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Sei in: Fare l'Italia, fare gli italiani - Il contesto, gli attori, il perché del Risorgimento italiano - 3.1 SOGGETTI E PROTAGONISTI - I padri della Patria - Popolarità e mito di Mazzini

Popolarità e mito di Mazzini

Popolarità e mito di Mazzini

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Primo incontro di Garibaldi e Mazzini

Per più di una generazione di patrioti risorgimentali Mazzini fu un maestro indiscusso. Il suo pensiero, che circolava con tutti gli strumenti di propaganda dell’epoca, offrì un’idea di patria, le motivazioni teoriche per ottenerla e gli strumenti organizzativi per raggiungerla. Si poteva non essere d’accordo con Mazzini, ma non si poteva ignorarlo e, se molti democratici alla fine presero le distanze da lui, all’inizio quasi tutti si formarono sul suo pensiero e furono disposti a morire per esso.

Fondamentale poi fu il ruolo di Mazzini nella formazione del Movimento Operaio in Italia. La sua idea di popolo, strettamente collegata a quella di patria, richiedeva infatti che anche le classi lavoratrici avessero un’istruzione e condizioni di vita accettabili. Così, le Società di Mutuo Soccorso, prime esperienze di associazionismo per rispondere alla necessità di autodifesa da parte del mondo del lavoro, nacquero mazziniane e solo dopo la morte del maestro si aprirono a ipotesi politiche di tipo socialista. Durante gli anni risorgimentali al mito positivo di Mazzini come guida e maestro si contrappose il mito negativo, condiviso dai nemici dell’unità ma anche dal governo sabaudo, di un tetro sovversivo sempre impegnato a cospirare contro l’autorità di qualunque sovrano e contro la loro stessa vita.

Dopo l’unità e dopo la sua morte, nel tentativo da parte delle istituzioni del nuovo Stato di costruire una memoria comune sorvolando sui contrasti, Mazzini venne gradualmente inserito nel padri della Patria.
Ai primi del XX secolo, avvicinandosi il centenario della nascita di Giuseppe Mazzini, Napoleone Colajanni, deputato repubblicano, sosteneva che la scarsa popolarità del patriota genovese era dovuta soprattutto alla non diffusione dei suoi scritti e alla non conoscenza del suo pensiero di educatore. Lo scopo dell’argomentazione era quello di promuovere l’adozione dei Doveri dell’uomo quale testo scolastico.
Ma nel giro di pochi anni la situazione mutò: la biografia di Bolton King e i testi critici di Gaetano Salvemini, Carlo Cantimori, Felice Momigliano diffusero la conoscenza dell’opera e del pensiero mazziniano, tanto che nel 1921 Alessandro Levi poteva delinearne «l’immagine sia di profeta dell’idea repubblicana che di padre della patria». Un’immagine di per sé doppia, di cui, secondo la visione politica dell’interprete e la convenienza di quella fase storica, verrà valorizzato un aspetto piuttosto dell’altro.
Da una parte Giovanni Gentile che, fin dal tempo della Grande Guerra, aveva avviato una rivisitazione in chiave idealistica e nazionalistica del pensiero mazziniano tale da esaltarne la religiosità e da farvi riconoscere una chiara anticipazione del mito fascista dello stato educatore e dell’uomo nuovo.
Dall’altra le associazioni che in Italia e all’estero si fecero portavoce della tradizione democratico-repubblicana: per esempio «la Mazzini Society attiva tra gli esuli antifascisti negli Stati Uniti, le brigate costituite nel nome dell’apostolo genovese durante la Resistenza e l’ancor oggi attiva Azione mazziniana italiana». 
Proprio da questa “ambivalenza mazziniana”, da questa rivendicazione di eredità che sia i fascisti sia gli antifascisti vollero vantare discende la posizione un pó marginale che l’esule genovese ebbe e continua ad avere nel pantheon dei padri della Patria, così come si è costruito nell’immaginario collettivo degli italiani.

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