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Garibaldi, un mito unificante o pericoloso?

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Il monumento dedicato a Garibaldi a Livorno

Molto amato e molto odiato e temuto, Garibaldi fu sicuramente la figura più conosciuta del Risorgimento italiano e il suo contributo all’unificazione dell’Italia fu immenso.
Fin dall’inizio la sua figura e le sue gesta furono circondate da una leggenda che lo accompagnò durante la vita e che è rimasta viva anche negli anni successivi.
Quando morì nel 1882, i suoi funerali furono un’altra occasione di scontro tra la destra e la sinistra.
Garibaldi, che era massone e anticlericale, voleva essere sepolto a Caprera senza preti e senza le autorità.
Ma la famiglia dovette accettare che al funerale sull’isola oltre ai garibaldini partecipassero principi, ministri e generali e che successivamente si tenesse a Roma un’imponente cerimonia.
Ormai Garibaldi sarebbe diventato uno dei padri della Patria, un simbolo intorno a cui riunire gli italiani nei difficili anni del dopo unità. 

 

Le mille immagini di Garibaldi


Se i racconti più o meno romanzati della vita di Garibaldi andavano a ruba, anche la sua immagine fu riprodotta in mille copie e possederne una era un modo per dichiarare il proprio patriottismo o la propria tendenza per il partito dei democratici.
L’immagine di Garibaldi diventò un’icona che apparve sugli oggetti più diversi, anticipando l’invenzione moderna dei gadget: orologi, tabacchiere, spille e ciondoli in oro smaltati, vasi e tazze di porcellana, foulard e tele decorate riportarono l’eroe in varie pose, a mezzo busto, a cavallo, in piedi. Dipinti, fotografie, sculture lo raffigurano in diversi momenti della sua vita. Vignette satiriche lo utilizzano nelle battaglie politiche del tempo.

Diversi pittori lo raffigurarono in grandi quadri.

All’inizio furono i cosiddetti pittori-soldato, come Gerolamo e Domenico Induno o Eleuterio Pagliano, che parteciparono con lui a tutte le battaglie dalla difesa di Roma all’Aspromonte; poi anche altri autori della corrente realista.

Dopo la sua morte Garibaldi, insieme a Vittorio Emanuele, Cavour e Mazzini, venne dichiarato padre della Patria dalla propaganda che cercava di unificare nello spirito gli abitanti di un’Italia appena unificata.

In ogni città d’Italia venne eretto un monumento in suo onore, il più importante dei quali sorse sul Gianicolo, il colle di Roma, dove più forte era stata la resistenza nel 1849.

I musei del Risorgimento, che sorsero per coltivare il ricordo dell’unificazione appena conclusa, raccolsero tutti gli oggetti che lo riguardavano (lettere, dispacci, medaglie celebrative, le camicie rosse, la sua spada, il suo poncho, lo stivale portato all’Aspromonte) e in ogni paese dove l’eroe aveva combattuto o anche solo sostato furono affisse lapidi per ricordare l’evento. 
 

Il mito continua


Anche dopo la sua morte i garibaldini mantennero vivi i suoi ideali.

In varie occasioni volontari con la camicia rossa si riunirono per difendere in suo nome la causa della giustizia.

Per esempio nel 1914 all’inizio della Prima guerra mondiale due suoi nipoti, Bruno e Costante, morirono in Francia dove erano accorsi con altri volontari a difendere quel paese invaso dai tedeschi.

Nei primi anni del Novecento Garibaldi continuò a essere l’eroe più amato e ricordato non solo nei nomi delle vie e delle piazze, ma anche nei calendari, album di figurine, cartoline, opuscoli.

Nel 1932, cinquantenario della sua morte, il regime fascista indisse molte manifestazioni in suo onore, cercando di avvicinare la sua figura a quella di Mussolini.

Ma Garibaldi rimase comunque un eroe della sinistra democratica: i gruppi di volontari italiani che nel 1936 partirono per la Spagna a difendere il governo repubblicano si chiamarono brigate Garibaldi e durante la Resistenza dal 1943 al 1945 lo stesso nome venne adottato dai partigiani comunisti.

E ancora nelle drammatiche elezioni italiane del 1948 la sinistra utilizzò Garibaldi come proprio simbolo.

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