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Sei in: Fare l'Italia, fare gli italiani - L'impresa dei Mille - 2 SPAZI, TEMPI, EVENTI - 2.9 Calabria e Basilicata - Garibaldi e l’ufficiale di re Franceschiello (A. Mario)

Garibaldi e l’ufficiale di re Franceschiello (A. Mario)

In Calabria Garibaldi vince quasi senza sparare un colpo. A lui e ai suoi volontari si arrendono i generali borbonici che comandano truppe meglio equipaggiate e più numerose. Come mai? Questo colloquio fra Alberto Mario e un ufficiale borbonico ci dice qualcosa al riguardo.

Rividi il conte C..., maggiore dei lancieri, già mio prigioniero. Mi ravvisò egli e strinsemi la mano con emozione, e fra l’altre cose mi disse: 
– Grand’uomo il vostro Garibaldi!
– Lo so.
– Ma agli occhi miei probabilmente per motivi diversi dai vostri.
– E perché no?
– A San Giovanni ci poteva schiacciare o mandar prigionieri in Sicilia. Quattromila nemici di meno! Qualunque generale l’avrebbe fatto. Egli tollerò, tacendo, le nostre provocazioni, e tre ore di offese. Questa sdegnosa magnanimità soggiogò l’animo dei nostri soldati più di tutte le sue vittorie.
– Affeddedieci il solo magnanimo nel suo campo! Se stava a noi, vi avremmo a suon di baionetta cacciati in seno al gran padre Oceàno.
– Evidentemente doveva essere il solo. Egli solo, comprendendo i tempi e il quarto d’ora, italiano contro italiani, divinò con súbita ispirazione tutti i risultati della rifiutata battaglia e della consentita libertà. Con un lampo di genio vide lo sfacelo delle nostre legioni diroccando l’una sull’altra, e in fondo del quadro il trionfo della sua idea trasfigurata in prodigio. […]
– Perché non vi unite al grand’uomo, campione della causa buona?
– Perché il giuramento, la gratitudine, la fede di gentiluomo mi legano al mio re.
– Tornate a casa o in campo?
– Vo a Monteleone per congiungermi al corpo di Viale. Persevererò finché avrò incontrata la morte. Voi morrete per la libertà, io pel dovere. Il vostro sepolcro sarà infiorato dalla lode; il mio non avrà che il compianto di qualche rara anima imparziale.
Io non so, ma le parole di codesto cavaliere della legittimità, di codesto paladino del dovere convenzionale, mi produssero una penosa impressione e mi destarono un interesse per lui molto affine alla tenerezza. Nel distaccarmi da esso avevo un groppo alla gola e gli dissi addio con voce commossa.
Pochi giorni appresso lo incontrai in altro campo sfortunato, ov’ei ripassò sotto le medesime forche caudine. Poscia riseppi che cadde trafitto nella battaglia del Volturno e che venne sotterrato con calce in una fossa promiscua fra mille cadaveri. E l’indistinta sepoltura contese alla sua reliquia la dolcezza del sognato compianto.

 

Da Mario A., La camicia rossa, Edizioni Antilia, Treviso 2011, pp. 94-96. Il testo è consultabile per intero qui.

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