top of page

Sei in: Fare l'Italia, fare gli italiani - Il completamento dell’unità e la costruzione dello Stato - 2 SPAZI, TEMPI, EVENTI - 2.4 La Terza guerra d'indipendenza - Bezzecca: duello alla baionetta

Bezzecca: duello alla baionetta

Riportiamo qui sotto un brano tratto dalle memorie di un volontario garibaldino (Eugenio Checchi) che fu ferito a Bezzecca.

moschetto.jpg

Un fucile con baionetta modello Brown Bess.
La baionetta era una lama lunga da 40 a 90 cm, creata nella città francese di Bayonne, montata sulla punta del fucile, non allineata, in modo da non ostacolare il tiro. Ci furono baionette di molti tipi, con diversi sistemi di innesto al fucile.Quelle più lunghe servivano a tenere a distanza la cavalleria; quelle più corte, dopo aver scaricato i colpi del fucile, servivano a ingaggiare il corpo a corpo ravvicinato. Furono usate fino alla Prima guerra mondiale

Eugenio Checchi (1838-1932)

 

Livornese, combatté come volontario garibaldino a Bezzecca nel 1866. L’episodio che racconta nel brano è riferito proprio a ciò che vide mentre si riparava, ferito a una gamba, dietro una siepe. Dopo la guerra divenne insegnante, giornalista e critico teatrale. Pubblicò le sue memorie garibaldine dapprima a puntate sulla «Gazzetta del Popolo» e poi le raccolse in un volume che ebbe almeno quattro edizioni.
 

 

 

Dietro la siepe
 

Vidi dunque, standomene sdraiato e mezzo nascosto dietro la siepe, vidi che più qua e più là, fra garibaldini e tirolesi sbandati s’era impegnata una lotta corpo a corpo. A venti o trenta passi da me, nel bel mezzo della strada, sbirciai un garibaldino, che dopo avere scaricato il fucile senza colpire nessuno, correva a baionetta spiegata contro un tirolese. Questi era intento a cavare dalla giberna il fulminante […], ma l’altro non gli lasciò il tempo, e giuntogli addosso gli vibrò un colpo di baionetta che lo avrebbe passato da parte a parte se quello con un rapido movimento a sinistra non schivava il colpo micidiale. Mi rizzai sul gomito per assistere a quel singolare duello.

Il garibaldino era un pezzo di giovanotto tanto fatto, in sui trent’anni, senza berretto in capo, e la camicia rossa lacerata in più punti. Il tirolese pure era grosso e nerboruto, con una faccia turchesca e un paio di baffi […]. Però, dovendo anche lui incrociare la baionetta, mi accorsi che la sapeva maneggiare a dovere, e otteneva sull’avversario la superiorità d’un sangue freddo ammirabile. Non c’era verso: uno dei due bisognava che rimanesse sul terreno, sicché i movimenti dell’arme erano diretti piuttosto a ferire e uccidere che a difendersi, tanto più che il fucile non è mai maneggevole come una sciabola da schermitori. Durava da qualche minuto la lotta, senza che una parola si mescesse al rumore secco delle baionette, quando a un tratto il tirolese, misurata una finta dell’avversario, abbassò velocemente l’arme e poi la ritrasse insanguinata: aveva ferito il garibaldino in una coscia. Questi allora, reso cieco dal dolore, fece un gran passo in avanti appuntando la baionetta al petto del feritore, ma il feritore scostandosela violentemente con una mano poté coll’altra spingere la carabina nel braccio sinistro del più debole avversario, e passarglielo da parte a parte […]. Rinculò il misero giovane verso di me, e io gridai: – Coraggio! – mentre mi sforzavo, sdraiato com’ero, di caricare il fucile e con un bel colpo venire in aiuto al compagno.

Questi alla mia parola si fece animo, e benché tutto grondante di sangue e urlando per il dolore, si disponeva a sostenere l’urto del tirolese, che ridendo con una sua certa maniera curiosa gli veniva incontro per finirlo. Avevo già raccapezzata una cartuccia, già l’abboccavo sulla canna, quando vidi carpone un altro garibaldino che si avanzava dietro al tirolese. Questi poteva essere a cinque passi dalla vittima predestinata, ma l’altro garibaldino rizzandosi con tutta la persona e gridando: – A me! A me! –, con un ultimo slancio fu addosso al nemico e gl’infilò la baionetta nella schiena. Non ebbe tempo di voltarsi, e con un sordo gemito stramazzò giù per morto. Il garibaldino ferito, visto cessare il pericolo imminente, caricò in fretta il fucile, ma non poté più reggere in piedi e cadde ginocchioni. – Su su! – badava a dirgli il compagno – questa non è più aria per noi: c’è là in distanza una quantità di tedeschi: bisogna andar via subito. – E con la mano aiutava il ferito a rialzarsi. Ma che è che non è, quel maledetto tedesco, pallido come la morte e tutto intriso di sangue, si alza su un ginocchio, mette il fulminante sul cane, piglia la mira e la palla viene a colpir nella nuca l’infelice garibaldino poc’anzi sopravvenuto. Il tirolese strascinandosi per terra come una lucertola badava ad allontanarsi; allora anch’io piglio la mira, il primo ferito fa lo stesso e partono insieme due colpi. Questa volta io o lui tirammo giusto, perché l’ostinato tedesco cadde giù per davvero con la testa letteralmente fracassata. 

 


Da Checchi E., Memorie di un garibaldino, XXXI, Milano 1888, in: Trombatore G. (a cura di), Scrittori garibaldini, Riccardo Ricciardi editore, Napoli-Milano 1953, tomo secondo; Giulio Einaudi editore, Torino 1979.   

 

Guida alla Lettura

1) Individua nel racconto le modalità di uso della baionetta, in confronto alla sciabola e al fucile.

2) Secondo l’autore la baionetta era di uso facile o difficile? Ricorda che Garibaldi considerò la baionetta un’arma risolutiva in molti combattimenti e per lui il fucile era «il manico della baionetta».

bottom of page