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Sei in: Fare l'Italia, fare gli italiani - Un decennio di preparazione e di guerre (1850-1859) - 2 SPAZI, TEMPI, EVENTI - 2.1 Il Lombardo-Veneto - Il ritorno degli austriaci a Milano e nel Lombardo-Veneto

Il ritorno degli austriaci a Milano e nel Lombardo-Veneto

Gli austriaci rientrarono a Milano il 6 agosto 1849. Alcune decine di migliaia di milanesi si erano allontanati dai giorni precedenti verso il Canton Ticino e il Piemonte per timore delle rappresaglie dei vincitori. E queste in effetti non si fecero attendere.
I primi provvedimenti furono confische: di cibo, letti, materassi per ripristinare la dotazione di caserme e ospedali e provvedere alle necessità dell’esercito e, inoltre, prestiti obbligatori vennero imposti ai commercianti. L’imperatore era forse disponibile a una politica di conciliazione, ma il maresciallo Radetzky adottò la politica del pugno duro. Impose una contribuzione di guerra alla Municipalità, cioè l’intera popolazione, considerata interamente colpevole della rivolta: venti milioni in settembre e un’altra contribuzione, ancora di venti milioni, a novembre. Alle famiglie dei principali esponenti delle Cinque Giornate furono imposte contribuzioni di centinaia di migliaia di lire. Si trattava di vere e proprie confische punitive che miravano a stroncare anche economicamente i protagonisti dell’opposizione all’Austria: addirittura l’ospedale dovette versare 300.000 lire per aver curato i patrioti feriti e persino Alessandro Manzoni dovette versare 20.000 lire. Seguirono, negli anni, aumenti delle imposte sui contratti, sulle eredità, sulle rendite.
Dopo la fine della Prima guerra d’indipendenza le cospirazioni patriottiche non finirono: molti patrioti cercavano un contatto con i soldati, soprattutto gli ungheresi invitandoli a disertare in nome della comune lotta contro l’Austria, dato che anche in Ungheria era attivo un movimento per l’indipendenza. La repressione non si limitava all’aspetto economico. Raccogliere e distribuire opuscoli clandestini o invitare alla diserzione i soldati imperiali poteva costare l’arresto e la bastonatura pubblica o addirittura la condanna a morte: undici patrioti (il più noto dei quali era Amatore Sciesa) furono giustiziati in quattro anni, dal 1849 al 1852.
A queste esecuzioni seguirono quelle dei cosiddetti Martiri di Belfiore dal luogo, alle porte di Mantova, in cui vennero eseguite le condanne.
Il movimento antiaustriaco si articolava in tre tendenze:

  • i moderati monarchici filopiemontesi, appartenenti soprattutto all’aristocrazia, delusi dall’esito della guerra, ma ancora fiduciosi in un futuro impegno dei Savoia;

  • gli intellettuali e i professionisti che si riunivano nel salotto della contessa Maffei, dapprima vicini alle idee di Mazzini ma poi sempre più critici e orientati verso ipotesi più realistiche, compresa quella dell’alleanza con il Piemonte; lo strumento di diffusione delle idee e degli ideali di questo ampio schieramento divenne il Crepuscolo, la rivista fondata e diretta da Carlo Tenca a cui collaborava anche Carlo Cattaneo;

  • alcuni gruppi di mazziniani, repubblicani convinti e appartenenti soprattutto a ceti artigiani e operai.

Furono i mazziniani a organizzare i moti del 6 febbraio 1853. L’insurrezione fu fortemente voluta da Mazzini stesso nonostante l’opposizione del Comitato mazziniano genovese e di molti patrioti lombardi. Era mal preparata e i rivoltosi non disponevano di armi se non qualche decina di pugnali. In effetti la sommossa, iniziata nella mattinata del 6 febbraio 1853 alle sette di sera era già conclusa in modo fallimentare. In molti furono arrestati, in sedici furono giustiziati, mentre altre sessantaquattro condanne, di cui molte alla pena capitale, furono commutate in carcere duro.
Seguirono anni difficili, per la repressione, ma anche per la crisi economica, dilagata nell’allevamento dei bachi da seta (settore importante per l’economia lombarda) e per un’epidemia di colera nel 1855. Le difficoltà resero sempre meno incisiva la corrente dei mazziniani e favorirono i gruppi moderati filopiemontesi, sempre raccolti intorno al salotto di casa Maffei.

Per contrastare queste tendenze le autorità di Vienna ridussero la pressione poliziesca sulla città. Doveva essere l’avvio di una politica di riconciliazione. A questo scopo fu organizzata una visita dell’imperatore Francesco Giuseppe e della moglie Elisabetta (la famosa imperatrice Sissi). Non era la prima visita, ma si sperava che la presenza dell’imperatrice potesse suscitare qualche entusiasmo. La coppia imperiale raggiunse la città il 15 gennaio 1857 fra due ali di cittadini silenziosi. L’aristocrazia rifiutò qualsiasi coinvolgimento negli incontri mondani. L’imperatore prese una serie di iniziative a favore della città: la realizzazione di un monumento a Leonardo, il restauro del cenacolo delle Grazie (dove si trova l’Ultima cena dello stesso Leonardo), altri lavori di pubblica utilità e un’amnistia. Soprattutto esonerò l’odiato Radetzky dal doppio incarico di governatore del Lombardo-Veneto (sostituito dal fratello stesso dell’imperatore, giovane e conciliante) e di comandante militare (sostituito dal generale Gyulai). Ma era ormai tardi per qualunque politica di conciliazione e di riforme, troppo pesavano i dieci anni di dura repressione e il mancato riconoscimento di qualunque forma di autonomia per il Lombardo-Veneto. Il 2 marzo la coppia imperiale lasciò Milano senza aver registrato nessuna forma di riavvicinamento, né con la popolazione né con gli esponenti di borghesia e aristocrazia.

Sisi,_Franz_Joseph,_Sophie_and_Gisela.jp

L’imperatore Francesco Giuseppe con la moglie Elisabetta (l’imperatrice Sissi) e le due figlie Gisela e Sophie in una litografia di Josef Kriehuber (1855)

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