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Sei in: Fare l'Italia, fare gli italiani - Il completamento dell’unità e la costruzione dello Stato - 3 SOGGETTI E PROTAGONISTI - Menotti e Ricciotti Garibaldi

Menotti e Ricciotti Garibaldi

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Menotti e Ricciotti Garibaldi

Menotti e Ricciotti Garibaldi furono i due figli maschi che Giuseppe ebbe da Anita.
Il primo nacque a Mostardas in Brasile nel 1840; il suo nome era Domenico, ma fu sempre chiamato Menotti in onore del patriota Ciro Menotti, giustiziato a Modena nel 1831.

Il secondo nacque nel 1847 a Montevideo in Uruguay e fu chiamato Ricciotti in ricordo di Nicola Ricciotti, fucilato dai borbonici nel corso della spedizione dei fratelli Bandiera.
Entrambi arrivarono in Italia con la madre alla fine del 1847 e vissero a Nizza insieme alla nonna paterna, anche perché la madre morì nell’estate del 1849.
 
Menotti per alcuni anni frequentò il collegio per i figli dei militari di Racconigi, dove era stato accettato per lo speciale invito del re Vittorio Emanuele, dato che Garibaldi non era ufficialmente in servizio dell’esercito sabaudo. Poi, però, il padre decise di assumerne direttamente l’educazione e lo tenne con sé a Caprera.

Menotti iniziò la carriera militare da semplice soldato nel 1859 nei Cacciatori delle Alpi, le truppe volontarie comandate dal padre. L’anno dopo partecipò alla Spedizione dei Mille con il grado di maggiore.

Quando Garibaldi partì per l’Aspromonte, Menotti lo accompagnò al comando di un gruppo d’artiglieria. Nello scontro rimase anch’egli ferito, anche se in modo leggero. Nel quadro del pittore garibaldino Gerolamo Induno dedicato a quell’episodio, appare in primo piano con la camicia rossa, sostenuto da un compagno, mentre il padre viene trasportato su una barella improvvisata. 

Negli anni seguenti continuò a rimanere accanto al padre.

Nella Terza guerra d’indipendenza fu al comando di un reggimento di volontari garibaldini nella battaglia di Bezzecca e l’anno dopo partecipò all’azione fallimentare di Mentana.

Nel 1870 allo scoppio della guerra franco-prussiana, quando Garibaldi decise di andare a offrire il suo aiuto ai francesi attaccati dai prussiani, Menotti guidò una delle brigate dei volontari che facevano parte dell’Armata dei Vosgi, comandata dal padre.

In seguito continuò il suo impegno politico come deputato di Velletri, consigliere provinciale di Roma, presidente di numerosissime associazioni e importante esponente della massoneria italiana. Si sposò con Italia Bidischini dall’Oglio e ne ebbe sei figli. Dopo il 1871, quando i terreni appartenuti allo Stato della Chiesa furono messi in vendita, riuscì ad acquistare un vasto latifondo che però era in stato d’assoluto abbandono e infetto dalla malaria. Per questo non visse in agiatezze, pur lavorando molto per bonificare quel terreno malarico e per dotarlo di servizi, come scuole o presidi sanitari. Quando, finalmente, dopo anni di sacrifici, la tenuta iniziava a dare i frutti la sua salute era ormai minata dalla malaria, per la quale morì il 22 agosto 1903. Al solenne funerale erano presenti le corone del re Vittorio Emanuele III e della Repubblica francese. Gabriele D’Annunzio tenne l’orazione funebre, il cui testo è affisso all’interno della tomba.
 
Ricciotti dopo la morte della madre fu allevato dalla nonna e da un’amica del padre. Per una caduta da piccolo aveva difficoltà a camminare, anche se con le cure e con il tempo il difetto fu attenuato. Per questo però il padre decise per lui una carriera di studio e lo mandò in Inghilterra, affidato alle cure delle amiche Emma Roberts e Jessie White Mario, che lo avviarono allo studio di mineralogia e ingegneria. Ma il ragazzo non fu affatto contento di questa decisione che lo teneva lontano dal padre e dal fratello e dalle avventurose azioni militari in cui essi erano impegnati per l’unificazione nazionale. Sviluppò così un carattere irruento, pronto a schierarsi per le ideologie più radicali.

Solo nel 1866 il padre lo accettò tra i volontari della Terza guerra d’indipendenza e lui fece di tutto per distinguersi ai suoi occhi. Fu presente anche a Mentana, partecipò con grande valore nel 1870 alla campagna in Francia e fu mandato a osservare a Parigi le vicende della Comune.

Ostile all’unione del padre con Francesca Armosino, si allontanò dalla famiglia. Passò un periodo in Australia dove si sposò con Costanza Hopcraft da cui ebbe otto figli. Al ritorno in Italia, tentò varie imprese commerciali, ma non ebbe molto successo, anzi rimase coinvolto nei torbidi affari e nelle speculazioni edilizie che si ebbero in particolare a Roma dopo il trasferimento della capitale. La sua situazione finanziaria era disastrosa, ma sfruttando il suo cognome, riuscì a farsi eleggere alla Camera dei Deputati del Regno d’Italia dal 1887 al 1890.
Cercò di qualificarsi come l’autentico erede della tradizione garibaldina: tenne contatti con repubblicani e patrioti in vari paesi, studiò piani insurrezionali, sempre controllato dalla polizia che lo riteneva un soggetto pericoloso per lo Stato italiano monarchico e moderato.

Come capo indiscusso del volontariato garibaldino nel 1897 guidò una spedizione in Grecia contro l’Impero ottomano.

Le sue posizioni repubblicane e libertarie divennero però con il tempo sempre più nazionaliste: nel 1912 organizzò, su incarico del governo, una spedizione di volontari in Grecia nella guerra contro l’Impero ottomano per la conquista coloniale della Libia. Nel 1914 fu un convinto interventista e se, data l’età, non poté partecipare direttamente alla Prima guerra mondiale, prima ancora che l’Italia entrasse in guerra, inviò una legione di volontari nella Francia invasa dai tedeschi. All’impresa parteciparono sei dei suoi sette figli e due di essi, Bruno e Costante, vi persero la vita.

In seguito appoggiò l’impresa di D’Annunzio a Fiume e poi aderì al fascismo, di cui il suo figlio minore, Ezio, fu ardente sostenitore.

Morì nel 1924. Ebbe solenni funerali di Stato a cui partecipò una grande folla.

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