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Cinque giorni sulle barricate

Il 18 marzo 1848: la decisione dell’insurrezione e i primi scontri

Nella serata del 17 marzo i capi dei gruppi patriottici più risoluti presero la decisione dell’insurrezione: era una decisione rischiosa perché i patrioti non disponevano di armi, mentre le truppe austriache, al comando di Radetzky, consistevano in oltre 14.000 uomini, ben armati, con artiglieria e cavalleria e la possibilità di reparti di rinforzo da Monza, Lodi e Crema. La popolazione di Milano raggiungeva all’incirca i 160.000 abitanti, c’era quindi un soldato austriaco ogni dodici abitanti!
Il primo obiettivo degli insorti, che si mossero il 18 marzo verso mezzogiorno, era l’istituzione di una Guardia Civica, ma quando la folla, guidata dal podestà Gabrio Casati, giunse al Palazzo del governo lo trovò già occupato dagli esponenti più in vista del gruppo dei democratici, Agostino Bertani, Enrico Cernuschi e altri che, oltre alla Guardia Civica, avevano imposto anche la destituzione del capo della polizia, responsabile degli eccessi dei mesi precedenti, e il disarmo della polizia. Cominciarono nel frattempo i primi scontri, con armi sottratte agli austriaci, in vari quartieri e furono costruite le prime barricate.
Radetzky, ultraottantenne, ma esperto e risoluto, si rese subito conto di trovarsi di fronte a un movimento insurrezionale di vasta portata e prese decisioni importanti: promulgò lo stato d’assedio che rinforzava le misure repressive e rinforzò il controllo della città distaccando dal castello, sede principale del corpo militare, alcuni reparti lungo le mura spagnole, per impedire i contatti tra la città e il contado. Le sue truppe si abbandonarono ad arresti arbitrari e perquisizioni violente.
A sera mandò due reparti ad attaccare il Broletto, dove qualche centinaio di insorti aveva stabilito una sede di coordinamento e costrinse i patrioti alla resa dopo un’accanita resistenza. Ancora arresti, seguiti, nei giorni successivi, da processi sommari ed esecuzioni clandestine nei cortili del castello.
Gli insorti intanto costituivano il centro direttivo a Palazzo Taverna dove si erano riuniti Cernuschi, Casati e Luciano Manara e provvedevano a incrementare il numero delle armi rastrellando pistole e fucili dei privati e delle armerie, oltre a quelle tolte agli austriaci: a fine giornata c’erano circa seicento milanesi armati.

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La costruzione di una barricata. Litografia. Milano, Civica raccolta delle stampe A.Bertarelli.

Il 19 marzo 1848: il Consiglio di guerra e Carlo Cattaneo

Nella giornata del 19 Radetzky tentò di recuperare il controllo della città: dalle mura spagnole, che erano sotto il loro controllo, le truppe austriache tentarono di congiungersi con i reparti asserragliati in una quarantina di palazzi pubblici del centro, tra cui le caserme, le carceri, il Palazzo Reale e il Palazzo del Tesoro (oggi Palazzo Marino). Il tentativo fallì perché in città le barricate si moltiplicarono fino a diventare più di 1600, l’elemento decisivo dell’insurrezione. Vennero costruite con un’infinità di materiali: materassi, botti, armadi, tavoli, casse piene di ciottoli e mattoni, banchi di scuola e di chiesa, canne d‘organo, carrozze e carri. I collegamenti fra le barricate erano garantiti dai martinitt, i ragazzi dell’orfanatrofio milanese, utilizzati come staffette e portaordini. I reparti austriaci del centro rimasero privi di rifornimenti e non giunsero neppure i rinforzi che Radetzky si aspettava dalle altre città lombarde, perché l’insurrezione si era estesa a molti centri.
Via via che lo scontro militare si inaspriva gli insorti si rendevano conto della necessità di un forte coordinamento sia delle operazioni militari sia della difesa della popolazione. Cernuschi, Morosini e Manara interpellarono Carlo Cattaneo che fino a quel momento, da convinto riformatore qual era, era rimasto assai perplesso sulla possibilità di successo dell’azione insurrezionale. Cattaneo si decise ad assumere il coordinamento del Consiglio di guerra e da quel momento divenne la principale autorità politico-militare delle Cinque Giornate.

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Combattimento sul Corso di Porta Orientale presso San Babila, 19 marzo 1848, litografia colorata. Milano, Civica raccolta delle stampe A.Bertarelli

Il 20 marzo 1848: emergono le divergenze politiche tra gli insorti

Le difficoltà dei reparti ormai privi di rifornimenti costrinsero gli austriaci a lasciare il Palazzo Reale, il Broletto e gli altri edifici del centro ritirandosi a fatica nella piazzaforte del Castello. Sul Duomo i patrioti innalzarono il tricolore.
La giornata fu decisiva anche per gli insorti: emersero con forza le divergenze politiche fra i vari gruppi. Cattaneo e i democratici volevano dare una svolta decisamente rivoluzionaria all’insurrezione in modo da rompere definitivamente i rapporti con l’Austria. Cattaneo era anche fermamente contrario all’alleanza con Carlo Alberto e i piemontesi perché temeva che l’arrivo del re piemontese avrebbe soffocato la libertà popolare e impedito qualunque politica di riforme. Proponeva che qualunque decisione istituzionale fosse rimandata alla fine della guerra, quando la Lombardia fosse ormai libera e vittoriosa per il solo impegno dei patrioti lombardi.
Casati e i moderati speravano invece in un intervento di Carlo Alberto con le truppe piemontesi e, in mancanza di notizie certe, proponevano una linea di mediazione, con il rafforzamento delle istituzioni municipali, per mantenere una possibilità di dialogo con Radetzky nel caso riuscisse a riprendere il controllo della città. Nello schieramento di Casati si riconoscevano gli esponenti della nobiltà e della borghesia più ricca che temevano anche un allargamento dell’insurrezione ad obiettivi sociali.

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Insorti che combattono dai tetti. Stampa popolare. Milano, Civica raccolta delle stampe A.Bertarelli.

Il 21 marzo 1848: la giornata decisiva

I milanesi riuscirono a liberare tutto il centro, mentre intorno alla città si radunavano numerosi gruppi di contadini provenienti da tutto il contado, su sollecitazione dei parroci e dei proprietari terrieri. Molti sacerdoti infatti, ancora fiduciosi in Pio IX, si schierarono a fianco degli insorti. Gli studenti del seminario, guidati da Antonio Stoppani, parteciparono attivamente alla rivolta antiaustriaca, costruendo piccole mongolfiere che, volando fuori dalla città isolata, portavano messaggi di rivolta nelle campagne. Intanto il seminario era divenuto una specie di quartier generale dove potevano rifocillarsi ed essere medicati donne e uomini in cerca di riparo.
I rivoltosi giunti alle mura della città sparavano sugli austriaci, ancora padroni delle porte, che si trovavano quindi tra due fuochi. Radetzky, convinto ormai dell’inutilità della resistenza, anche per le notizie provenienti da Como, Lecco, Varese, Bergamo e Brescia e dalla Bassa Lombardia, dove prevalevano gli insorti, e preoccupato dell’intervento di Carlo Alberto, preparava la ritirata.

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La presa del Palazzo del Genio, 21 marzo 1848. Litografia colorata. Milano, Civica raccolta delle stampe A.Bertarelli

Il 22 marzo: la vittoria dei milanesi

Padroni ormai del centro, gli insorti attaccarono le porte dove si ebbe l’ultima resistenza austriaca, sostenuta dall’artiglieria.
Radetzky intanto radunava tutte le sue truppe, sia quelle di stanza a Milano sia quelle giunte dai presidi delle località vicine (circa 16.000 uomini stremati e affamati) nella piazza d’armi del Castello e iniziò nella notte l’evacuazione di Milano diretto a Lodi per ripiegare poi nelle fortezze del Quadrilatero (Peschiera, Mantova, Verona, Legnago). Negli scontri gli austriaci persero oltre seicento uomini, tra morti, feriti e dispersi. Alcuni testimoni, come Carlo Cattaneo, parlano addirittura di 4000 perdite.
I milanesi, che ebbero oltre trecento morti, si comportarono quasi con cavalleria verso gli austriaci senza abbandonarsi a vendette e ritorsioni. Gli austriaci, per ammissione degli stessi ufficiali, si abbandonarono invece ad eccessi contro donne, vecchi e ragazzi, sia in città sia nei paesi che attraversarono durante la ritirata verso Verona, dove arrivarono dopo sedici giorni.

L’Impero asburgico inviava nei diversi paesi truppe provenienti da paesi differenti per evitare che i soldati e la popolazione fraternizzassero e aumentare il controllo. Così nel Lombardo-Veneto i soldati austriaci erano in gran parte croati. In effetti questo aumentava la brutalità della repressione e alimentava l’ostilità della popolazione.

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Stampa popolare sulle crudeltà commesse dai croati. Litografia. Milano, Civica raccolta delle stampe A.Bertarelli

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