Guida alla Lettura
Sei in: Fare l'Italia, fare gli italiani - L’impresa dei Mille - 4 INTERPRETAZIONI E PISTE DI LAVORO - 4.3 Le fonti - Fonti consultate
Sei in: Fare l'Italia, fare gli italiani - L’impresa dei Mille - 4 INTERPRETAZIONI E PISTE DI LAVORO - 4.3 Le fonti - Fonti consultate
Sei in: Fare l'Italia, fare gli italiani - L’impresa dei Mille - 4 INTERPRETAZIONI E PISTE DI LAVORO - 4.3 Le fonti - Referenze delle immagini utilizzate nel modulo
Sei in: Fare l'Italia, fare gli italiani - L’impresa dei Mille - 4 INTERPRETAZIONI E PISTE DI LAVORO - 4.3 Le fonti - Referenze delle immagini utilizzate nel modulo
Sei in: Fare l'Italia, fare gli italiani - L’impresa dei Mille - 4 INTERPRETAZIONI E PISTE DI LAVORO - 4.3 Le fonti - Referenze delle immagini utilizzate nel modulo
Fonti consultate
L’impianto manualistico serve poco
L’impianto manualistico serve poco
Sei in: Fare l'Italia, fare gli italiani - La guerra nell’Ottocento: le battaglie e i modi di combattere nel Risorgimento - 3. Le forze armate - Bersaglieri e corazzieri
Referenze delle immagini utilizzate nel modulo
Bersaglieri e corazzieri
Fare l'Italia, fare gli italiani
Il processo di unificazione nazionale
Sei in: Fare l'Italia, fare gli italiani - Il biennio 1848-1849 - 3 SOGGETTI E PROTAGONISTI - I contadini nelle rivoluzioni di Milano e Venezia
I contadini nelle rivoluzioni di Milano e Venezia
Le condizioni dei contadini del Lombardo-Veneto
Alla vigilia dello scoppio rivoluzionario del 1848, gran parte degli abitanti della Lombardia e del Veneto era dedita alla coltivazione dei campi, mentre le attività industriali erano di modeste dimensioni.
Una buona parte della proprietà della terra era in mano alle grandi famiglie aristocratiche, che non seguivano direttamente la produzione, ma affidavano il terreno a un affittuario che si occupava di tutto, utilizzando contadini salariati (alcuni fissi, altri a giornata) a cui davano una scarsissima paga.
A partire dal periodo napoleonico, però, migliaia di ettari di terreno fertile erano stati acquistati dai borghesi della città. Questi introdussero metodi di coltivazione moderni, che però per i contadini volevano dire un lavoro maggiore e più controllato. Inoltre in Lombardia una legge del 1839 aveva privatizzato gran parte dei territori comunali, su cui prima la collettività aveva libero accesso per il pascolo e la raccolta di legna.
Le condizioni dei contadini quindi erano di grande miseria: costretti a sopravvivere con poco, erano preda di malattie come la pellagra, dovuta all’alimentazione troppo povera di vitamine e proteine, o la malaria, specie se lavoravano tra le zanzare delle risaie di pianura. Dovevano poi pagare un gran numero di tasse, quelle dirette sulla persona e quelle indirette per esempio sul sale o sui tabacchi. Inoltre il governo austriaco aveva imposto la leva militare obbligatoria, che allontanava dai campi i giovani per ben otto anni e li portava lontano. Infatti per controllare un impero vasto e composto da diverse nazionalità (austriaci, boemi, italiani, serbi, croati, ungheresi ecc.), i soldati di una zona venivano mandati a tenere l’ordine in un’altra, in modo che non potessero fraternizzare con la gente del posto, anche perché non ne conoscevano la lingua.
Nelle campagne quindi i contadini avevano molte ragioni di scontento che aumentarono nel biennio 1845-1846 quando anche in Nord Italia, come nel resto di Europa, si ebbero cattivi raccolti a causa del maltempo e di una malattia delle patate. I tumulti provocati dal successivo rincaro dei prezzi avevano sconvolto le campagne del Lombardo-Veneto, dove i contadini cominciavano a prendere coscienza delle proprie condizioni e cercavano di migliorarle chiedendo aumenti di salari e diminuzione delle tasse.
Antonio Fontanesi, Ritorno dal pascolo, olio su tela
La partecipazione dei contadini alle rivoluzioni del 1848
Questo malcontento fece schierare anche il mondo agricolo con le rivoluzioni del 1848 a Milano e a Venezia. Infatti nel marzo arrivarono a Milano migliaia di contadini che venivano non solo dalle campagne intorno alla città, ma anche dalle zone montuose dove avevano sbaragliato i presidi austriaci.
Ma la borghesia liberale, non solo quella conservatrice ma anche quella democratica, diffidava dei ceti contadini, temeva che sfuggissero al loro controllo e potessero fare richieste di proprietà della terra. Per questo sia a Milano che a Venezia i governi rivoluzionari esclusero dalla Guardia Civica le classi più povere, nel timore di armare persone che poi avrebbero potuto dirigere quelle stesse armi contro chi gliele aveva fornite.
Braccianti e coloni divennero di giorno in giorno più irrequieti perché capivano che la rivoluzione non stava dando i risultati sperati né a chi vendeva a giornata le proprie braccia (bracciante) né a chi aveva in affitto un piccolo campo (colono). In aprile e maggio, molte zone agricole furono attraversate da malumori e scoppi di violenza, durante le quali i contadini cercarono di riprendere i beni comunali e di non pagare le imposte.
I governi provvisori fecero qualche passo per venire incontro alle loro pretese: ribassarono il prezzo del sale, condonarono le multe e annullarono i processi pendenti per crimini politici. Ma la leva obbligatoria decretata nel giugno fece traboccare il vaso. I contadini avevano ormai compreso che la tanto sospirata rivoluzione non era altro che una faccenda fra “signori”, e che loro erano solamente una piccola pedina che stava diventando ingombrante. Fu solo allora che molti di loro iniziarono a schierarsi apertamente contro i loro “signori” e accolsero gli austriaci vincitori a Milano al grido «Viva Radetzky!». Ma questo era più un segno di protesta verso i liberali che una vera nostalgia della monarchia austriaca; infatti se nobili e signori erano loro nemici, non per questo necessariamente i tedeschi erano degli amici! Molti di loro infatti erano accorsi ad arruolarsi nella Prima guerra d’indipendenza, ma anche in questo caso i grandi proprietari terrieri avevano cercato di impedirlo, perché avevano troppa paura che contadini armati potessero poi aggirarsi per le campagne.
Teofilo Patini, Interno con culla, 1880, olio su tela,65x50 cm, Banca Popolare dell’Adriatico, Pesaro
Non fu solo un fallimento
Sicuramente il fallimento delle rivoluzioni di Venezia e Milano del 1848 è da imputare a molte cause tra cui l’indecisione di Carlo Alberto, l’impreparazione dell’esercito piemontese e, invece, l’efficienza dell’esercito austriaco. Ma la diffidenza della borghesia nei confronti dei ceti subalterni e di conseguenza lo scollamento fra classi popolari e democratici fu alla base di questo fallimento, come poi di tutto il Risorgimento italiano.
Eppure qualcosa si era messo in moto e la presa di conoscenza dei coloni riguardo alla propria condizione e al proprio ruolo non sarà scordata. Con il passare del tempo costituirà la base per la nascita, nella seconda metà dell’Ottocento, del movimento operaio e contadino.
Jean-François Millet, L’angelus, 1858-59, olio su tela, 55,5x66 cm, Museo d’Orsay, Parigi
Jean-François Millet, Le spigolatrici, 1857, olio su tela, 84x111 cm, Museo del Louvre, Parigi
Guida alla Lettura
1) Perché le condizioni dei contadini del Lombardo-Veneto erano peggiorate nella prima metà dell’Ottocento?
2) Perché molti di loro parteciparono alle rivolte di Milano e Venezia? Che cosa speravano di ottenere?
3) Sei un membro del governo provvisorio di Milano nel giugno 1848. Che cosa pensi dei contadini che finora hanno partecipato alla rivolta?
4) Sei un contadino che ha partecipato alla lotta di Milano. Che cosa pensi del governo provvisorio?
5) Quali tesi sono presenti in questo testo sulla partecipazione dei contadini alle battaglie del Risorgimento?
6) Nelle immagini che vedi è descritto un mondo contadino del periodo successivo al 1850, quando i pittori cominciarono a interessarsi alle classi popolari. Indica da quali elementi di questi quadri puoi capire la povertà di queste persone.