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L’impianto manualistico serve poco
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Bersaglieri e corazzieri
Fare l'Italia, fare gli italiani
Il processo di unificazione nazionale
Sei in: Fare l'Italia, fare gli italiani - Il completamento dell’unità e la costruzione dello Stato - 2 SPAZI, TEMPI, EVENTI - 2.5 La fine del potere temporale dei papi: Italia e contesto europeo - Il problema: Roma capitale
Il problema: Roma capitale
Negli anni successivi alla proclamazione del Regno d’Italia, tra i patrioti e l’opinione pubblica cresceva la speranza di
avere un giorno Roma capitale d’Italia. I principali sostenitori dello schieramento per Roma capitale erano i mazziniani e
i garibaldini, raccolti nel Partito d’Azione. Fu infatti Garibaldi il protagonista dei tentativi dell’Aspromonte (1862) e di
Mentana (1867).
Lo Stato della Chiesa era stato in gran parte annesso al Regno di Sardegna nel 1860 in seguito all’intervento
dell’esercito piemontese e ai plebisciti (nelle Romagne, nelle Marche e in Umbria) ed era entrato a far parte del Regno
d’Italia alla sua proclamazione (17 marzo 1861). Solo il Lazio era rimasto sotto la sovranità del papa.
Il re, il governo e i partiti moderati erano consapevoli che, fino a quando Napoleone III avesse lasciato le sue truppe a
difesa dello Stato Pontificio, non sarebbe stato possibile avere Roma.
Il palazzo del Quirinale a Roma
La diplomazia internazionale
Cavour, prima ancora della proclamazione del Regno d’Italia, aveva avviato dei contatti riservati con Pio IX e il cardinale Giacomo Antonelli, per cercare una soluzione politica al problema: garantire all’Italia la capitale “destinata” e al papa la necessaria totale indipendenza secondo il principio “libera Chiesa in libero Stato”.
La Santa Sede però, dopo un’iniziale apparente disponibilità, fin dai primi mesi del 1861 si dimostrò contraria a
qualsiasi concessione e le trattative non ebbero seguito.
Cavour tentò allora la strada della diplomazia europea e propose a Napoleone III un accordo che permettesse
all’imperatore di ritirare le sue truppe e garantisse nello stesso tempo l’autonomia del papa con la creazione di un corpo
militare pontificio ridotto (di modo che non costituisse un pericolo per lo Stato italiano).
La morte di Cavour (6 giugno1861) vanificò questo tentativo.
Anche i successori di Cavour a capo del governo cercarono accordi diplomatici sia con la Santa Sede che con
Napoleone III; accordi certo resi più difficili dall’impresa di Garibaldi sull’Aspromonte.
Con la Convenzione di settembre (1864) il governo e il re Vittorio Emanuele dovettero accettare infatti di trasferire la
capitale da Torino a Firenze, come chiedeva Napoleone III, per dar prova di non avere progetti ostili al papa; il Regno d’Italia si riservava però la libertà di intervenire se a Roma fosse scoppiata una rivolta popolare. La Francia, accettando questa clausola, riconosceva di fatto i diritti italiani su Roma e comunque si impegnava a ritirare le sue truppe da Roma entro due anni.
Ogni accordo però era destinato ancora una volta a fallire come dimostrò l’impresa garibaldina di Mentana (1867),
stroncata dall’intervento francese.
I francesi erano intervenuti con rapidità proprio per reprimere la rivolta popolare che avrebbe fornito il pretesto all’intervento dell’esercito regolare e questo, infatti, fu ritirato mentre già si trovava sul confine.
Proprio le sconfitte dell’Aspromonte e di Mentana contribuirono alla fine del Partito d’Azione nel 1867. I suoi membri confluirono negli schieramenti della Sinistra e della Destra.
La svolta decisiva si ebbe con la dichiarazione di guerra da parte di Napoleone alla Prussia il 14 luglio 1870.
L’imperatore sperava di recuperare rapporti amichevoli con l’Italia, e forse persino un’alleanza. Avvertì quindi il governo
italiano (2 agosto 1870) della sua intenzione di ritirare le truppe da Roma rimettendo in vigore la Convenzione del
settembre 1864. Il ritiro delle truppe francesi avvenne durante l’agosto 1870, ma il governo italiano rifiutò di fornire
supporto all’antico alleato.
Il re Vittorio Emanuele II sarebbe stato forse disponibile a scendere in campo con l’alleato del 1859, ma venne dissuaso
dal ministro delle Finanze Quintino Sella: il bilancio dello Stato non avrebbe potuto sostenere nuove spese militari e il
finanziamento dell’esercito aveva già subito tagli. Molti parlamentari inoltre non avevano dimenticato l’intervento
francese a Mentana e un’alleanza non avrebbe avuto molti sostenitori in Parlamento
Verso la fine di agosto, quindi, mentre si completava il ritiro delle truppe francesi e si delineava la sconfitta di
Napoleone, il governo italiano avvisava i governi europei che l’Italia non avrebbe più rimandato la soluzione del
problema di Roma capitale. La questione fu gestita dal ministro degli Affari Esteri, il marchese Emilio Visconti Venosta.
Con la stessa comunicazione il ministro elencava i provvedimenti che il Regno d’Italia avrebbe preso a tutela dell’autonomia del papa.
Tutti i governi europei risposero con un prudente assenso, il governo prussiano con una comunicazione di non ingerenza. Anche il nuovo ministro francese comunicò che non avrebbe più sostenuto il potere temporale del papato.
Il 4 settembre 1870, in seguito alla sconfitta di Sedan (1° settembre 1870), finiva il Secondo Impero di Napoleone III e veniva proclamata la Terza repubblica. Jules Favre era il ministro degli Esteri.