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L’impianto manualistico serve poco
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Bersaglieri e corazzieri
Fare l'Italia, fare gli italiani
Il processo di unificazione nazionale
Sei in: Fare l'Italia, fare gli italiani - Un decennio di preparazione e di guerre (1850-1859) - 2 SPAZI, TEMPI, EVENTI - 2.1 Il Lombardo-Veneto - I Martiri di Belfiore
I Martiri di Belfiore
Edoardo Matania, I Martiri di Belfiore portati al patibolo, xilografia, 1887
Nel Lombardo-Veneto, dopo lo sfortunato esito della Prima guerra d’indipendenza con la definitiva sconfitta di Novara (23 marzo 1849), si formarono comitati clandestini rivoluzionari in contatto con Mazzini, il quale tentava di raccogliere fondi con un prestito pubblico per finanziare azioni insurrezionali. Da parte austriaca la repressione fu durissima: il feldmaresciallo Radetzky, plenipotenziario dell’imperatore Francesco Giuseppe, stabilì misure eccezionali contro la cospirazione: anni di carcere duro per chi fosse stato trovato in possesso di scritti rivoluzionari e pene severissime per gli iscritti alle società segrete e per i municipi che le avessero ospitate.
A Mantova, la più grande piazzaforte dell’intero territorio, si verificò l’episodio più emblematico della repressione, noto come Martiri di Belfiore, dal nome del luogo in cui vennero eseguite in più riprese, dal 1851 al 1855, quasi tutte le condanne a morte per impiccagione (in totale undici).
Nel novembre 1851 venne giustiziato don Giovanni Grioli, parroco di Cerese, un paese vicino a Mantova, perché era stato trovato in possesso di documenti di propaganda mazziniana e accusato di aver spinto a disertare due soldati ungheresi.
Poco dopo venne scoperto l’intero comitato rivoluzionario mantovano che faceva capo a un altro sacerdote, don Enrico Tazzoli. Il comitato era al centro di una rete di associazioni mazziniane che raccoglieva denaro, tramite la vendita di cartelle di prestito, per finanziare azioni rivoluzionarie contro il governo austriaco. I documenti sequestrati a don Tazzoli, durante il suo arresto, portarono all’identificazione dei cospiratori: l’inquisitore infatti riuscì a individuare la chiave segreta con cui il sacerdote – che, pur torturato, non parlò – registrava i nomi di chi sottoscriveva il prestito. Furono rinviati a processo 110 indiziati. Nel novembre vennero pronunciate ma non rese pubbliche dieci condanne a morte. Il vescovo di Mantova, monsignor Corti, provò a intercedere per don Tazzoli, che nel frattempo per ordine papale era stato privato del sacerdozio, ma solo alcuni condannati videro commutata la loro pena in anni di carcere duro.
Così il 7 dicembre 1852 nella valletta di Belfiore vennero impiccati con don Tazzoli, il medico Carlo Poma, Angelo Scarsellini, Bernardo Canal e il ritrattista Giovanni Zambelli. Altre condanne a morte, fra cui quella di Tito Speri, l’eroe delle Dieci Giornate di Brescia, e di don Bartolomeo Grazioli, seguirono nel marzo 1853. Infine nel luglio 1855 venne giustiziato Pier Fortunato Calvi.
La presenza di ben tre sacerdoti fra gli undici giustiziati è un indice di quanto fosse diffusa la propaganda mazziniana tra il clero popolare e, al contempo, spiega quanto il governo austriaco fosse seriamente preoccupato della partecipazione dei preti al movimento di liberazione nazionale.
Si disse che quelle condanne fortemente volute dal feldmaresciallo Radetzky nocquero all’Austria ben più di una guerra persa: da allora ogni riappacificazione fu impossibile.
Don Enrico Tazzoli