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Sei in: Fare l'Italia, fare gli italiani - Il completamento dell’unità e la costruzione dello Stato - 2 SPAZI, TEMPI,  EVENTI - 2.2 Il Sud: brigantaggio, rivolte, nuovi poteri/padroni - Un ragazzo "piemontese" nella rivolta di Palermo

Un ragazzo “piemontese” nella rivolta di Palermo

Primo Stevani era un ragazzo di 16 anni di Nibbiano (Piacenza), figlio di una famiglia di patrioti amici di Nino Bixio. Su
suo consiglio fu ammesso all’Istituto militare di Palermo che preparava ufficiali per l’Italia unitaria. Lì lo colse la rivolta
delle “sette giornate e mezzo”.
Il brano è tratto dalle sue memorie, inedite. Il testo non è stato rivisto per una pubblicazione e quindi contiene errori di
punteggiatura e di forma.

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Il Palazzo dei Normanni a Palermo

Il 15 Settembre del 1866 era domenica eravamo ai bagni, quando improvvisamente suona la riunione. Ci riunimmo in
cortile e divisi per compagnia fummo armati. La prima e seconda compagnia restò in cortile la 3a e 4a distribuite per le
finestre pronte a far fuoco. Era scoppiata in Palermo la rivoluzione. Noi che eravamo istruiti e allenati per la guerra si
aspettava con ansia di partire da Palermo per liberare il Veneto; ci siamo invece trovati travolti dalla Rivoluzione. Il
sabato notte sono entrati in Palermo circa un 900 armati senza incontrare seria resistenza chi diceva fossero briganti chi
diceva rivoluzionari i quali disarmarono la Guardia Nazionale e attaccarono le caserme.
Non c’erano in Palermo che 4000 circa uomini di truppa quasi tutti coscritti della classe 1845 che si istruivano per
mandarli in guerra. La mattina di domenica si sentirono tutte le campane suonare a stormo e una quantità di fucilate. I
rivoluzionari tentarono di impadronirsi di Castellamare delle carceri e della Banca d’Italia non vi riuscirono ma la truppa uscita per difendere le suddette località lasciarono le caserme con la semplice guardia in tal modo fu facile ai
rivoluzionari a impossessarsi delle Caserme e spogliarle di effetti d’armi e di tutto il trasportabile così i poveri soldati
rimasero senza quartiere e spogliati di tutto, vaganti per la città o prigionieri. I combattimenti continuarono dalla mattina
di Domenica 15 come è detto sopra fino al Sabbato alle 10 circa cioè una settimana.
Non starò a raccontare i diversi massacri, ladroneggi, infamia d’ogni genere che disonorano l’umanità. Racconterò solo
quelle che vidi e soffersi.
La Domenica stemmo attendendo eventi e ordini; abbiamo mangiato le provvigioni fatte il sabato. Dalle finestre si
vedeva un accorrere e fuggire, ragazzi, donne, seguite da uomini armati. Si udivano urli fucilate e il continuo suono delle
campane.
Il lunedì avanti al nostro quartiere vi fu un combattimento accanito tra rivoluzionari e le truppe regolari. I rivoltosi
avevano innalzato una barricata, inalberandoci una bandiera rossa. La barricata chiudeva il passaggio tra la Piazzetta
Mivuzzo e la Piazza San Francesco. Il convento unito alla chiesa era occupato dai rivoltosi e così l’orto giardino che
confinava col quartiere dei Bersaglieri. Dalle finestre del convento dalla torre della chiesa, dalla cinta dell’orto e dalla
barricata si faceva fuoco sulla truppa che era si può dire circondata e decimata. Noi dalle finestre restavamo spettatori
armati di questo macello senza poter prendere parte perché aspettavamo ordini e munizioni. Il terreno era seminato di
morti, carabinieri, soldati e rivoltosi che venivano spogliati immediatamente così che non si poteva conoscere se fossero
soldati o rivoltosi. I poveri soldati e carabinieri combattenti non potevano più reggere il combattimento ininterrotto da
tutte le parti e chiesero il nostro intervento. Un Capitano dei Granatieri entrò nel nostro quartiere chiedendo al Maggiore
di farci uscire in loro aiuto per proteggere la loro ritirata, ma il Maggiore non volle o non poté dar ordini perché noi non
avevamo ancora prestato giuramento non avendo ancora compiuti i 17 anni prescritti per l’arruolamento volontario. Il
Capitano sentito che il Maggiore non poteva esporci si rivolse direttamente a noi invitandoci a seguirlo volontariamente
per salvare la ritirata delle truppe. La prima e seconda compagnia che si trovava in cortile seguì il Capitano e protesse la
ritirata delle truppe.
[...]
Visto che ogni resistenza era inutile, venne ordinato di riunirsi tutti in cortile e di aprire la porta. Noi del continente che
eravamo circa una diecina che ci chiamavano i Piemontesi fummo circondati dai nostri compagni siciliani a salvaguardia
della nostra vita, perché era corsa la voce che si volevano rinnovare i Vespri Siciliani. Infatti i soldati ammalati
all’ospedale che non erano siciliani pare siano stati tutti uccisi, come furono uccisi quelli che potevano avere nelle mani
come i Carabinieri pei quali si diceva che, uccisi denudati, venivano attaccati all’uncinaio dei macellai con il cappello in
testa. A tanto la belva umana arriva ubriacata dalla rivoluzione.
Entrati in quartiere i rivoltosi si affollarono nei magazzeni nei dormitori nelle stanze devastando e rubando più che
potevano i fucili furono l’ultima loro preda. Quando il quartiere fu completamente spogliato, ci accompagnarono
prigionieri coi soli abiti che avevamo indosso, al Convento della Gangia ove era il quartiere generale dei rivoluzionari. Là
il capo del comitato si rivolse ai nostri colleghi sicialiani dicendo i siciliani escano dai ranghi e vadano alle loro case sono
sciolti da ogni giuramento militare, per i Piemontesi penseremo a farli rimpatriare quando ci saremo impossessati delle
navi.
I nostri compagni dichiararono che non volevano abbandonarci e che era meglio che ci avessero dato da mangiare
giacché era notte ed eravamo digiuni dalla sera avanti. Infatti fu distribuita mezza pagnotta a testa. Affamati e stanchi ci
siamo sdraiati nel cortile a sbocconcellare il pane.
Verso l’una di notte silenziosamente ci hanno fatto passare in un sotterraneo che dal convento della Gangia metteva in
un monastero ove era un asilo infantile e un piccolo cortile. Là un frate Piemontese ci consegnò tre sacchi di patate un
sacco di zucchero e caffè utensili di cucina legna e ci indicò dove potevamo prendere l’acqua, dicendoci di stare zitti e
che i nostri compagni ci avrebbero aiutati stando nelle vicinanze. Siamo stati dalla notte del martedì fino alle 10 del
mattino del Sabato nel refettorio dell’asilo nutrendoci di patate e caffè ed ogni tanto un poco di pane e pasta che i nostri
compagni siciliani potevano farci avere dal di fuori a mezzo del frate.
Il Giovedì incominciò il bombardamento della città, dalle fregate giunte in porto, e sopra le nostre teste era una ridda di
palle di cannone, urli pianti scoppi di bombe fucilate, un inferno tale e sempre crescente. Insomma un’agonia che durò
da Giovedì mattina fin al Sabato alle ore undici.
Alle 10 del Sabato il frate ci fece uscire dal sotterraneo e ci condusse sulle scale del Convento fino al solaio dove
c’erano diversi oggetti di scarto e della stoppa e disse nascondetevi lì perché le truppe si avanzano e ribelli fuggono
qualcheduno potrebbe conoscere il sotterraneo e vendicarsi della sconfitta sopra di voi qui siete meno in pericolo.

Sotto di noi vi fu un forte combattimento e disperate grida dopo una mezz’ora sentimmo salire le scale
precipitosamente, ansiosi perplessi della nostra sorte, si aprì la porta e si affacciò prudentemente un capitano dei
Granatieri. Fu accolto con un urlo di gioia, Viva l’Italia.
Seguimmo il capitano in combattimento fino a Palazzo Reale. Siamo stati ricevuti dal Generale Calderino e ci siamo
rifocillati alla mensa degli Ufficiali.
Domata la rivoluzione e ritornata la calma abbiamo servito da guida ai piccoli gruppi di soldati per il recupero degli
oggetti e mobili rubati dai rivoltosi che per ordine perentorio del Generale furono depositati in strada pena la morte a chi
fosse trovato in casa oggetti rapinati. Durante le perlustrazioni nei giardini nei pozzi trovavamo cadaveri spogliati buttati
alla rinfusa coperti di fogliame quindi una puzza tale che fu causa del colera scoppiato nel 1867.
A noi furono dati due mesi di Licenza e partimmo tutti per Genova e alle nostre case.

Guida alla Lettura


1) La mattina del 15 settembre la città era sufficientemente difesa contro una rivolta? Spiega perché si o perché no. 


2) Come riescono i rivoltosi a impossessarsi di una grande quantità di armi?


3) Perché Stevani e i suoi compagni non partecipano ai combattimenti?


4) Quale pericolo corrono i ragazzi settentrionali come Stevani quando i rivoltosi occupano l’Istituto militare? Chi li salva?


5) Quanto dura il bombardamento della città? Che cosa fanno Stevani e i suoi compagni piemontesi in quel periodo?


6) Ti sembra che Stevani abbia capito le ragioni della rivolta o almeno se le sia chieste? Secondo te perché?

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