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Sei in: Fare l'Italia, fare gli italiani - Il completamento dell’unità e la costruzione dello Stato - 2 SPAZI, TEMPI, EVENTI - 2.2 Il Sud: brigantaggio, rivolte, nuovi poteri/padroni - La dura vita degli zolfatari e dei contadini in Sicilia (L. Pirandello)

La dura vita degli zolfatari e dei contadini in Sicilia (L. Pirandello)

Lo scrittore siciliano Luigi Pirandello, premio Nobel per la letteratura nel 1934, era figlio di un garibaldino che aveva partecipato a tutte le battaglie risorgimentali, ma lui, nato nel 1867, non aveva potuto che farsele raccontare. Nel 1913 pubblicò un romanzo, I vecchi e i giovani, ambientato tra Roma e la Sicilia alla fine dell’Ottocento, che è una severa critica alla nuova realtà sociale e politica emersa dal processo di unificazione. In questi due brani sono descritte le dure condizioni di lavoro degli operai e dei contadini siciliani che nulla ottennero dall’unificazione dell’Italia.

Vita da zolfataro

– Porto Empedocle...
E a tutti e tre si rappresentò l’immagine di quella borgata di mare cresciuta in poco tempo a spese della vecchia Girgenti e divenuta ora comune autonomo. Una ventina di casupole prima, là sulla spiaggia, battute dal vento tra la spuma e la rena, con un breve ponitojo da legni sottili, detto ora Molo Vecchio, e un castello a mare, quadrato e fosco dove si tenevano ai lavori forzati i galeotti, quelli che poi, cresciuto il traffico dello zolfo, avevano gettato le due ampie scogliere del nuovo porto, lasciando in mezzo quel piccolo Molo, al quale in grazia della banchina, è stato serbato l’onore di tener la sede della capitaneria del porto e la bianca torre del faro principale.
Non potendo allargarsi per l’imminenza d’un altipiano marnoso alle sue spalle, il paese s’è allungato sulla stretta spiaggia, e fino all’orlo di quell’altipiano le case si sono addossate, fitte, oppresse, quasi l’una sull’altra. I depositi di zolfo s’accatastano lungo la spiaggia; e da mane a sera è uno stridor continuo di carri che vengono carichi di zolfo dalla stazione ferroviaria o anche, direttamente, dalle zolfare vicine; e un rimescolìo senza fine d’uomini scalzi e di bestie, ciattìo di piedi nudi sul bagnato, sbaccaneggiar di liti, bestemmie e richiami, tra lo strepito e i fischi d’un treno che attraversa la spiaggia, diretto ora all’una ora all’altra delle due scogliere sempre in riparazione. Oltre il braccio di levante fanno siepe alla spiaggia le spigonare con la vela ammainata a metà su l’albero; a piè delle cataste s’impiantano le stadere su le quali lo zolfo è pesato e quindi caricato su le spalle dei facchini, detti uomini di mare, i quali, scalzi, in calzoni di tela, con un sacco su le spalle rimboccato sulla fronte e attorto dietro la nuca, immergendosi nell’acqua fino all’anca, recano il carico alle spigonare, che poi, sciolta la vela, vanno a scaricar lo zolfo nei vapori mercantili ancorati nel porto, o fuori.
– Lavoro da schiavi, – disse il Pigna, che stringe il cuore, certi giorni d’inverno.
Schiacciati sotto il carico, con l’acqua fino alle reni. Uomini? Bestie! E se dici loro che potrebbero diventar uomini, aprono la bocca a un riso scemo o t’ingiuriano. Sai perché non si costruiscono le banchine sulle scogliere del nuovo porto, da cui l’imbarco si potrebbe far più presto e comodamente coi carri o i vagoncini? Perché i pezzi grossi del paese sono i proprietarii delle spigonare! E intanto, con tutti i tesori che si ricavano da quel commercio, le fogne sono ancora scoperte sulla spiaggia e la gente muore appestata; con tanto mare lì davanti, manca l’acqua potabile e la gente muore assetata! Nessuno ci pensa; nessuno se ne lagna. Pajono tutti pazzi, là, imbestiati nella guerra del guadagno, bassa e feroce!

 

Da Pirandello L., I vecchi e i giovani, in: http://www.liberliber.it, pp. 35-37.

Porto-Empedocle.jpg

Vita da contadino

Tranne il vigneto, cura appassionata e orgoglio di Mauro Mortara, e l’antico oliveto saraceno, il mandorleto e alcuni ettari di campo sativo e, giù nell’ampio burrone, l’agrumeto, che costituivano la parte di mezzo riservata a don Cosmo, tutto il resto era ceduto in piccoli lotti a mezzadrìa a poveri contadini, non dal principe don Ippolito direttamente, a cui anche quel fèudo apparteneva, ma da fittavoli di fittavoli, i quali non contenti di vivere in città da signori sulla fatica di quei poveri disgraziati, li vessavano con l’usura più spietata e con un raggiro intricato di patti esosi. L’usura si esercitava sulla semente e su i soccorsi anticipati durante l’annata; l’angheria più iniqua, nei prelevamenti al tempo del raccolto. Dopo aver faticato un anno, il così detto mezzadro si vedeva portar via dall’aja a tumulo a tumulo quasi tutto il raccolto: i tumuli per la semente, i tumuli per la pastura, e questo per la lampada e quello per il campiere e quest’altro per la Madonna Addolorata, e poi per San Francesco di Paola, e per San Calògero, e insomma per quasi tutti i santi del calendario ecclesiastico; sicché talvolta, sì e no, gli restava il solame, cioè quel po’ di grano misto alla paglia e alla polvere, che nella trebbiatura rimaneva sull’aje.
Il sole s’era già levato, e capitan Sciaralla vedeva qua e là, nella distesa delle terre, sprazzar di luce qualche pozza d’acqua piovana o forse qualche piccolo rottame smaltato. Tutta la campagna vaporava, quasi un velo di brina vi tremolasse. Di tratto in tratto, qualche tugurio screpolato e affumicato, che i contadini chiamavano roba, stalla e casa insieme, e usciva da questo la moglie d’uno dei mezzadri per legare all’aperto il porchetto grufolante, e tre, quattro gallinelle la seguivano; innanzi alla porta rossigna e imporrita di quello, un’altra donna pettinava una ragazzetta che piagnucolava; mentre gli uomini, con vecchi aratri primitivi, tirati da una mula stecchita e da un lento asinello che si sfiancava nello sforzo, grattavano a mala pena la terra, dopo quella prim’acquata della notte. Tutta questa povera gente, vedendo passare Sciaralla su la giumenta bianca, sospendeva il lavoro per salutarlo con riverenza, come se passasse il principe in persona.

 

Da Pirandello L., I vecchi e i giovani, in: http://www.liberliber.it, pp. 38-39.

Guida alla Lettura

1) La descrizione di Porto Empedocle dà un’immagine non solo visiva, ma anche sonora dell’imbarco dello zolfo.

  • Prova a disegnare la scena in base alla descrizione.

  • Se dovessi fare la colonna sonora della scena, quali suoni dovresti procurarti?

 

2) Secondo quanto denuncia il signor Pigna, perché i facchini devono caricare lo zolfo entrando nell’acqua anche d’inverno?

3) La gente di Porto Empedocle gode della ricchezza che proviene dallo zolfo? Come sono le sue condizioni sanitarie?

4) A chi va la maggior parte del raccolto dei contadini?

5) Sottolinea le parole scelte dall’autore per dare l’idea dell’estrema povertà della campagna attraversata a cavallo da capitan Sciaralla.

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