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Sei in: Fare l'Italia, fare gli italiani - Il biennio 1848-1849 - 2 SPAZI, TEMPI, EVENTI - 2.4 La Prima Guerra d'indipendenza - I generali piemontesi e i volontari: un giudizio di Cristina Belgioioso

I generali piemontesi e i volontari: un giudizio di Cristina Belgioioso

Dalle memorie di Cristina di Belgioioso pubblicate in Francia (L’Italie et la révolution italienne de 1848-L’insurrection milanaise) e successivamente tradotte in italiano, riportiamo le pagine in cui si descrive come Carlo Alberto e il suo esercito mancassero, negli alti gradi di comando, della competenza, se non addirittura della volontà e della determinazione necessarie per combattere il nemico.

 

Gettando un sguardo, sul teatro della guerra, né i movimenti dell’armata piemontese, né il trattamento dei volontari, né la direzione che ai loro sforzi generosi si dava, mi rassicuravano. […]
Chiunque però attento seguiva le mosse della guerra non poteva a meno di non sentire un’amara inquietudine. Attorniato dal suo vecchio stato maggiore, tutti conti e marchesi del Piemonte, si compiaceva re Carlo Alberto a rintracciare dei piani strategici, che se fossero stati d’onore a Carlo XII ed a Federigo il Grande, dopo le innovazioni nell’arte della guerra per opera di Napoleone introdotte, ridicoli riescivano anziché vani. Le truppe piemontesi a tardo passo marciavano su Mantova e Verona: in costruire strade, e ridotti, scavar fosse, un tempo prezioso si perdeva, intanto che dall’Allemagna numerosi rinforzi scendevano all’inimico. […]
Ai confini, dai nostri volontari guardati, prendea tutt’altro aspetto la guerra: è gloria loro, se l’austriaco non valse ad aprirsi il passo là, dove la corona delle Alpi tirolesi, che Brescia dominano, Bergamo e Salò, valorosamente difendevano que’ prodi. Di mancanza d’unione e di indisciplinatezza i volontari si accusavano: veramente, cominciate le ostilità, per lunga pezza di tempo i comandanti Manara – Anfossi – Thamberg – Griffini – Thorres – Borri ed Arcioni eransi trovati a se stessi abbandonati – liberi di diriger le loro colonne per dove lor meglio sembrasse, altra guida non avendo, che il loro talento – altro capo, che la loro inspirazione. Corse infine la voce dell’occupazione del Tirolo: il governo provvisorio, temendo la confederazione germanica, investì del comando delle colonne al confine il generale Allemandi, piemontese di nascita – svizzero d’adozione. Le inconcepibili marce e contromarce comandate da questo generale fecero ben tosto gridare al tradimento. Narrerò uno solo dei fatti, di che il generale Allemandi s’incolpa. A qualche miglia dal lago di Garda sulla strada che mena da Venezia a Milano, sorgeva il villaggio di Castel-Nuovo. Nei primi giorni d’aprile alcuni soldati della colonna vi si erano ritardati: sorpresi alla notte da lui corpo nemico due volte maggiore dovettero alla loro bravura ed al loro sangue freddo la salvezza: in buon ordine si ritirarono. Restava il paese: vollero gli Austriaci sfogare tutta la rabbia, contro quei poveri abitanti. Al rumore delle fucilate, e del suonare a martello ben si avvidero i loro fratelli, sulle rive del lago di Garda acquartierati, che nelle vicinanze di Castel-Nuovo ardeva la zuffa. Il generale cedette alle loro istanze: ordinò si mandassero dei rinforzi. Tutti in un lampo si radunarono: ognuno voleva partire. Si loda il loro zelo: si dà l’ordine di marciare all’istante: un battello a vapore tradurre li doveva sino a qualche passo da Castel-Nuovo. Questi volontari appartenevano la maggior parte a buone ed agiate famiglie: a vita comoda, e forse effeminata assuefatti, non avevan mai visto il fuoco dell’inimico: le dure ortiche del campo lor eran nuove: ma non per questo meno contenti: non meno impazienti di misurarsi una volta coll’oste odiata. Dato l’ordine, partono. Il battello aveva già guadagnato il largo: da lunge una striscia di rossa luce, che là era Castel-Nuovo, o più tosto l’incendio di Castel-Nuovo additava. Quanto volentieri non avrebbero guadagnata al nuoto la riva! passa un’ora, ne passan due né mai a Castel-Nuovo si avvicinano. Uno di essi esperto, per aver qualche tempo servito nella marina austriaca, d’un tradimento sospettando, scende a visitare le macchine: le valvole aperte, anziché spingere la ruota, lasciavano libero sortire il vapore. Ascende: interroga il macchinista d’un fatto sì strano: tremante questi risponde – tale esser l’ordine del capitano del battello. Avvertitone il comandante della truppa, il capitano del vapore vien posto agli arresti: si rimette la macchina, era troppo tardi. Allo spuntar del giorno quando quei prodi arrivarono, le ultime fiamme consumavano il villaggio di Castel-Nuovo: esso non era più: l’ultima vittima moriva per mano dell’immondo croato. Consegnato al generale Allemandi ed ai giudici in Salò il capitano del vapore, pochi giorni dopo sortiva: a bordo del suo battello libero comandava. […]

 

Da Principessa Cristina Triulzi-Belgioioso, L’Italia e la rivoluzione italiana (Dalla “Revue des Deux Mondes” 1848); aggiuntovi: Gli ultimi tristissimi fatti di Milano (narrati dal Comitato di Pubblica Difesa, con documenti), prefazione di Arcangelo Ghisleri, Remo Sandron Editore, Libraio della R. Casa, Milano-Palermo-Napoli 1904, in http://www.liberliber.it, pp. 24-25.

 

Guida alla Lettura

 

1) Che cosa imputa Cristina di Belgioioso al modo di condurre la guerra di Carlo Alberto? Definiscilo con almeno un paio di aggettivi appropriati e confrontali con i compagni.

2) Chi era il generale Allemandi? Perché viene subito sospettato di tradimento?

3) Quale episodio cita la Belgioioso a conferma di tali sospetti? Raccontalo con le tue parole.

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