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L’impianto manualistico serve poco
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Bersaglieri e corazzieri
Fare l'Italia, fare gli italiani
Il processo di unificazione nazionale
Sei in: Fare l'Italia, fare gli italiani - Il completamento dell’unità e la costruzione dello Stato - 2 SPAZI, TEMPI, EVENTI - 2.4 La Terza guerra d’indipendenza - Un bulldog tra i volontari
Un bulldog tra i volontari
Un cane di razza bulldog
Cosa faceva nei secoli scorsi un soldato proprietario di un cane quando veniva arruolato o si presentava volontario?
Se non poteva lasciarlo alla famiglia o a un amico, spesso lo portava con sé, soprattutto nelle formazioni di volontari, che avevano regole più flessibili. Questa pratica ebbe un certo successo, tanto che a cominciare dalla Grande Guerra (1914-1918) gli eserciti iniziarono a organizzare reparti cinofili, in cui i cani erano addestrati per operazioni di guerra: portare ordini, segnalare feriti e caduti, portare munizioni ecc. Nella Terza guerra d’indipendenza l’arruolamento di cani destava ancora una certa curiosità, tanto che alcune fonti segnalano la storia del cane Caffaro, di razza bulldog, arruolato insieme al suo padrone, il sottotenente Giulio Grossi di Venezia, nel Corpo volontari italiani di Giuseppe Garibaldi.
Il cane prese parte alla battaglia di Ponte Caffaro insieme al secondo reggimento, quello del sottotenente Grossi, e non si limitò ad affiancare il padrone. Vedendo impegnati in un duello alla baionetta il tenente Giovanni Battista Cella dei bersaglieri volontari e il capitano boemo Rudolf Ruzicka, si lanciò all’attacco (riconosceva probabilmente le divise) azzannando al polpaccio Ruzicka. Attaccò anche un altro soldato austriaco rimanendo ferito.
Di fatto «non fu conteso al cane il nome di Caffaro, che portò per tutto il tempo della guerra» (G.C. Abba, Scritti garibaldini, Volume III, Morcellana, Brescia 1986, p. 145).
Le fonti discordano sul destino dell’animale: si parla di una medaglia al valore; alcuni raccontano che restò sulla tomba del padrone, caduto il 18 luglio nella battaglia di Pieve di Ledro, dove morì dopo due giorni di guaiti disperati.
Altri raccontano che fu preso in consegna da un commilitone del sottotenente Grossi e portato al padre dell’eroico ufficiale, a Venezia, dove comunque morì poco tempo dopo di crepacuore.