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Sei in: Fare l'Italia, fare gli italiani - Il contesto, gli attori, il perché del Risorgimento italiano - 3.1 SOGGETTI E PROTAGONISTI - I padri della Patria - Il mito di Garibaldi

Il mito di Garibaldi

Eroe dei due mondi

 

Giuseppe Garibaldi cominciò presto a essere conosciuto e a diventare una leggenda.
Infatti, tra il 1840 ed il 1860 aumentò molto la disponibilità di libri, riviste, immagini litografiche, stampe e fotografie che consentirono a un pubblico borghese sempre più alfabetizzato di conoscere personaggi ed eventi di tutto il mondo. Narrazioni di viaggi e di esplorazioni, descrizioni di paesi lontani erano temi di grande successo e le avventure di personaggi coraggiosi avvincevano sia il pubblico maschile che femminile. Perciò le guerre del Sud America furono descritte da molte riviste anche in Europa e lì per la prima volta apparve la figura del corsaro italiano capace di vincere ogni battaglia.
Ma fu Mazzini che contribuì a fare di Garibaldi un mito. Capì infatti che la causa italiana doveva avere non solo dei martiri, caduti nei numerosi moti della Giovane Italia, ma anche degli eroi vittoriosi e Garibaldi sembrava avere tutte le caratteristiche per diventare un mito. Perciò Mazzini pubblicò lettere sui giornali in Francia e in Inghilterra e fece stampare opuscoli, che circolavano clandestini, in cui si esaltavano le imprese militari di Garibaldi e le motivazioni ideali che lo animavano. Così l’opinione pubblica internazionale cominciò ad avere di lui non l’immagine di un avventuriero senza patria, ma quella di un uomo valoroso e disinteressato, capace di animare con una parola i suoi uomini e di sconfiggere nemici superiori di numero, in grado di reprimere i tumulti e punire i malvagi.

Un generale alla testa dei volontari in tutte le guerre del Risorgimento

 

I mazziniani di tutta la penisola contribuirono a diffonderne la fama: nel 1847 fu lanciata una sottoscrizione per una spada d’onore a Garibaldi e medaglie ai legionari italiani in Sud America e decine di articoli di giornale fecero crescere l’aspettativa nei suoi riguardi come del grande comandante che sarebbe presto tornato per mettere il suo braccio a disposizione dell’unità della patria. Per questo, quando nel 1848 sbarcò a Genova, le autorità piemontesi, per le quali era ancora un fuorilegge, non poterono far niente contro di lui, ma anzi accettarono che combattesse con i suoi volontari nella guerra contro l’Austria.
La sua partecipazione all’eroica difesa della Repubblica Romana nel 1849 aumentò la sua fama e la fuga successiva tra paludi e boscaglie, con la morte di Anita, divenne occasione per infiniti racconti, in gran parte inventati, che completarono la sua immagine di eroe romantico, bello, audace, ribelle e disperato. Piaceva a molti anche perché era un rivoluzionario lontano dalla politica ufficiale che lo disprezzava, mentre la Chiesa e i tradizionalisti lo odiavano. Per questo i giovani si arruolavano volontari per combattere al suo fianco, le signore della borghesia accorrevano per stargli vicino.
Ma fu l’impresa dei Mille a far arrivare la sua fama alle stelle. Ovviamente era molto più interessante per il pubblico pensare che la vittoria sul Regno delle Due Sicilie fosse dovuta non tanto alle diverse cause che portarono al successo, quanto all’eroico generale Garibaldi, invincibile e ancor più ammirevole perché aveva donato al suo re le terre conquistate e se ne era andato senza richiedere ricompense.

L’eroe di una favola romantica

Decine furono le biografie e i romanzi ispirati alla sua vita in italiano e in altre lingue. La storica Lucy Riall, in un libro dedicato all’invenzione del mito garibaldino, riporta un commento che il drammaturgo francese Prosper Mérimée fece nel maggio 1860: «Mi piace la spedizione di Garibaldi perché amo i romanzi e le storie di avventura!». E Garibaldi era proprio l’eroe di una favola romantica: in lotta contro il male, con la sua eroina morta drammaticamente, con il lieto fine dell’unificazione italiana.

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Pietro Bouvier, Garibaldi e il maggiore Leggero portano Anita morente attraverso le valli di Comacchio, Museo del Risorgimento, Milano

Garibaldi era consapevole del mito che si stava creando intorno alla sua persona e contribuì ad alimentarlo, anche perché sapeva che in questo modo avrebbe portato nuovi amici alla causa italiana. Così prendeva la parola nelle manifestazioni che si indicevano in suo onore dovunque passasse, accettava i doni simbolici che gli venivano offerti (per esempio nel 1854 mentre era di passaggio a Newcastle in Inghilterra con una sottoscrizione di 1047 operai gli furono donati una spada, un telescopio e un diploma per la sua gloriosa difesa della Repubblica Romana), concedeva interviste ai giornalisti e permetteva che lo seguissero nelle sue imprese. Per esempio Alexandre Dumas, il famosissimo romanziere francese autore de I tre moschettieri e de Il conte di Montecristo, lo accompagnò per gran parte della conquista del Regno delle Due Sicilie e il libro che poi pubblicò, Garibaldi, fu sicuramente uno dei bestseller dell’anno.

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Antonio Masutti, Alexandre Dumas assiste al sonno di Garibaldi che, stanco per la battaglia di Milazzo, si era sdraiato nel portico di una chiesa con la sella come cuscino, 1860 circa

In ogni modo il mito servì moltissimo a sostenere e giustificare sul piano internazionale il processo di unificazione italiana che stava avvenendo in un modo tanto rapido e violento da insospettire gli altri stati europei.
La leggenda che lo circondava era diffusa in tutta Europa: quando nel 1864 decise di accettare l’invito degli amici inglesi e si recò a Londra, una folla di 500 mila persone lo accolse, la più grande manifestazione mai vista fino allora. Tutti lo ricevettero con grandi onori, dalle associazioni operaie, ai salotti della nobiltà, al primo ministro e ai membri del governo inglese.

Una speranza per le classi popolari

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La fama di Garibaldi non aveva toccato solo i borghesi che leggevano giornali; era anche passata di bocca in bocca nelle classi popolari in Sicilia, dove il suo arrivo aveva acceso la speranza di abbattere i poteri feudali e di diminuire la miseria. Alcune decisioni prese subito da Garibaldi, come quella di abolire l’obbligo di baciare la mano alle autorità, sembrarono confermare queste speranze. Molto diffusa era una litografia che raffigurava Garibaldi come Cristo, con tanto di mano benedicente. Davanti alle sue immagini la gente accendeva candele, come per un santo. Ma queste speranze vennero presto deluse; infatti l’obiettivo dell’impresa dei Mille era l’unificazione italiana e non la rivoluzione sociale e le idee di Garibaldi sulla società da costruire non erano molto chiare: voleva un mondo più giusto, più umano, più egualitario, ma il suo pensiero non andava molto più in là. Nonostante questo divenne l’esponente più importante del partito democratico.

Garibaldi nella veste di Cristo Pantocratorelitografia, 1850.

Le mille immagini di Garibaldi

Se i racconti più o meno romanzati della vita di Garibaldi andavano a ruba, anche la sua immagine fu riprodotta in mille copie e possederne una era un modo per dichiarare il proprio patriottismo o la propria tendenza per il partito dei democratici.
L’immagine di Garibaldi diventò un’icona che apparve sugli oggetti più diversi, anticipando l’invenzione moderna dei gadget: orologi, tabacchiere, spille e ciondoli in oro smaltati, vasi e tazze di porcellana, foulard e tele decorate riportarono l’eroe in varie pose, a mezzo busto, a cavallo, in piedi. Dipinti, fotografie, sculture lo raffigurano in diversi momenti della sua vita. Vignette satiriche lo utilizzano nelle battaglie politiche del tempo.
Diversi pittori lo raffigurarono in grandi quadri. 
All’inizio furono i cosiddetti pittori-soldato, come Gerolamo e Domenico Induno o Eleuterio Pagliano, che parteciparono con lui a tutte le battaglie dalla difesa di Roma all’Aspromonte; poi anche altri autori della corrente realista.

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Gerolamo Induno, Garibaldi sulle alture di Sant’Angelo presso Capua, olio su tela, 65x52 cm, Milano, Gallerie di Piazza Scala

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Gerolamo Induno, Ritratto di Garibaldi

Dopo la sua morte Garibaldi, insieme a Vittorio Emanuele, Cavour e Mazzini, venne dichiarato padre della Patria dalla propaganda che cercava di unificare nello spirito gli abitanti di un’Italia appena unificata. In ogni città d’Italia venne eretto un monumento in suo onore, il più importante dei quali sorse sul Gianicolo, il colle di Roma, dove più forte era stata la resistenza nel 1849.

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Monumento sul Gianicolo

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Statuetta in porcellana di Garibaldi a cavallo

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Antico orologio con statuetta di Garibaldi

I musei del Risorgimento, che sorsero per coltivare il ricordo dell’unificazione appena conclusa, raccolsero tutti gli oggetti che lo riguardavano (lettere, dispacci, medaglie celebrative, le camicie rosse, la sua spada, il suo poncho, lo stivale portato all’Aspromonte) e in ogni paese dove l’eroe aveva combattuto o anche solo sostato furono affisse lapidi per ricordare l’evento.

Il mito continua

 

Anche dopo la sua morte i garibaldini mantennero vivi i suoi ideali. In varie occasioni volontari con la camicia rossa si riunirono per difendere in suo nome la causa della giustizia. Per esempio nel 1914 all’inizio della Prima guerra mondiale due suoi nipoti, Bruno e Costante, morirono in Francia dove erano accorsi con altri volontari a difendere quel paese invaso dai tedeschi.
Nei primi anni del Novecento Garibaldi continuò a essere l’eroe più amato e ricordato non solo nei nomi delle vie e delle piazze, ma anche nei calendari, album di figurine, cartoline, opuscoli.
Nel 1932, cinquantenario della sua morte, il regime fascista indisse molte manifestazioni in suo onore, cercando di avvicinare la sua figura a quella di Mussolini.
Ma Garibaldi rimase comunque un eroe della sinistra democratica: i gruppi di volontari italiani che nel 1936 partirono per la Spagna a difendere il governo repubblicano si chiamarono brigate Garibaldi e durante la Resistenza dal 1943 al 1945 lo stesso nome venne adottato dai partigiani comunisti. E ancora nelle drammatiche elezioni italiane del 1948 la sinistra utilizzò Garibaldi come proprio simbolo.
Certo ormai è passato molto tempo e sono sorti nuovi eroi. Ma il mito di Garibaldi ancora resiste non tanto perché ha contribuito a unificare l’Italia, ma per la determinazione e lo spirito internazionalista con cui ha portato avanti gli ideali di giustizia e libertà.

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Garibaldi raffigurato su un manifesto del Partito socialista di Rieti

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