sardi, che era l’unica autorizzata a emettere cartamoneta e aveva funzione di cassiere dello Stato.
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Come primo ministro agì in modo spregiudicato sia in politica interna che estera.
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In politica interna, per sostenere il suo governo conservatore, rifiutò l’appoggio dei deputati più clericali e reazionari e ottenne quello dei deputati della sinistra (allora non certo radicali) in un connubio che diede forma a un governo, diremmo oggi, centrista.
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In politica estera, per far conoscere il piccolo Regno di Sardegna alle grandi potenze di allora, non esitò a far partecipare il suo stato alla guerra di Crimea (1855-1856), a fianco di Francia, Inghilterra e Impero turco contro la Russia (che venne sconfitta). La guerra produsse numerosi risultati: dal primo uso tattico del telegrafo per testimoniare in diretta l’andamento del conflitto, all’isolamento e quindi indebolimento dell’Austria, che non volle schierarsi a fianco della Russia sua alleata storica. Ma il fatto più importante fu che Cavour poté sedere insieme alle grandi potenze vincitrici al Congresso di pace di Parigi, dove non ottenne ingrandimenti territoriali in cambio della partecipazione piemontese, ma, per la prima volta in una sede internazionale, pose almeno in discussione la questione del Risorgimento italiano. Uno storico tedesco per l’occasione coniò il nome di Realpolitik per indicare la politica di Cavour, che «non consiste nel proclamare ideali, ma nel raggiungere obiettivi concreti, di sapersi adattare rapidamente per gestire fatti nuovi». (Rusconi)
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Gli accordi di Plombières
Dopo la guerra di Crimea, riuscì a stabilire un rapporto di fiducia con la Francia di Napoleone III, ma anche con l’Inghilterra. Fu però con la Francia che stipulò un’alleanza in funzione antiaustriaca, con lo stesso Napoleone nella cittadina termale di Plombières: se l’Austria avesse minacciato militarmente il Piemonte ci sarebbe stata guerra e la Francia avrebbe appoggiato il Piemonte per conquistare il Lombardo-Veneto, in cambio della contea di Nizza e della regione della Savoia. La Francia avrebbe desiderato avere anche una specie di protettorato su Toscana e Regno delle Due Sicilie, per divenire la prima potenza del Mediterraneo. Cavour accettò e considerò gli accordi un suo personale successo, perché non rientrava nei suoi progetti la nascita di uno stato nazionale italiano. Egli puntava solo all’ingrandimento del Piemonte per trasformarlo in una potenza economica avanzata, capace di competere con le altre potenze europee.
Cavour nel 1856
Seconda guerra d’indipendenza e Spedizione dei Mille
Dopo abili provocazioni, Cavour ottenne che l’Austria cadesse nella trappola e desse inizio a una guerra contro il Piemonte. Secondo gli accordi di Plombières, Napoleone III, seppur controvoglia, intervenne e la guerra durò circa tre mesi, da aprile a luglio 1859. Le vicende a conclusione della Seconda guerra d’indipendenza fecero infuriare Cavour, che si dimise da primo ministro, in seguito all’armistizio di Villafranca (12 luglio 1859), in cui Napoleone III, ottenuta la Lombardia, abbandonò la conquista del Veneto.
All’inizio del 1860 riprese l’incarico su sollecitazione di Vittorio Emanuele II e con grande abilità gestì l’accordo con la Francia, stabilendo l’annessione al Piemonte, oltre che della Lombardia, anche di Parma, Modena, Emilia, Romagna e Toscana, cedendo però Nizza e la Savoia: il tutto a compensazione della mancata conquista del Veneto.
Si trovò poi nel maggio 1860 ad affrontare un evento da lui non programmato: la Spedizione dei Mille, di cui non condivideva lo spirito rivoluzionario né i valori romantici dell’unificazione della penisola. Ma si adattò senza indugi alle circostanze, sostenendo la Società Nazionale. Cavour concorse con questa associazione a preparare, senza scoprirsi, la Spedizione dei Mille e fornirvi supporto nel corso delle operazioni. Colse questa opportunità, perché erano modificati i rapporti internazionali: l’Austria era impegnata con rivolte interne in Ungheria, l’Inghilterra apprezzava l’idea di uno stato forte nel Mediterraneo in funzione antifrancese, la Francia aveva ancora buoni rapporti con il Piemonte. Infine Garibaldi godeva di una forte popolarità in Inghilterra. L’abilità di Cavour fu proprio quella di sapersi destreggiare fra tutti questi protagonisti: affrontò gli imprevisti e le pressioni internazionali, mediò fra Vittorio Emanuele, Garibaldi e i conservatori, ottenendo alla fine la formazione di un Regno unitario italiano.
Il rapporto con Garibaldi
Cavour ebbe un rapporto complesso con Garibaldi se non un vero e proprio scontro, poiché temeva che le camicie rosse garibaldine sconfinassero nello Stato Pontificio per conquistare Roma (cosa che avrebbe scatenato l’opposizione della Francia, dove i cattolici erano molto forti). Del resto Garibaldi aveva il sostegno di Vittorio Emanuele II e questo dava una certa garanzia che le sue conquiste le avrebbe poi affidate al Piemonte. Cavour gestì l’impresa di Garibaldi cercando di “costituzionalizzare la rivoluzione”, riportandola nell’ambito del movimento parlamentare e costituzionale italiano, con le buone o con le cattive.
Il Regno d’Italia
Nasce infine il 17 marzo 1861 lo Stato italiano, ma restavano ancora due problemi per Cavour, ancora primo ministro: la gestione dell’esercito di volontari garibaldini e la questione di Roma capitale.
Il primo dipendeva dalle migliaia di garibaldini che avevano combattuto al Sud nel cosiddetto esercito meridionale, che avrebbero voluto riconoscimenti ufficiali. Ma Garibaldi aveva distribuito ben settemila gradi di ufficiale ai suoi: troppi per essere gestiti dall’esercito regolare italiano. Cavour del resto temeva che tutti quei volontari diventassero preda dei radicali repubblicani, quindi stabilì lo scioglimento dell’esercito garibaldino e ottenne come risposta un vibrato discorso da parte di Garibaldi il 18 aprile 1861 al Parlamento di Torino, che ruppe definitivamente i rapporti tra i due.
Una vera e propria soluzione al problema non ci fu e solo in seguito una parte dei volontari entrò nell’esercito nazionale, con gravi incomprensioni reciproche.
Il secondo problema, Roma capitale, Cavour lo affrontò in uno degli ultimi discorsi, il 25 marzo 1861, mostrando ancora una volta la sua abilità coniugata con i valori liberali:
Cavour in veste ufficiale di Primo Ministro in un dipinto di Michele Gordigiani, Museo Nazionale del Risorgimento italiano, Torino
Ho detto, o Signori, e affermo ancora una volta che Roma, Roma sola, deve essere capitale d’Italia. Ma […] noi dobbiamo andare a Roma a due condizioni. Noi dobbiamo andare di concerto con la Francia […] Noi dobbiamo andare a Roma senza che l’indipendenza vera del Pontefice venga a menomarsi. Noi dobbiamo andare a Roma senza che l’autorità civile estenda il suo potere sull’ordine spirituale. Ecco le due condizioni che debbono verificarsi senza mettere in pericolo le sorti dell’Italia.
La soluzione tuttavia venne solo nel 1870, con la fine di Napoleone III.
Il 6 giugno 1861 Cavour moriva dopo una settimana di febbri violente, forse dovuta a malaria contratta in gioventù. Fatto sta che improvvisamente il grande statista venne a mancare all’Italia nel momento di maggior bisogno. I suoi familiari riuscirono a fargli impartire l’estrema unzione, ma poi il papa sospese a divinis il frate che gliela aveva data.
Guida alla Lettura
1) Spiega con le tue parole lo stile di Cavour, osservando il tipo di immagine, l’abbigliamento, altri aspetti. Forse riesci a coglierlo meglio, se paragoni le tre immagini che accompagnano il testo a quelle di Garibaldi (Cfr. Modulo 1, Modulo 3 e Modulo 5) o Mazzini (Cfr. Modulo 1 e Modulo 3).
2) Nella caricatura qui sotto è rappresentato Cavour. Che cosa sta facendo? Che cosa fanno le persone che gli stanno attorno? Puoi sapere chi sono dalla didascalia.
Quale idea di Cavour vuole trasmettere e a chi l’autore di questa caricatura? Esprimi la tua opinione in proposito e confrontati con i compagni.
Cavour fa ballare il valzer agli altri uomini politici, una caricatura della seconda metà del secolo XIX, stampa, Musei Civici, raccolta Bertarelli, Milano