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Sei in: Fare l'Italia, fare gli italiani - Il completamento dell’unità e la costruzione dello Stato - 2 SPAZI, TEMI, EVENTI - 2.6 Fare gli italiani - Due pagine da Cuore di De Amicis

Due pagine da Cuore di De Amicis

Dall’opera di De Amicis, pubblicata con grande successo nel 1886, presentiamo qui una pagina del diario di Enrico.
Con questo doppio artificio l’autore, mentre fa svolgere a Enrico la funzione di narratore interno, può intervenire in modo diretto ed esplicito nella vicenda, tramite la lettera del padre allo stesso Enrico. 

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Il ragazzo calabrese

22, sabato


Ieri sera, mentre il maestro ci dava notizie del povero Robetti, che dovrà camminare con le stampelle, entrò il Direttore con un nuovo iscritto, un ragazzo di viso molto bruno, coi capelli neri, con gli occhi grandi e neri, con le sopracciglia folte e raggiunte sulla fronte, tutto vestito di scuro, con una cintura di marocchino nero intorno alla vita.

Il Direttore, dopo aver parlato nell’orecchio al maestro, se ne uscì, lasciandogli accanto il ragazzo, che guardava noi con quegli occhioni neri, come spaurito.

Allora il maestro gli prese una mano, e disse alla classe:

– Voi dovete essere contenti. Oggi entra nella scuola un piccolo italiano nato a Reggio di Calabria, a più di cinquecento miglia di qua. Vogliate bene al vostro fratello venuto di lontano. Egli è nato in una terra gloriosa, che diede all’Italia degli uomini illustri, e le dà dei forti lavoratori e dei bravi soldati; in una delle più belle terre della nostra patria, dove son grandi foreste e grandi montagne, abitate da un popolo pieno d’ingegno, di coraggio. Vogliategli bene, in maniera che non s’accorga di esser lontano dalla città dove è nato; fategli vedere che un ragazzo italiano, in qualunque scuola italiana metta il piede, ci trova dei fratelli.

Detto questo s’alzò e segnò sulla carta murale d’Italia il punto dov’è Reggio di Calabria.

Poi chiamò forte: – Ernesto Derossi! – quello che ha sempre il primo premio.

Derossi s’alzò.

– Vieni qua, – disse il maestro.

Derossi uscì dal banco e s’andò a mettere accanto al tavolino, in faccia al calabrese.

– Come primo della scuola, – gli disse il maestro, – dà l’abbraccio del benvenuto, in nome di tutta la classe, al nuovo compagno; l’abbraccio dei figliuoli del Piemonte al figliuolo della Calabria.

– Derossi abbracciò il calabrese, dicendo con la sua voce chiara: – Benvenuto! – e questi baciò lui sulle due guancie, con impeto. Tutti batterono le mani.

– Silenzio! – gridò il maestro, – non si batton le mani in iscuola! –

Ma si vedeva che era contento. Anche il calabrese era contento.

Il maestro gli assegnò il posto e lo accompagnò al banco.

Poi disse ancora:

– Ricordatevi bene di quello che vi dico. Perché questo fatto potesse accadere, che un ragazzo calabrese fosse come in casa sua a Torino e che un ragazzo di Torino fosse come a casa propria a Reggio di Calabria, il nostro paese lottò per cinquant’anni e trentamila italiani morirono. Voi dovete rispettarvi, amarvi tutti fra voi; ma chi di voi offendesse questo compagno perché non è nato nella nostra provincia, si renderebbe indegno di alzare mai più gli occhi da terra quando passa una bandiera tricolore.

– Appena il calabrese fu seduto al posto, i suoi vicini gli regalarono delle penne e una stampa, e un altro ragazzo, dall’ultimo banco, gli mandò un francobollo di Svezia. 

 


Da De Amicis E., Cuore, Einaudi, Torino, 2001, pp. 19-21. 

 

 

 


La scuola

28, venerdì
 

Sì, caro Enrico, lo studio ti è duro, come ti dice tua madre, non ti vedo ancora andare alla scuola con quell’animo risoluto e con quel viso ridente, ch’io vorrei. Tu fai ancora il restìo.

Ma senti: pensa un po’ che misera, spregevole cosa sarebbe la tua giornata se tu non andassi a scuola!

A mani giunte, a capo a una settimana, domanderesti di ritornarci, roso dalla noia e dalla vergogna, stomacato dei tuoi trastulli e della tua esistenza.

Tutti, tutti studiano ora, Enrico mio.
Pensa agli operai che vanno a scuola la sera dopo aver faticato tutta la giornata, alle donne, alle ragazze del popolo che vanno a scuola la domenica, dopo aver lavorato tutta la settimana, ai soldati che metton mano ai libri e ai quaderni quando tornano spossati dagli esercizi, pensa ai ragazzi muti e ciechi, che pure studiano, e fino ai prigionieri, che anch’essi imparano a leggere e a scrivere.

Pensa, la mattina quando esci; che in quello stesso momento, nella tua stessa città, altri trentamila ragazzi vanno come te a chiudersi per tre ore in una stanza a studiare.

Ma che! Pensa agli innumerevoli ragazzi che presso a poco a quell’ora vanno a scuola in tutti i paesi, vedili con l’immaginazione, che vanno, vanno, per i vicoli dei villaggi quieti, per le strade delle città rumorose, lungo le rive dei mari e dei laghi, dove sotto un sole ardente, dove tra le nebbie, in barca nei paesi intersecati da canali, a cavallo per le grandi pianure, in slitta sopra le nevi, per valli e per colline, a traverso a boschi e a torrenti, su per sentier solitari delle montagne, soli, a coppie, a gruppi, a lunghe file, tutti coi libri sotto il braccio, vestiti in mille modi, parlanti in mille lingue, dalle ultime scuole della Russia quasi perdute fra i ghiacci alle ultime scuole dell’Arabia ombreggiate dalle palme, milioni e milioni, tutti a imparare in cento forme diverse le medesime cose, immagina questo vastissimo formicolìo di ragazzi di cento popoli, questo movimento immenso di cui fai parte, e pensa:

– Se questo movimento cessasse, l’umanità ricadrebbe nella barbarie, questo movimento è il progresso, la speranza, la gloria del mondo.
– Coraggio dunque, piccolo soldato dell’immenso esercito. I tuoi libri son le tue armi, la tua classe è la tua squadra, il campo di battaglia è la terra intera, e la vittoria è la civiltà umana.

Non essere un soldato codardo, Enrico mio. 


TUO PADRE 

 


Da De Amicis E., Cuore, cit., pp. 23-24.

Puoi leggere Cuore qui.
Se preferisci, puoi ascoltarlo qui.

 

 

Guida alla Lettura


1) Come viene accolto in classe il ragazzo calabrese? Che cosa dice il maestro? Quale gesto viene compiuto da un compagno e perché? Spiega qual è, secondo te, l’intenzione comunicativa dell’autore nel presentarci questa scena, cioè quali emozioni e sentimenti vuole comunicarci.
 
2) Con quali parole il maestro descrive la Calabria? Quale effetto vuole ottenere fra gli scolari e fra i lettori?
 
3) Come il maestro spiega agli allievi il Risorgimento? Quanti patrioti vi persero la vita? Quanto tempo si impiegò per raggiungere l’unità della nazione?

Individua una data d’inizio e una finale per questo periodo.
 
4) Nella lettera del padre al figlio Enrico la scuola con una similitudine è paragonata a un esercito. Quale deve essere il compito di questo esercito e di ogni piccolo soldato, secondo De Amicis?
 
5) Condividi l’idea che De Amicis ha della scuola? Spiega perché sì o perché no e confrontati con i compagni.

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