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Sei in: Fare l'Italia, fare gli italiani - Il biennio 1848-1849 - 2 SPAZI, TEMPI, EVENTI - 2.4 La Prima Guerra d'indipendenza - Manara va a difendere Roma 

Manara va a difendere Roma

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Particolare del monumento a Luciano Manara nei giardini pubblici di Porta Venezia a Milano. Nel rilievo è rappresentata la difesa di Roma (1849), 
durante la quale Manara fu ucciso.

In una lettera del 1° aprile 1849 a Fanny Bonacina Spini, Manara, distrutto dagli avvenimenti dei dieci giorni precedenti (lo sbandamento dell’esercito piemontese, la sconfitta di Novara, l’abdicazione del re Carlo Alberto per ottenere dagli austriaci condizioni di pace meno dure), scrive all’amica per raccontarle la sua preoccupazione per il futuro e la sua decisione di continuare a combattere dove ci sia ancora qualcuno che resista.

 

[…] Gli ufficiali Piemontesi (non so come io trovi il coraggio di continuare) fuggenti dal campo [di battaglia] ritornarono in carrozza alle loro aristocratiche famiglie e sghignazzano come di una vittoria.
Si attendono quanto prima imprigionamenti e processi contro i liberali come nel ventuno.
Solo pochi sono storditi dal dolore […]
Del resto la reazione è troppo violenta; il paese ora tace percosso dall’imponenza e dalla sorpresa d’una tanta sventura, ma già dappertutto sono i germi della guerra civile. Genova è chiusa e si difenderà, si fa marciare la Divisione che era a Piacenza per sottometterla. Gli alessandrini giurarono di farsi ammazzare piuttosto che cedere la fortezza. Dappertutto fuoco sotto la cenere. Dio sa a quante stragi quanto sangue è serbata la nostra misera Italia!
E noi?... noi nel patto dobbiamo essere scacciati, disarmati, disciolti senz’altro. E tanti ufficiali che lasciarono in altri paesi gradi e fortuna?... cacciati ad accattare: e i nostri poveri soldati?... gettati alla strada?
Ma io, quantunque mezzo zoppo da una ferita avuta da un cavallo alla gamba sinistra, mi sono portato a Torino, sono andato con gli occhi fuori dalla testa al Ministero e ho giurato a nome dei miei fratelli che mai se non morti avremmo deposto quelle armi che la patria ci aveva dato per difenderla.
Gridai, minacciai, e la paura che la Divisione possa marciare su Genova o far rumore in Piemonte, ha fatto sì che ci hanno segretamente concesso di portarci coi nostri cannoni e colle nostre armi in quel luogo che più ci piacerà. […]
Passeremo in Romagna; 9 mila uomini ben armati, vestiti, organizzati, con 24 pezzi di bellissimi cannoni e moltissimi cavalli possono fare qualche cosa a quei paesi che non hanno un soldato. […]
Ed io?... io compio fino all’ultimo la mia missione, conduco soldati là ove ci sia la probabilità di combattere, e se troverò in quei Governi un po’ d’ordine e di buona fede, continuerò a servire modestamente, ma onoratamente come ho fatto fin qui, se no... Dio sa cosa succederà di me.

Da Monti A., Quarantotto romantico ed eroico, Sansoni, Firenze 1948, pp. 165-167.

 

 

Guida alla Lettura

1) Quale giudizio emerge da parte di Manara sugli ufficiali dell’esercito piemontese?

2) Nel testo appaiono riferimenti a fatti accaduti o che stanno per accadere. Ricerca a che cosa si riferisce in altre unità.

  • Che cosa è successo nel «ventuno»? Che cosa teme ora Manara?

  • Che cosa succederà a Genova e perché Manara la chiama una guerra civile?

  • Perché c’è fuoco sotto la cenere? Quali danni porterà?

3) A chi si riferisce scrivendo «E noi»? Che cosa dovrebbe succedere a loro e perché?

4) Perché il ministero della Guerra concede il permesso a Manara e ai suoi uomini di andarsene dove più gli piace?

5) Va a vedere l’unità sulla Repubblica Romana. Ti sembra che Manara riuscì a trovare un governo con «un po’ d’ordine e di buona fede»? Che successe poi?

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