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L’impianto manualistico serve poco
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Bersaglieri e corazzieri
Fare l'Italia, fare gli italiani
Il processo di unificazione nazionale
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Nobildonne, artisti e salotti
Il salotto di Clara Maffei in via Bigli
Come si diffondevano tra i giovani della prima metà dell’Ottocento le aspirazioni all’unità e all’indipendenza dell’Italia? È stato giustamente sottolineato il ruolo del Romanticismo nell’orientare gli ideali e gli slanci dei giovani, soprattutto intellettuali e aristocratici nelle diverse città italiane. E questo ci porta ad analizzare, seppur brevemente, una particolare realtà culturale e politica: i salotti.
In moltissime città della penisola i salotti erano luogo di incontro per esponenti dell’aristocrazia, giornalisti, artisti, letterati, musicisti. Un salotto nasceva e viveva per iniziativa di una dama della buona società, una nobildonna che apriva la propria casa, il salotto appunto, per ricevere, alcuni giorni della settimana, nelle ore pomeridiane o serali degli ospiti selezionati.
La padrona di casa offriva dolci e rinfreschi e gli ospiti, tra un bicchierino di rosolio e un buon sigaro, contribuivano alla conversazione: se erano presenti giornalisti, romanzieri, poeti si poteva parlare di ciò che stavano scrivendo o si poteva leggere qualche stralcio dell’ultimo testo che avevano dato alle stampe. In tutta la penisola fu spesso ospite dei salotti la poetessa Giannina Milli, che improvvisava nei salotti e nei teatri componimenti patriottici. Se c’era tra gli ospiti un cantante lirico o un musicista si poteva chiedergli di eseguire brani delle sue composizioni o di cantare una romanza: nei salotti non mancava, in genere, un piano o una spinetta, dato che, oltre alle lingue, soprattutto il francese, anche la musica faceva parte dell’educazione delle giovani aristocratiche e borghesi dell’Ottocento. Quando passava in città un diplomatico o un importante intellettuale straniero, veniva invitato nei più noti salotti cittadini: così fu per Balzac e Liszt, che a Milano furono ospiti della contessa Maffei.
Anche gli uomini politici frequentavano i salotti: Camillo Cavour frequentò assiduamente i salotti genovesi durante gli anni giovanili e la prima maturità. Mazzini frequentava il salotto londinese di Sara Nathan Levi.
Ma nei salotti non si tenevano solo conversazioni artistiche e culturali. La letteratura si intrecciava spesso con la politica. Le idee di Giovanni Berchet, Giuseppe Mazzini, Vincenzo Gioberti, Carlo Cattaneo, Cesare Balbo, Massimo D’Azeglio venivano dibattute così come i fatti politici e culturali più rilevanti: l’uscita dell’ultimo numero di una rivista o di un giornale, la rappresentazione di un’opera lirica, ma anche le notizie di una sommossa, l’arresto di qualche patriota o l’elezione di Pio IX.
I salotti diventavano così un luogo di elaborazione politica (più protetti dei caffè, dove era concreto il rischio della presenza di spie della polizia), un luogo di formazione per i giovani figli dell’aristocrazia e della borghesia più ricca e anche luoghi di cospirazione vera e propria: si raccoglievano fondi per sostenere la clandestinità e la fuga dei patrioti ricercati, per stampare volantini e pubblicazioni proibite, per finanziare imprese patriottiche come fu per l’impresa dei Mille.
Dopo l’unità i salotti cambiarono il loro ruolo e i temi delle conversazioni: le condizioni della penisola, le ipotesi politiche su cui si costruiva il nuovo Stato, la miseria di molti territori e di larghi strati della popolazione diventavano oggetto di dibattito e riflessione. Cambiava intanto anche il ruolo delle salonnière: le donne furono infatti escluse dalla vita politica vera e propria, non avevano diritto di voto né attivo, come elettrici, né passivo, come candidate. Molte di loro, anche quelle che erano state attivissime durante i moti rivoluzionari e le guerre del Risorgimento, come Jessie White e Cristina Belgioioso, divennero allora giornaliste e, quelle che disponevano di un patrimonio personale, filantrope. I temi di cui scrivevano e di cui si discuteva perciò nei salotti erano quelli della condizione femminile, dell’istruzione dei bambini e delle giovani donne, della salute, del recupero delle prostitute, dell’assistenza ai poveri.
Odoardo Borrani, Le cucitrici di camicie rosse, 1863, olio su tela
Nelle case della piccola e media borghesia non c’erano certamente le risorse e neppure la cultura per dar vita a dei salotti come quelli delle case dell’aristocrazia, ma certo non mancava il desiderio di contribuire ai mutamenti politici in corso. Nel quadro di Borrani qui riportato si può vedere il salotto di una casa della media borghesia in cui un gruppo di donne è riunito per cucire camicie rosse per i volontari di Garibaldi. Queste semplici attività e la lettura delle lettere inviate da mariti, fratelli e figli lontani a combattere erano le principali attività delle donne di questa fascia sociale, anche se a volte le circostanze le portavano a impegnarsi in prima persona sulle barricate o nell’assistenza ai feriti.