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Sei in: Fare l'Italia, fare gli italiani - Il contesto, gli attori, il perché del Risorgimento italiano - 3.1 SOGGETTI E PROTAGONISTI - I padri della Patria - Giuseppe Mazzini

Giuseppe Mazzini

Infanzia, giovinezza, formazione

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Giuseppe Mazzini in una stampa del 1848

Giuseppe Mazzini nasce a Genova, il 22 giugno 1805, quando la Repubblica ligure è ormai parte del Primo Impero francese. I genitori, Giacomo, un medico laico e progressista, e Maria Drago, una donna molto determinata con una formazione religiosa di tipo protestante-giansenista, lo educarono secondo principi liberali. Alla madre Giuseppe, che in famiglia veniva chiamato Pippo, fu molto legato, come è documentato dalle numerose lettere a lei indirizzate dal carcere e dall’esilio.
Nel 1821, quando mamma Maria lo condusse a salutare i federati piemontesi che si imbarcavano al porto di Genova, dopo il fallimento dell’insurrezione, il sedicenne Mazzini ebbe la sua iniziazione e decise, in quel preciso momento, «che si poteva, e quindi si doveva, lottare per la libertà della Patria». Da quel giorno vestirà di nero, portando il lutto per la patria oppressa, suggestionato in questo anche dalla lettura dell’opera del Foscolo Le ultime lettere di Jacopo Ortis. La letteratura lo appassionava moltissimo, così come la musica. Tra gli autori preferiti, oltre al Foscolo e all’Alfieri, Dante, Goethe, Shakespeare, i grandi poeti romantici inglesi: Byron, Coleridge, Shelley, Keats e narratori come le sorelle Brontë e Alexander Dumas padre.

Amava suonare la chitarra, lo sapeva fare bene e, se richiesto, poteva intrattenere i suoi ospiti. Nel 1837 pubblicherà sulla rivista «L’italiano», edita a Parigi, La filosofia della musica, un penetrante saggio sul significato pedagogico e patriottico della musica con particolare riferimento al melodramma. Avviato dal padre agli studi di medicina presso l’Università di Genova, vi rinuncerà – dopo essere svenuto al primo esperimento di necroscopia – e si iscriverà in legge. Mentre compiva gli studi, che lo avrebbero portato nel 1827 a laurearsi in diritto civile e in diritto canonico, iniziò a pubblicare recensioni di libri patriottici, presso «L’Indicatore genovese», un giornale che la censura soppresse dopo qualche tempo.

Mazzini e Carlo Alberto

Nello stesso 1827 Mazzini entrò a far parte della Carboneria in modo attivo ma con un atteggiamento critico, tanto che quando – tra il novembre 1830 e il gennaio 1831 – venne incarcerato a Savona per una delazione, elaborò il progetto di una nuova associazione politica. Scarcerato per insufficienza di prove, preferì l’esilio in terra di Francia piuttosto che il confino in un piccolo e isolato paese del Piemonte. 
Nel giugno del 1831 Mazzini indirizzò a Carlo Alberto, da pochi mesi re, un appello, perché si ponesse alla testa del movimento di liberazione nazionale. Con una lettera aperta firmata “un italiano” chiedeva al sovrano – al quale si era rivolto con speranza per le sue giovanili simpatie liberali – una risposta nei fatti. E la risposta non si fece attendere: più di una condanna dello stato sabaudo colpì il profugo genovese e lo perseguitò a lungo, impedendogli il ritorno in patria.

A Marsiglia nasce la Giovane Italia (1832)

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Veduta del porto di Marsiglia nel 1825

Dalla critica alle sette carbonare, che avevano fallito – nei moti del 1820 (Campania) e del 1821 (Piemonte) e in quelli di Modena del 1831 – per la contraddittorietà dei loro programmi e per la ristrettezza provinciale del progetto politico, nasceva la Giovane Italia.
Mazzini la fondò nel 1832, a Marsiglia, con un programma innovativo. Non si trattava di una società segreta, ma un’associazione che dichiarava apertamente le sue finalità: liberare l’Italia dallo straniero e unirla attraverso un’insurrezione popolare, in un'unica repubblica con un governo centrale. Il nome ci dice che potevano essere ammesse solo persone al di sotto dei quarant’anni. I suoi motti erano «Dio e popolo e Unione», «Forza e Libertà».
Grazie all’azione di propaganda e alla semplicità dei metodi cospirativi, la Giovane Italia si diffuse molto più rapidamente delle precedenti sette segrete in Piemonte, in Liguria, in Lombardia, in Toscana e in parte della Romagna, strutturandosi come il primo partito italiano nel senso moderno della parola, con parecchie migliaia di aderenti. Tra gli affiliati molto numerosi erano gli avvocati, gli ingegneri, i medici, i funzionari, i proprietari terrieri (e la direzione dell’associazione restò sempre nelle mani di questi rappresentanti delle classi colte), ma vi aderì anche un buon numero di artigiani e operai che risiedevano in città quali Milano, Torino, Genova, Firenze, Livorno, e, perfino, numerosi abitanti dei quartieri popolari della Roma papalina.

1833-1834: insurrezioni mancate e nascita della Giovane Europa

Nella primavera del 1833 una congiura di militari liberali venne scoperta in Piemonte. La repressione fu durissima: dodici ufficiali vennero fucilati, nove vennero condannati a morte in contumacia. Tra questi Mazzini che, ciò nonostante, organizzò nel febbraio 1834 un piano di invasione militare della Savoia, affidato al generale Ramorino. Contemporaneamente un giovane capitano della marina sarda, Giuseppe Garibaldi, avrebbe dovuto guidare un’insurrezione e occupare il porto di Genova. Il piano fallì: ostacolato dalle autorità svizzere e minato da contrasti interni (il generale Ramorino, a cui era stato affidato il comando delle operazioni, indugiava a entrare in azione, dato che si era giocato alle carte il finanziamento dell’impresa) il complotto finì, senza che un solo colpo fosse sparato, tra le mani della polizia piemontese. Mazzini fu espulso dalla Francia e, successivamente, dalla Svizzera e si rifugiò in Inghilterra (1837), Garibaldi fu condannato a morte in contumacia e partì per l’America. Questi fallimenti segnarono la fine della Giovane Italia come organizzazione, ma le sue idee continuarono a diffondersi fra i patrioti italiani. L’associazione fu definitivamente sciolta da Mazzini nel 1848 e sostituita dall’Associazione Nazionale Italiana.
Dopo l’espulsione dalla Francia, Mazzini si rifugiò in Svizzera. In quel paese, a Berna, il 15 aprile 1834, fondò la Giovane Europa, insieme a un esiguo gruppo di intellettuali italiani, polacchi e tedeschi in esilio. La nuova organizzazione aveva come motto «Libertà – Uguaglianza – Umanità» e intendeva riunire e coordinare i popoli europei che aspiravano all’indipendenza nazionale. Sottoposta al crescente controllo delle autorità svizzere che erano pressate dai governi stranieri fu costretta a cessare le proprie attività alla fine del 1836. Mazzini venne di lì a poco espulso dalla Svizzera e si trasferì agli inizi del 1837 a Londra.

L’esilio a Londra (1837-1847) – Attività letteraria e scuola popolare

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La casa di Mazzini in Laystall Street a Londra

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La targa in onore di Mazzini in Laystall Street 

A trentadue anni Mazzini approdava finalmente a Londra. Senza sapere una parola d’inglese e con l’animo oppresso dal freddo e dalla nebbia di quella città a lui ignota. Finirà con l’innamorarsi profondamente di quel paese straniero, al punto da scrivere: «sono nato in Italia, ma la mia patria, se mai ne ho avuta una, è Londra». 
Nella capitale inglese, i primi anni furono molto duri, Mazzini arrotondava il mensile che arrivava da casa con quanto gli capitava: correzione di bozze, piccole collaborazioni con giornali e riviste, lezioni di italiano. Poi, divenuto padrone della nuova lingua e ben introdotto nella società londinese democratica del tempo, la sua situazione migliorò e poté dedicarsi con più agio, nella momentanea assenza di prospettive concrete di azione politica, a interventi in campo educativo e sociale e agli studi pedagogici e letterari.

Negli stessi anni pubblicò su una rivista parigina Filosofia della musica (1837), un’opera sul significato patriottico e pedagogico della musica, in particolare del melodramma, e curò una redazione degli scritti politici del Foscolo (1838) e della Divina Commedia con il commento del Foscolo.
Una testimonianza sul ruolo di Mazzini nella capitale inglese ci viene da una lettera in cui l’esule genovese suggerisce caldamente di non bere birra corrente nei pub ma di scegliere quella della «Swan Brewery», realizzata in una delle principali birrerie di Londra, di proprietà dei mazziniani Sydney Hawkes e James Stanfeld: un locale che era diventato, con Mazzini cliente fisso, una specie di punto di riferimento della cospirazione italiana.
Dato che a Londra erano molto numerosi i lavoratori italiani, nel marzo 1840, Mazzini fondò l’Unione degli Operai Italiani, sul modello delle altre associazioni operaie (Unions) che andavano organizzandosi nell’Inghilterra del tempo. Nello stesso anno cominciò a pubblicare «L’Apostolato popolare», un giornale democratico in cui invitava gli operai italiani ad associarsi nazionalmente.

Agì con determinazione nei confronti dei bambini schiavi che a Londra erano numerosissimi. Si, proprio quelli che ci

vengono raccontati nell’Oliver Twist e in altre pagine di Dickens. Molti erano italiani: rubati o comprati ai genitori, i più

finivano agli angoli di strada a chiedere la carità suonando un organetto o a borseggiare i passanti, i più robusti

venivano portati in fabbrica, le più grandicelle e graziose nei bordelli. Mazzini, aiutato dagli inglesi progressisti e da

fuoriusciti italiani che avevano soldi e prestigio, denunciò questo scandalo e istituì, nel novembre 1841, una scuola

popolare gratuita e, insieme ai suoi collaboratori, radunò e istruì quei bambini, ai quali si aggiunsero i figli degli emigranti

“regolari” (come diremmo oggi), operai italiani costretti ai lavori più umili. Il programma consisteva nell’imparare “a

leggere, a scrivere e ad amare la patria”. La scuola funzionò senza interruzioni fino al 1848, educando centinaia di

ragazzi e di adulti.

L’affare delle lettere aperte (1844-1845)

Dopo un periodo di crisi e di ripensamento per il sacrificio di tanti generosi patrioti, che lui stesso nelle Note autobiografiche avrebbe definito la tempesta del dubbio, il profugo genovese riprese il lavoro per il progetto insurrezionale che gli stava a cuore: fare l’Italia una, indipendente e repubblicana. Lo fece soprattutto attraverso un’intensa attività pubblicistica che lo vide al centro del dibattito politico. La notorietà di Mazzini come scrittore politico si diffuse quando scoppiò il cosiddetto affare delle lettere aperte. Nella primavera del 1844 la «Gazzetta di Augusta» e poi la «Gazzetta di Milano» fecero circolare la notizia che «il governo di Vienna era stato informato dal governo inglese di piani rivoluzionari tramati a Londra da Mazzini». L’esule genovese protestò perché le sue lettere erano state aperte e fece presentare un’interpellanza.
Il dibattito parlamentare che ne seguì alla Camera dei Comuni e alla Camera dei Lords fece emergere una immagine molto positiva del patriota genovese. Quando poi alla fine di luglio si diffuse la notizia che nove componenti della spedizione dei fratelli Bandiera (forse organizzata con il consenso dello stesso Mazzini) erano stati fucilati, l’affare delle lettere aperte divenne un grave problema di politica internazionale. Mazzini seppe utilizzare molto abilmente la faccenda: con una lunga lettera al «Morning Chronicle» pubblicata il 13 febbraio 1845 poneva la questione della violazione della sua privacy e, quindi di un’ospitalità accordata apparentemente a un profugo, ma negata nei fatti, e, in tal modo, portava la questione degli esuli italiani e dell’unificazione nazionale all’attenzione dell’opinione pubblica inglese e internazionale.

Gli articoli per il «People’s Journal» (1846-1847)

Con una serie di articoli – Thoughts upon Democracy in Europe, pubblicati fra il 1846-1847 sul «People’s Journal» –Mazzini si rivolge ai lettori inglesi per approfondire la questione della democrazia in Europa. L’esule genovese, ormai molto noto e apprezzato, analizza il tema e prende posizione verso le diverse impostazioni che – sul concetto e sulla pratica della democrazia – si confrontavano in quegli anni nel movimento progressista europeo.
Questi scritti saranno poi rielaborati in lingua italiana e pubblicati, dopo il biennio rivoluzionario 1848-1849.
Con questi articoli Mazzini si affermò come scrittore politico europeo. Nel quadro dei diritti tipico della Rivoluzione francese introdusse il concetto di dovere (oggi potremmo definirlo responsabilità) e individuò in una repubblica rappresentativa, ancorata a una Costituzione e a un Parlamento eletto a suffragio universale, la sola forma di governo in cui tutti i cittadini potevano avere garanzie di libertà e giustizia. Senza dubbio una concezione moderna ed europea di democrazia che di lì a poco Mazzini potrà mettere alla prova nell’esperienza breve ma significativa della Repubblica Romana.

1848-1849: il rientro in Italia

Nel biennio rivoluzionario 1848-1849 Mazzini rientra in Italia. Ma mentre il suo accorrere presso il governo milanese instaurato dopo le Cinque Giornate (18-22 marzo 1848) non si traduce in alcuna assunzione di concrete responsabilità politiche, molto significativa risulterà la sua presenza presso la Repubblica Toscana guidata da Giuseppe Montanelli e Domenico Guerrazzi e soprattutto la sua partecipazione – in qualità di triumviro con Carlo Armellini e Aurelio Saffi – alla breve esperienza della Repubblica Romana (9 febbraio-3 luglio 1849). In tale contesto Mazzini cercherà inutilmente una mediazione per una soluzione politica della crisi e per un riconoscimento internazionale della neonata repubblica. Dimostrerà inoltre buone doti di amministratore spendendosi in riforme sociali e ecclesiastiche, secondo i principi della Costituzione che sarà emanata il 3 luglio 1849, mentre le truppe francesi stanno entrando in città. Una Costituzione, quella romana, di ispirazione democratica che contiene i fondamenti della Costituzione della Repubblica italiana, entrata in vigore il 1° gennaio 1948.

Di nuovo esule a Londra (1850-1859)

Rientrato a Londra, dopo la prova della Repubblica Romana, che lo aveva imposto all’attenzione di tutto il movimento democratico europeo, Mazzini si adoperò per un’alleanza continentale dei popoli, sottoscrivendo – il 22 luglio 1850 – con altri esuli di varie nazionalità il manifesto del Comitato Centrale democratico europeo.
Negli stessi anni Mazzini prese le distanze dal socialismo che condannò esplicitamente in tutte le sue forme, ritenendolo responsabile degli insuccessi del 1848-1849.
Contemporaneamente continuò a cercare occasioni perché la protesta e la rivolta potessero trasformarsi in quella insurrezione popolare che sola poteva condurre, secondo il suo punto di vista, all’unificazione nazionale e alla giustizia sociale. La sua regia è infatti riconoscibile nei moti di Milano (1853) e della Valtellina (1854) e, soprattutto, nella sfortunata spedizione di Carlo Pisacane del 1857.
Tuttavia mentre proseguiva la sua opera di promozione della causa italiana all’estero con interventi sui giornali, conferenze, pubblicazione di opuscoli o saggi in cui si serviva di un inglese molto efficace e assai apprezzato dai lettori madrelingua, in Italia la sua influenza politica veniva scemando. Si stava infatti facendo strada anche fra i democratici e i repubblicani l’idea che non si potesse raggiungere l’obiettivo dell’unità nazionale senza l’alleanza con il Piemonte sabaudo, l’unico stato che non aveva sconfessato la carta costituzionale (lo Statuto concesso da Carlo Alberto) e che era diventato un rifugio per i molti esuli delle altre regioni italiane.
In questo senso una testimonianza interessante ci viene da Daniele Manin, il difensore della Repubblica veneta, nel 1856 esule a Parigi. 
Nel 1857 con la regia di Cavour e sotto la presidenza dello stesso Manin (che morirà di lì a poco) si costituì la Società nazionale che agiva allo scoperto nel Regno di Sardegna e clandestinamente negli altri stati. Moltissimi repubblicani vi saranno coinvolti, tra i quali Garibaldi con la carica di vicepresidente onorario. L’associazione avrà un ruolo determinante nell’organizzazione della Spedizione dei Mille e verrà sciolta nel 1862.
Viceversa Mazzini non riuscirà a svolgervi un ruolo decisivo: tenterà di spingere Garibaldi a proseguire verso Roma, ma il Generale, preoccupato per le condizioni dei suoi volontari e soprattutto temendo una guerra fratricida, non lo ascolterà e a Teano saluterà Vittorio Emanuele come re d’Italia.

Dopo l’unità: ancora l’esilio e l’ultimo rientro

Dopo il raggiungimento dell’unità, Mazzini riprese a seguire le cose italiane dal suo esilio londinese, da cui non rientrò neppure nel 1866, quando venne eletto deputato al nuovo parlamento di Firenze e la nomina venne infine convalidata. Gli elettori della circoscrizione di Messina avevano infatti dovuto confermare per tre volte la loro preferenza, dopo che le due precedenti votazioni erano state annullate per le due condanne a morte che ancora pendevano sul capo dell’esule genovese. Tuttavia Mazzini non occupò mai quel seggio parlamentare: rifiutò la carica per non dover giurare fedeltà al re Vittorio Emanuele e alla sua Costituzione, lo Statuto Albertino.
Nel 1870, quando gli furono amnistiate le condanne a morte, lasciò Lugano, l’esilio svizzero in cui si era trasferito negli ultimi due anni, per rientrare in Italia. In patria sarà però arrestato per aver organizzato moti popolari per la liberazione dello Stato Pontificio e, tradotto nel carcere militare di Gaeta, verrà nuovamente costretto all’esilio. Rientrerà in Italia sotto falso nome il 7 febbraio 1872, riuscirà a visitare di nascosto, in Santa Croce a Firenze, la tomba del Foscolo, prima di morire a Pisa il 10 marzo dello stesso anno, mentre la polizia stava per arrestarlo.

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