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L’impianto manualistico serve poco
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Bersaglieri e corazzieri
Fare l'Italia, fare gli italiani
Il processo di unificazione nazionale
Sei in: Fare l'Italia, fare gli italiani - Il completamento dell’unità e la costruzione dello Stato - 2 SPAZI, TEMI, EVENTI - 2.6 Fare gli italiani - La costruzione del mito della patria
La costruzione del mito della patria
Con il compimento dell’unità nazionale uno dei compiti urgenti del nuovo governo fu quello di far sentire partecipe di una stessa comunità una popolazione che, fino ad allora, aveva vissuto in stati diversi ed era differente per lingua, storia, tradizioni. Bisognava far crescere il senso di appartenenza e l’amore per la patria, dato che soltanto pochi e, quasi esclusivamente, gli abitanti delle città avevano partecipato attivamente alle lotte per l’indipendenza. La scuola e l’esercito furono in Italia, come già era accaduto in altri paesi europei, i canali utilizzati per costruire il senso di appartenenza alla comunità nazionale. La scuola elementare, obbligatoria per i primi due anni, serviva a imparare l’italiano e a possedere una preparazione di base comune; il servizio di leva, togliendo i giovani dalla propria regione e facendogliene conoscere altre, faceva sentire ogni soldato come parte di un unico esercito che, in pace e in guerra, combatteva per difendere la patria. Cemento unificante del nuovo Stato, poi, divenne il mito del Risorgimento alla cui costruzione contribuirono i principali artisti dell’epoca: poesie e romanzi, quadri, monumenti, nomi dedicati a edifici, strade, piazze e persino figurine servirono a raccontare i principali eventi della lotta appena conclusa per l’unità e l’indipendenza, a celebrarne gli eroi e i martiri.
I musei del Risorgimento, istituiti per coltivare il ricordo dell’unificazione appena conclusa, raccolsero un gran numero di oggetti appartenuti alle figure che lo animarono, come bandiere, armi, divise, vestiario, lettere, dispacci, medaglie.
Non a tutti i patrioti che si erano immolati nel nome dell’Italia venne però riservato lo stesso trattamento: il caso delle spoglie di Goffredo Mameli, l’autore del nostro inno nazionale, è emblematico di come spesso il clima politico e un uso strumentale del patriottismo possano determinare o meno l’erezione di un monumento funebre.
Fin dagli ultimi decenni del XIX secolo venne sancito il culto dei cosiddetti padri della Patria, ovvero Vittorio Emanuele, Garibaldi, Mazzini e Cavour, personaggi che in vita non erano andati esenti da critiche da parte dell’opinione pubblica e che, sicuramente, molto si erano combattuti, immaginando destini diversi per l’Italia, si trovavano ora santificati tutti insieme sull’altare di un’unità nazionale, come se fra loro non vi fosse stata alcuna differenza rilevante quanto a visioni e intenzioni politiche.
La costruzione del mito risorgimentale ebbe un particolare successo con Vittorio Emanuele. Nella figura del Re Galantuomo, poi denominato gran re e padre della Patria, e nei valori da lui incarnati: unità e indipendenza, libertà in uno Stato con garanzie costituzionali, ciascuno poté riconoscersi come italiano, al di là di più specifiche appartenenze partitiche.
Più divisivo fu il mito che si costruì intorno a Giuseppe Garibaldi, un eroe molto amato da repubblicani e democratici, ma inviso a liberali e moderati. Un eroe risorgimentale romantico, rivoluzionario e molto popolare, oltre che impropriamente utilizzato dalla destra e dalla sinistra dalla fine del XIX secolo ai nostri giorni.
Minor rilevanza mediatica, potremmo dire oggi, ebbero le figure di Cavour e Mazzini, ai quali comunque vennero intitolate un numero consistente di vie e piazze nel centro delle maggiori e minori città italiane, tra la fine del XIX e la prima metà del XX secolo.