Guida alla Lettura
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L’impianto manualistico serve poco
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Bersaglieri e corazzieri
Fare l'Italia, fare gli italiani
Il processo di unificazione nazionale
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La testimonianza di Edmondo De Amicis
Edmondo De Amicis, l’autore del famoso libro per ragazzi Cuore, era stato militare e aveva combattuto a Custoza nel
1866. Aveva in seguito assunto la direzione della rivista «L’Italia militare» e infine, abbandonato l’esercito, era diventato
scrittore e giornalista. Assistette, in qualità di inviato della «Nazione», giornale di Firenze, alla presa di Roma nel 1870.
Una decina d’anni dopo raccolse diversi scritti (cronache, articoli, testimonianze risorgimentali) in un testo dal titolo
Ricordi del 1870-71, G. Barbèra, Firenze 1882.
Ti proponiamo alcuni brani che raccontano con vivacità e ricchezza di particolari ciò che De Amicis vide il giorno stesso
della breccia di Porta Pia e nei giorni seguenti.
I sottotitoli non sono di De Amicis, ma sono stati inseriti da noi per facilitare la lettura e la comprensione dei
brani.
Roma, 21 settembre 1870
La breccia di Porta Pia
Le cose che ho da dire sono tante e tali che mi sarà impossibile scriverle con ordine e chiaramente. È già gran cosa
aver la voglia di scrivere, mentre per le vie di Roma risuonano ancora le grida del primo entusiasmo e della prima gioia.
[...]
Vi dirò subito che l’accoglienza fatta da Roma all’esercito italiano è stata degna di Roma; degna della capitale d’Italia;
degna di una grande città sovranamente patriottica. Tutto ha superato non solo l’aspettazione, ma l’immaginazione.
Bisogna aver veduto per credere.
Ieri mattina alle quattro fummo svegliati a Monterotondo, io e i miei compagni, dal lontano rimbombo del cannone.
Partimmo subito. Appena fummo in vista della città, a cinque o sei miglia, argomentammo dai nuvoli del fumo che le
operazioni militari erano state dirette su varii punti. [...]
A misura che ci avviciniamo (a piedi, s’intende) vediamo tutte le terrazze delle ville piene di gente che guarda. Presso la
villa Casalini incontriamo i sei battaglioni bersaglieri della riserva che stanno aspettando l’ordine di avanzarsi contro
porta Pia. Nessun corpo di fanteria aveva ancora assalito. L’artiglieria stava ancora bersagliando le porte e le mura per
aprire le brecce. Salimmo sulla terrazza d’una villa e vedemmo distintamente le mura sfracellate e la porta Pia malconcia. Tutti i poderi vicini alle mura brulicavano di soldati. In mezzo agli alberi dei giardini si vedevano lunghe colonne di artiglieria. Ufficiali di stato maggiore e staffette correvano di carriera in tutte le direzioni. [...]
Quando la porta Pia fu affatto libera, e la breccia vicina aperta sino a terra, due colonne di fanteria furono lanciate
all’assalto. [...] Ho visto passare il 40° a passo di carica. L’ho visto, presso alla porta, gettarsi a terra per aspettare il momento opportuno ad entrare. Ho sentito un fuoco di moschetteria assai vivo; poi un lungo grido Savoia! poi uno strepito confuso; poi una voce lontana che gridava: Sono entrati! – Allora giunsero a passi concitati i sei battaglioni bersaglieri della riserva; giunsero altre batterie di artiglieria; s’avanzarono altri reggimenti; vennero oltre, in mezzo alle colonne, le lettighe pei feriti. Corsi cogli altri verso la porta. I soldati erano tutti accalcati intorno alla barricata; non si sentiva più rumore di colpi; le colonne a mano a mano entravano. Da una parte della strada si prestavano i primi soccorsi a due ufficiali di fanteriaferiti; gli altri erano stati portati via. Ci fu detto che era morto valorosamente sulla breccia il maggiore dei bersaglieri Pagliari, comandante il 35°. Vedemmo parecchi ufficiali dei bersaglieri colle mani fasciate. Sapemmo che il generale Angelino s’era slanciato innanzi dei primi colla sciabola nel pugno come un soldato. Da tutte le parti accorrevano emigrati gridando. [...]
La porta Pia era tutta sfracellata, la sola immagine enorme della Madonna che le sorge dietro era rimasta intatta, le
statue a destra e a sinistra non avevano più testa, il suolo intorno era sparso di mucchi di terra, di materassi fumanti, di
berretti di zuavi, d’armi, di travi, di sassi. Per la breccia vicina entravano rapidamente i nostri reggimenti. In quel
momento uscì da porta Pia tutto il corpo diplomatico in grande uniforme, e mosse verso il quartier generale.
L’affresco di Vizzotto riportato qui sopra rappresenta la morte del capitano dei bersaglieri Pagliari in prossimità di Porta Pia. L’affresco si trova nella torre celebrativa della battaglia di San Martino, che fu progettata come monumento celebrativo di tutti gli eventi importanti del Risorgimento e fu inaugurata alcuni mesi dopo la breccia di Porta Pia
L’ingresso in Roma e l’occupazione del Campidoglio
Entrammo in città. Le prime strade erano già piene di soldati. [...] Giungiamo in piazza del Quirinale. Arrivano di corsa i nostri reggimenti, i bersaglieri, la cavalleria. Le case si coprono di bandiere. Il popolo si getta fra i soldati gridando e plaudendo. Passano drappelli di cittadini colle armi tolte agli zuavi.
[...]
Da tutte le finestre sporgono bandiere, s’agitano fazzoletti banchi, s’odono grida ed applausi. Il popolo accompagna col
canto la musica delle fanfare. Sui terrazzini si vedono gli stemmi di Casa Savoia. [...]
I soldati sono commossi fino a piangerne. Non vedo altro, non reggo alla piena di tanta gioia, mi spingo fuori della folla,
incontro operai, donne del popolo, vecchi, ragazzi: tutti hanno la coccarda tricolore, tutti accorrono gridando:
– I nostri soldati!
– I nostri fratelli!
È commovente; è l’affetto compresso da tanti anni che prorompe tutto in un punto ora; è il grido della libertà di Roma che si sprigiona da centomila petti; è il primo giorno d’una nuova vita; è sublime.
E altre grida da lontano:
– I nostri fratelli!
Il Campidoglio è ancora occupato dagli squadriglieri e dagli zuavi.
Una folla di popolo accorsa per invaderlo è stata ricevuta a fucilate. Parecchi feriti furono ricoverati nelle case; fra gli altri un giovanetto che marciò quindici giorni coi soldati. Il popolo è furente. Si corre a chiamare i bersaglieri. Due battaglioni arrivano sulla piazza, ai piedi della scala. I pontifici, al primo vederli, cessano di tirare; ma restano in atto di resistere. Una specie di barricata di materassi è stata costrutta a traverso il Campidoglio. L’assalirla di viva forza potrebbe costar molte vittime; s’indugia, forse gli zuavi s’arrenderanno, si dice che hanno paura dell’ira popolare. Tutte le strade che circondano il Campidoglio sono piene di gente armata che sventola bandiere tricolori e canta inni patriottici. Intanto ai bersaglieri che attendono sulla piazza vengono recati in gran copia vini, liquori, sigari, biscotti. La moltitudine va crescendo, cresce lo strepito. Qualcuno, forse un parlamentario, è salito sul Campidoglio. Parecchi ufficiali lo seguono. La folla, dal basso, guarda con grande ansietà. Ad un tratto cadono i materassi della barricata e appaiono le uniformi dei nostri ufficiali che agitano la sciabola e chiamano il popolo gridando: – Il Campidoglio è libero.
L’ingresso alla piazza del Campidoglio visto dalle scale di accesso, con le statue di Castore e Polluce. Oggi il Palazzo del Campidoglio è la sede dell’amministrazione comunale di Roma e spesso nei giornali si usa il termine “Campidoglio” per alludere appunto al governo della città, al centro del potere
L’entusiasmo popolare
La moltitudine getta un altissimo grido e si slancia con grande impeto su per la scala gigantesca; passa fra le due
enormi statue di Castore e Polluce; circonda il cavallo di Marc’Aurelio; invade i corpi di guardia degli zuavi e rovescia,
spezza e disperde tutto quanto vi trova di soldatesco. In pochi minuti tutto il Campidoglio è imbandierato. Il cavallodell’imperatore romano è carico di popolani; l’imperatore tiene fra le mani una bandiera tricolore. Un reggimento di fanteria occupa la piazza. È accolto con grida di entusiasmo. La banda suona la marcia reale, migliaia di voci l’accompagnano. All’improvviso tutte le facce si alzano verso la torre. Il popolo e i soldati ne hanno sfondata la porta, son saliti sulla cima, hanno imbandierato il parapetto. Un pompiere sale per mezzo d’una scala sulle spalle della statua e lega una bandiera alla croce. Un fragoroso applauso e lunghissime grida risuonano nella piazza. La grande campana del Campidoglio fa sentire i suoi solenni rintocchi. Da tutte le parti di Roma il popolo accorre entusiasticamente. Gli ufficiali che si trovano sul Campidoglio sono circondati e salutati con incredibile affetto. Si grida: – Viva Vittorio Emanuele in Campidoglio! – Le donne si mettono le coccarde tricolori sul seno. Da tutte le finestre dei vicini palazzi si agitano le mani e si sventolano i fazzoletti. Molti piangono. Il movimento della folla è vertiginoso; il rumore delle grida copre il suono della grande campana.
I conventi vicini, dove si crede che siansi rifugiati gli zuavi e gli squadriglieri, sono circondati dai bersaglieri e dalla fanteria. [...]
Nel Corso non possono più passare le carrozze. I caffè di piazza Colonna sono tutti stipati di gente; ad ogni tavolino si vedono signore, cittadini e bersaglieri alla rinfusa. Una parte dei bersaglieri accompagna via gli zuavi in mezzo ai fischi del popolo; tutti gli altri sono lasciati in libertà. Allora il popolo si precipita in mezzo alle loro file.Ogni cittadino ne vuole uno, se lo piglia a braccetto e lo conduce a desinare. Molti si lamentano che non ce n’è abbastanza, famiglie intere li circondano, se li disputano, li tirano di qua e di là, avvicendando clamorosamente le preghiere e le istanze. I soldati prendono in collo i bambini vestiti da guardie nazionali. Le signore domandano in regalo le penne. [...]
Le canzoni popolari dei nostri reggimenti sono già diventate comuni: tutti cantano. [...]
Passano signore vestite dei tre colori della bandiera nazionale. Tutti gli ufficiali che passano in carrozza, a piedi, a gruppi, soli, sono salutati con alte grida. Si festeggiano i medici, i soldati, gli ufficiali dell’intendenza. Passano i generali e tutte le teste si scoprono.
– Viva gli ufficiali italiani! – è il grido che risuona da un capo all’altro del Corso. [...]
– Viva il nostro esercito nazionale! – gridano cento e cento voci insieme.
– Viva i soldati italiani! – Viva il nostro re! – Viva la libertà! – E i soldati rispondono: – Viva Roma! Viva la capitale d’Italia!
Da Edmondo De Amicis, Ricordi del 1870-71, in: https://www.liberliber.it, pp. 96-103.
La copia della statua equestre di Marco Aurelio in piazza del Campidoglio
Guida alla Lettura
1) Quali grida di entusiasmo vengono pronunciate dai romani?
2) Perché viene usato il termine «fratelli»?
3) Con quali comportamenti viene manifestato l’entusiasmo per l’ingresso dell’esercito italiano in città?
4) Vengono usati diversi tipi di tricolore: sai dire quali e chi li usa?
5) Parlando della conquista del Campidoglio De Amicis dice: «forse gli zuavi s’arrenderanno, si dice che hanno paura dell’ira popolare». Perché gli zuavi dovrebbero aver paura dell’ira popolare?
6) Il racconto di De Amicis ti sembra realistico o troppo celebrativo? Ricorda che De Amicis è stato l’autore del libro Cuore.