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Sei in: Fare l'Italia, fare gli italiani - Un decennio di preparazione e di guerre (1850-1859) - 2 SPAZI, TEMPI, EVENTI - 2.5 La Seconda guerra d’indipendenza - I dubbi di Napoleone III e l’armistizio di Villafranca

I dubbi di Napoleone III e l’armistizio di Villafranca

Anche Napoleone III rimase sconvolto dallo spettacolo dei morti e dei feriti di Solferino. Quel che vide non fece che confermare i dubbi che già a Milano aveva cominciato a nutrire sulla partecipazione del suo esercito alla guerra. Le perdite più elevate erano state quelle dell’esercito francese, che d’altra parte sosteneva il peso maggiore della guerra; l’esercito piemontese infatti era di soli 65.000 uomini, invece dei 100.000 richiesti dagli accordi di Plombières. In Francia, da quanto gli scrivevano i suoi ministri e la moglie Eugenia, la guerra veniva guardata in modo critico: nessun vantaggio concreto per la Francia e così elevate perdite rischiavano di alimentare l’ostilità degli oppositori, dei giornali e dell’opinione pubblica. La popolazione lombarda e dei territori dell’Italia centrale, al di là delle manifestazioni di entusiasmo immediate, aveva manifestato poca collaborazione nelle forniture di vettovaglie e alloggiamenti agli eserciti. I lombardi, in particolare, forse memori della delusione del 1848, si erano dimostrati assai “tiepidi”. Gli emissari di Cavour nell’Italia centrale premevano perché i governi provvisori nati dalle rivolte liberali scegliessero l’annessione al Regno di Sardegna: anche i progetti di creare uno stato filofrancese nel centro della penisola, affidato a Gerolamo Bonaparte, sfumavano. Inoltre, sostengono altre fonti, l’imperatore aveva timore di lasciare sguarnito il confine orientale francese con il rischio di un’invasione da parte della Prussia che si stava riarmando lungo il Reno.
Napoleone III maturò così la decisione di porre fine alla guerra, si accordò con Francesco Giuseppe e firmò l’11 luglio l’armistizio a Villafranca. La Francia otteneva la cessione della Lombardia impegnandosi a cederla a sua volta al Regno di Sardegna. Francesco Giuseppe infatti aveva rifiutato il coinvolgimento di Vittorio Emanuele per la firma dell’atto conclusivo della guerra. L’armistizio fu ratificato dalla pace di Zurigo del 10 novembre.
Vittorio Emanuele era forse informato delle intenzioni dell’alleato (la questione è controversa) e in parte non poteva non condividerle, anche perché conosceva le reali forze del suo esercito e il proseguimento della guerra, senza la presenza dell’esercito francese era improponibile. L’armistizio non fu invece accettato da Cavour che, dopo un tempestoso incontro con il re, rassegnò le sue dimissioni.

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Domenico Induno, L’arrivo del bollettino di Villafranca, 1861-1862, olio su tela, 90x115 cm,
Gallerie di Piazza Scala, Milano
A un anno di distanza dagli avvenimenti, l’armistizio veniva già presentato quasi come un tradimento degli ideali risorgimentali. Proprio per questo si accreditava l’idea che Napoleone III non avesse informato Vittorio Emanuele: nel quadro qui riportato Induno rappresenta lo sconforto di persone appartenenti a gruppi sociali diversi: ci sono borghesi, militari e popolani

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