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L’impianto manualistico serve poco
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Bersaglieri e corazzieri
Fare l'Italia, fare gli italiani
Il processo di unificazione nazionale
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Un rimprovero di Garibaldi (A. Mario)
Dopo essere sbarcato in Calabria e aver conquistato Reggio, Garibaldi incarica Alberto Mario di ripassare lo Stretto per chiamare i rinforzi.
Appellatomi con cenno, mi commise di passare lo stretto e di ordinare al generale Milbitz l’immediato imbarco per la Calabria di seimila uomini e delle artiglierie.
Eseguii, ritornai, lo raggiunsi al di là di Scilla, ove dormì al rezzo d’una pergola a lato della strada.
Durante la toilette lo ragguagliai del fatto mio.
Ed egli: – S’imbarcarono subito?
– Subito.
– Assisteste allo sbarco?
– No. Ma a quest’ora...
Il pettine in mano, i capelli non ancora spartiti, interrompendomi a mezza frase:
– Io costumo, quando una cosa mi preme, di star sin ch’è fatta, e allora vivo sicuro che è fatta.
Sentendomi colorire il volto di tutte le tinte dell’iride, una dopo l’altra, gli risposi:
– Generale, non me lo direte due volte.
Taciturno e col capo chino quel giorno e l’altro non potevo estrarre dal cuore la spina del rimprovero.
Giusto e meritato senza dubbio; ma, dedotto da un ordine d’idee a cui il mio pensiero non s’innalzò, parevami caduto dalle stelle.
Militando con Garibaldi, reputasi soave parzialità della fortuna la visita d’una palla al paragone d’una censura, anche lieve, di lui.
Una forse tra le cause occulte diciò che il vulgo denomina – i suoi miracoli.
Da Mario A., La camicia rossa, 3° episodio “Veni, vidi, vici”, Edizioni Antilia, Treviso 2011, p. 93. Il testo è consultabile per intero qui.