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Sei in: Fare l'Italia, fare gli italiani - L’impresa dei Mille - 3.2 SOGGETTI e PROTAGONISTI - Le biografie - Ippolito Nievo

Ippolito Nievo

Ippolito Nievo nasce a Padova nel 1831. È il primogenito di Antonio, un magistrato appartenente alla piccola nobiltà mantovana, e di Adele Marin, figlia di una nobildonna friulana e di Carlo Marin, un patrizio veneziano che al tempo ricopriva il ruolo di intendente di finanza a Verona. Il nonno materno, uomo colto e amante della letteratura, sarà un punto di riferimento nell’educazione di Ippolito. Quando il padre – nel 1837 – viene trasferito nella pretura di Udine, il futuro scrittore trascorre molti giorni della sua infanzia nel castello di Colloredo, in Friuli, a metà strada fra Tricesimo e San Daniele, in un feudo di proprietà dei Marin. Un luogo che come “castello di Fratta” rivivrà nel suo capolavoro letterario Le confessioni di un italiano.
Frequenta il ginnasio a Verona, in un convitto: la sua solitudine è alleviata soltanto dalle frequenti visite del nonno Carlo Marin, a cui dedica il quaderno dei suoi Poetici componimenti fatti l’anno 1846-1847, semplici poesie scolastiche in stile classicista.
Dal 1847 Ippolito può ricongiungersi alla famiglia e proseguire gli studi liceali presso il Liceo Virgilio di Mantova. Infatti il padre Antonio, avendo ereditato i beni paterni, un palazzo nel centro di Mantova e una residenza di campagna in località Fossato, si era fatto trasferire nella procura di Sabbioneta. A Mantova, Ippolito è introdotto da Attilio Magri, un compagno di scuola, in casa Ferrari, dove conosce e si innamora di Matilde.
Nel biennio 1848-1849 il giovane Ippolito, affascinato dal programma democratico di Mazzini e Cattaneo, partecipa alle rivolte antiaustriache sia a Mantova sia in Toscana, dove la famiglia per prudenza l’aveva fatto trasferire.
Rientrato in Lombardia, compie gli studi liceali a Cremona e, dopo essersi iscritto alla facoltà di legge dell’Università di Pavia, intrattiene con Matilde Ferrari una lunga corrispondenza amorosa, dal 1850 all’inizio del 1851, quando la relazione si interrompe, lasciando ai posteri un ricco carteggio. Si tratta di ben 69 lettere dettate da un’intima necessità di espressione lirica e scritte con lo sguardo rivolto ai modelli letterari del romanzo epistolare, allora in voga, come Le ultime lettere di Jacopo Ortis di Foscolo e la Nouvelle Héloïse di Rousseau.
Negli anni seguenti pubblica alcune raccolte poetiche e intraprende una sistematica attività di pubblicista: collabora dapprima con riviste bresciane e friulane e poi con giornali milanesi, tra cui il prestigioso «Il Caffè». Proprio per un racconto, L’avvocatino, pubblicato su un foglio milanese nel 1856, viene accusato di vilipendio nei confronti delle guardie imperiali austriache e subisce un processo nel quale si difende da solo.
Ha così modo di trascorrere lunghi periodi a Milano e ha la possibilità di partecipare e di apprezzare il vivace dibattito letterario e politico dei suoi salotti e il fervore culturale della città. In quel periodo Ippolito inizia una relazione con Bice Melzi, moglie del cugino Carlo Gobio; a Bice indirizzerà numerose lettere durante l’intero periodo delle imprese garibaldine.
Tra il dicembre 1857 e l’agosto 1858 Nievo si ritira a Colloredo per stendere il suo capolavoro Le confessioni di un italiano, di cui aveva disegnato il piano un paio di anni prima. Nel romanzo, un’opera monumentale di oltre 1500 pagine, si finge Carlo Altoviti, un nobile della terraferma veneziana e un patriota che, giunto sulla soglia degli ottanta anni, ripensa alla sua vita e la racconta.
Nel 1859 e nel 1860 combatte con Garibaldi. Il 5 maggio 1860 il poeta-soldato si imbarca a Quarto (Genova) con un migliaio di altri volontari per quella che sarà nota come “l’impresa dei Mille”. Nella spedizione a Nievo vengono affidati compiti di addetto ai rifornimenti e di gestione amministrativa e, una volta conquistata Palermo, sarà nominato intendente di prima classe e con questo incarico si fermerà nel capoluogo siciliano.
Il diario della spedizione dal 5 al 28 maggio e le Lettere garibaldine, in cui lo scrittore ci ha lasciato un’attenta cronaca dell’impresa, saranno le sue ultime opere.

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Ippolito Nievo in divisa da garibaldino

Infatti Ippolito Nievo troverà la morte nel naufragio del vapore Ercole, nella notte tra il 4 e il 5 marzo 1861, al largo di Sorrento, durante la navigazione da Palermo a Napoli. Era stato incaricato dal governo piemontese di riportare dalla Sicilia i documenti amministrativi della spedizione che, invece, furono inghiottiti dal mar Tirreno insieme all’equipaggio e a tutti i passeggeri.
Le misteriose circostanze del naufragio, che non restituirà né relitti né cadaveri, faranno pensare a un complotto politico per eliminare le carte della spedizione insieme a chi le custodiva.
L’ipotesi del complotto sarà alimentata soprattutto dal romanzo Il prato in fondo al mare scritto dal pronipote Stanislao Nievo e pubblicato nel 1974 da Mondadori. Nel romanzo il drammatico evento viene rappresentato come «una sospetta strage di Stato italiana, maturata dalla Destra e decisa dal potere piemontese per liquidare la Sinistra garibaldina: “strage” con la quale si sarebbe aperta la storia dell’Italia unita».
Così il tenente colonnello Nievo muore quando non ha ancora compiuto trent’anni. Per una sorta di paradosso il suo capolavoro, l’opera che lo renderà famoso, sarà pubblicato postumo nel 1867 dall’editore Le Monnier con il titolo Le confessioni di un ottuagenario.

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