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Sei in: Fare l'Italia, fare gli italiani - Il biennio 1848-1849 - 3 SOGGETTI E PROTAGONISTI - Cristina Trivulzio di Belgioioso, la prima donna d’Italia

Cristina Trivulzio di Belgioioso, la prima donna d’Italia

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Francesco Hayez, Ritratto di Cristina di Belgioioso,1832, olio su tela, 136x101 cm, collezione privata, Firenze

Cristina Trivulzio Barbiano di Belgioioso nasce il 28 giugno 1808 da Girolamo Trivulzio, discendente di una delle più antiche e aristocratiche famiglie lombarde, e da Vittoria Gherardini. Rimasta orfana di padre a soli 4 anni, riceve un’educazione vasta e completa per volontà del patrigno Alessandro Visconti d’Aragona che, apprezzandone l’acuta intelligenza, le affianca i migliori insegnanti dell’epoca. Tra questi, c’è la pittrice Ernesta Bisi, sua maestra di disegno, che sarà fondamentale per la sua formazione politica, perché la introdurrà nel mondo della cospirazione carbonara.
Nel 1824, appena sedicenne, sposa il principe Emilio Barbiano di Belgioioso, di idee liberali, da cui si separa pochi anni dopo pur mantenendo con lui rapporti amichevoli. Cristina comincia allora a viaggiare, attività che sarà una costante della sua vita, ed entra in contatto con i principali gruppi patriottici, attirando per questo motivo l’attenzione della polizia austriaca, che nel 1830 emette un ordine di cattura nei suoi confronti. Riesce a fuggire a Parigi, dove completa la sua formazione culturale, grazie all’amicizia con importanti intellettuali e artisti, quali gli storici Augustin Thierry e François Mignet, i musicisti Franz Liszt e Gioacchino Rossini, gli scrittori Victor Hugo e Alexandre Dumas, il poeta Heinrich Heine. Il suo salotto parigino è frequentato anche da esuli italiani, cui offre il suo aiuto economico.
Nel 1840, migliorati i rapporti con le autorità austriache, torna in Italia e, insieme alla figlia Maria nata due anni prima, si stabilisce nel castello di famiglia di Locate, dove si prodiga per alleviare la drammatica situazione dei contadini e dei loro bambini. Nell’arco di sette anni fonda un asilo infantile, scuole per entrambi i sessi, laboratori artigianali; in una sala del castello allestisce uno “scaldatoio” capace di ospitare fino a 300 persone, e fornisce di dote le ragazze più povere perché possano sposarsi. Continua anche l’attività intellettuale finanziando e collaborando alla rivista francese «Revue des Deux Mondes» e dirigendo giornali come la «Gazzetta italiana» e l’«Ausonio», che si occupavano di letteratura, arte e storia.
Nel 1848, mentre si trova a Napoli, viene raggiunta dalla notizia dell’insurrezione milanese, e precipitosamente organizza 200 volontari con cui raggiunge il capoluogo lombardo, dove viene accolta trionfalmente dagli insorti. Per quattro mesi (aprile-luglio 1848) dirige il «Crociato», un giornale politico il cui motto era «Italia Una!», scritto in gran parte da lei stessa. Costretta all’esilio dal ritorno degli austriaci, si rifugia a Parigi, ma dopo alcuni mesi è di nuovo in Italia, richiamata da Giuseppe Mazzini, che nel febbraio 1849 aveva proclamato la Repubblica Romana. A Roma Cristina si ritrova in prima linea nella difesa del nuovo governo, perché le viene affidata l’organizzazione degli ospedali della città, compito che assolve con grande impegno e competenza. All’entrata dei francesi in Roma, è di nuovo costretta a fuggire, ma questa volta a Parigi preferisce l’Oriente, e a Civitavecchia salpa su una nave diretta a Malta. Raggiunge in seguito la Grecia e da qui si trasferisce in una sperduta valle dell’Asia Minore, dove con pochi altri esuli italiani impianta un’azienda agricola. Continua a scrivere articoli e racconti che invia in Europa, dove rientra nel 1855. Un anno dopo, grazie a un’amnistia, può far definitivamente ritorno a Locate. Impegna gli ultimi anni della sua vita collaborando a riviste e pubblicando una storia di casa Savoia e alcuni saggi, tra cui uno dedicato alla condizione delle donne. Muore il 5 luglio 1871.

 

Fonte: Fugazza M., Rörig K., “La prima donna d’Italia”. Cristina Trivulzio di Belgiojoso tra politica e giornalismo, Franco Angeli, Milano 2010.

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