top of page

Sei in: Fare l'Italia, fare gli italiani - Il completamento dell’unità e la costruzione dello Stato - 2 SPAZI, TEMPI, EVENTI - 2.4 La Terza guerra d'indipendenza - La sconfitta di Lissa e il processo a Persano

La sconfitta di Lissa e il processo a Persano

La battaglia navale di Lissa, preceduta da manovre navali e un attacco italiano all’isola dal 18 luglio 1866 si concluse il 20 luglio 1866 con lo scontro diretto tra le navi della Regia Marina italiana e le navi della Marina Imperiale Austriaca, nelle acque intorno all’isola di Lissa, lungo le coste della Dalmazia, nel Mar Adriatico.

 

Le forze in campo

La flotta italiana era costituita da 12 navi corazzate, 10 pirofregate  in legno, 4 cannoniere in legno per complessive 68.000 tonnellate circa. Si trattava di una buona consistenza, ma la Marina italiana era nata dalla fusione di flotte diverse:  le navi del  Regno di Sardegna, quelle della marina Borbonica, quelle del Granducato di Toscana e alcune della Marina Pontificia. Le navi fatte costruire dopo l’unificazione per potenziare ulteriormente la flotta provenivano in gran parte da cantieri esteri (della Francia e degli USA), perché l’industria cantieristica italiana, nonostante gli sforzi di Cavour negli anni del suo governo, non era ancora sufficientemente moderna e sviluppata. Mancava perciò una concreta capacità da parte degli ufficiali di conoscere a fondo le possibilità di manovra, la velocità e i limiti di navi eterogenee per struttura e meccanica.

Questi problemi costrinsero di fatto ad assumere anche meccanici stranieri per il governo e le manovre, ma da essi certamente non si poteva pretendere fedeltà e dedizione patriottica ed infatti alle prime difficoltà (incendi, avarie)  alcuni si dimisero. Anche per la Marina, inoltre, come per l’esercito, i maggiori problemi venivano dalle rivalità tra gli alti ufficiali che provenivano dalle Marine dei diversi stati preunitari ed erano in competizione per il ruolo di ammiraglio. Il comando supremo fu affidato all’ammiraglio Luigi Amedeo Pellion di Persano, che aveva fatto carriera nella Marina  del Regno di Sardegna e non godeva della stima degli altri ufficiali.

Le navi erano stanziate nei diversi porti italiani e, all’inizio della guerra, soprattutto nel porto di Ancona e in quello di Taranto.

La flotta austriaca, forte di 7 navi corazzate, 1 nave di linea a vapore in legno, 5 pirofregate in legno, 1 pirocorvetta in legno, 12 cannoniere in legno, era meno potente di  quella italiana, arrivando a circa 50.000 tonnellate. La coesione degli ufficiali al comando, però, e le competenze degli equipaggi erano elevate e questo fu decisivo per le sorti dello scontro. La flotta, agli ordini del contrammiraglio Wilhelm von Tegetthoff, era ancorata nei porti istriani tra Trieste e Pola.

 

Le manovre e l’attacco italiano a Lissa

 

Tra la fine di giugno e i primi giorni di luglio la flotta austriaca aveva tentato di sorprendere le navi italiane con alcune manovre, ma senza successo. Persano, consapevole delle debolezze della flotta sotto il suo comando, era poco disposto a dar battaglia, ma a Corte e nel Governo prevalsero considerazioni politiche: la guerra, ai primi di luglio era sostanzialmente conclusa e l’Italia acquisiva il Veneto, ma certo l’esercito italiano aveva fatto una grama figura a Custoza. C’erano anche altre ragioni: le clausole del patto di alleanza con la Prussia menzionavano il Lombardo-Veneto, ma non Gorizia e Trieste e neppure il Trentino e l'Alto Adige, che rientravano nei territori tedeschi;  i Principi tedeschi non ne avrebbero accettato la cessione. Neppure i territori lungo le coste della Dalmazia erano citati nel Trattato, però non facevano parte degli stati tedeschi: erano originariamente possedimenti della Serenissima Repubblica di Venezia ed erano passati all’Impero austriaco solo con il Trattato di Campoformio nel 1797.

Lo Stato Maggiore italiano pensò quindi di attaccare gli austriaci nell’Adriatico per ottenere in un sol colpo due obiettivi: il recupero dell’onore militare e la conquista dei territori della costa dalmata.

Il piano era di costringere Tegetthoff  ad uscire dai porti, stringerlo tra le navi italiane e la costa  e contemporaneamente cannoneggiare dal mare alcune basi austriache sulle isole dalmate. Tegetthoff però non accettò lo scontro e le manovre italiane andarono a vuoto, alimentando malumori e accuse a Persano. Fu quindi il ministro Depretis in prima persona a raggiungere Ancona e, dopo alcune consultazioni con gli ufficiali e i ministri degli Esteri e della Guerra, a ordinare a Persano di attaccare e occupare  l’isola di Lissa dove c’era una base austriaca, ma viveva anche una colonia di italiani.

Persano quindi salpò con 24 navi da Ancona, dopo aver fatto svolgere una ricognizione nelle acque intorno a Lissa per rendersi conto delle difese austriache, e aver inviato alle navi all’ancora a Taranto l’ordine di raggiungere il grosso della flotta al più presto.

Nella mattina del 18 luglio Lissa fu attaccata dai quattro punti cardinali con il cannoneggiamento dal mare delle batterie  difensive. L’attacco ebbe un discreto successo: circa la metà delle batterie fu messa fuori uso, le perdite furono modeste e Persano diede disposizioni per le operazioni di sbarco e occupazione che iniziarono il giorno 19. Nella stessa giornata Tagetthoff salpava dall’Istria con la flotta austriaca e dirigeva a tutta velocità verso Lissa.

512px-Battle_of_Lissa_-_1866_-_Initial_S

Schieramento delle flotte all’inizio della battaglia

La battaglia navale

 

Nella notte tra il 19 e il 20 le condizioni meteorologiche e del mare peggiorarono, costringendo gli equipaggi a restare ai posti di manovra nonostante la stanchezza accumulata nei due giorni di cannoneggiamenti e nelle operazioni di sbarco. All’alba furono avvistate le navi austriache e Persano diede disposizioni per lo schieramento di attacco. Si era però spostato, con i più stretti aiutanti dalla nave ammiraglia, la Re d’Italia, all’Affondatore, una nave più piccola e con alberatura più bassa, ma dotata di moderni cannoni rigati montati su una torretta corazzata e girevole, invece che sulle fiancate. Molti comandanti delle navi però non videro più le insegne ammiraglie (o non vollero vederle) e gli ordini divennero incomprensibili, confusi o non furono eseguiti. Alcune navi poi raggiunsero lo schieramento in ritardo perché si erano attardate lungo la costa per recuperare le lance messe in mare per lo sbarco sull’isola. Sbarco che era stato interrotto per l’imminente battaglia.

Le navi di Taranto erano nel frattempo sopraggiunte, ma  la confusione e la lentezza delle manovre in mare e le difficoltà a coordinare le operazioni da parte di Persano aprirono un varco nello schieramento di battaglia e consentirono a Tegetthoff di insinuarsi tra le navi italiane e attaccarle con i cannoni. La battaglia si frammentò presto in una serie di scontri minori fra gruppi di navi manovrate a fatica per le condizioni del mare e per il fumo dei colpi di cannone che impedivano una visione chiara del teatro di scontro.

Entrambe le flotte ricorsero, per l’ultima volta nella storia della guerra per mare, agli speronamenti come manovra offensiva. Fu la pirofregata corazzata Ferdinand Max, nave ammiraglia della flotta austriaca, a speronare la Re d’Italia, bloccata e immobile dopo essere stata colpita da alcune cannonate. Si aprì un varco di 15 m² e la Re d’Italia iniziò ad inabissarsi, mentre sul ponte il comandante e diversi uomini e continuavano a sparare con pistole e fucili. Sopraggiunse una nave austriaca per recuperare i superstiti della Re d’Italia, secondo il codice d’onore marinaro, ma fu bersagliata dal tiro delle navi italiane (San Martino e Palestro) e rinunciò al salvataggio.

Anche la Palestro affondò poco dopo per l’incendio causato dalle cannonate austriache che fece esplodere le munizioni.

Alle 22.30 della sera Persano diede ordine di rientrare ad Ancona, progettando forse una ripresa delle ostilità per il giorno successivo: la flotta italiana aveva avuto 2 navi corazzate affondate, molte imbarcazioni danneggiate (1 nave dovette essere rimorchiata) per i danni subiti, 620 morti, 40 feriti. Le perdite austriache, a parte i danni alle navi, erano decisamente inferiori: 38 morti, 138 feriti.

Principe_Umberto_De_Simone.jpg

Tommaso De Simone, La pirofregata Principe Umberto soccorre i naufraghi della pirofregata corazzata Re d’Italia dopo la battaglia di Lissa, 1866

Esito della battaglia e processo a Persano

 

Il Ministro Depretis individuò in Persano il capro espiatorio ideale per la umiliante sconfitta di Lissa, anche se le responsabilità non erano solo dell’ammiraglio. Indubbiamente la sua conduzione delle operazioni belliche in mare non era stata coerente e sicura, però non vennero tenuti  in considerazione i limiti tecnici delle navi, la scarsa collaborazione degli altri comandanti e le pressioni governative. Persano, al rientro peggiorò la situazione dichiarando inspiegabilmente di aver vinto. Era in malafede? Non aveva capito quanto era accaduto? O nutriva la speranza di poter riprendere a breve le ostilità e recuperare? 

Depretis decise pertanto di processare Persano e i suoi aiutanti, mentre le navi ancora funzionanti furono fatte rientrare ad Ancona e Taranto con altri comandanti. Il processo contro Persano ebbe inizio nell'ottobre 1866 in Senato, riunito per l’occasione come Alta Corte di Giustizia: i capi d'accusa erano alto tradimento, viltà di fronte al nemico, imperizia, negligenza e disobbedienza.

Nell’ aprile 1867 Persano, giudicato colpevole di imperizia, negligenza e disobbedienza, fu privato del grado di ammiraglio e condannato al pagamento delle spese processuali. Gli altri ufficiali, anche se non furono processati, videro concludersi la loro carriera militare e furono, con vari pretesti, esautorati e collocati a riposo.

 

 

Guida alla Lettura

1) La flotta italiana era superiore per tonnellaggio e numero di navi. Aveva però diversi motivi di debolezza. Quali erano? Individuali  e trascrivili.

2) Individua errori e responsabilità dell’ammiraglio Persano.

3) Quali erano le sue motivazioni?

4) L’espressione “capro espiatorio” si usa per indicare chi paga anche per colpe non sue, ma di altri. Individua le responsabilità del governo e della corta sabauda che furono addossate a Persano.

5) Individua anche le motivazioni della Corona e del capo del governo Depretis.

6) Gli altri ufficiali furono in qualche modo puniti per le loro responsabilità? Individua in quale modo.

bottom of page