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Sei in: Fare l'Italia, fare gli italiani - Gli stati preunitari: origine, restaurazione, moti liberali - 2 SPAZI, TEMPI, EVENTI - 2.5 Il Regno delle Due Sicilie - Il Regno delle Due Sicilie: l'Età napoleonica

Il Regno delle Due Sicilie: l’Età napoleonica

Le armate francesi di Napoleone entrarono in Napoli la prima volta nel gennaio del 1799, mentre i sovrani si erano già da mesi rifugiati a Palermo. Venne proclamata la Repubblica partenopea a cui aderirono intellettuali e docenti delle università napoletane, come il giurista Francesco Mario Pagano e l’economista e giurista Vincenzo Cuoco, professionisti (avvocati, farmacisti, medici, notai), molti militari e ufficiali tra cui il generale Francesco Caracciolo, funzionari, uomini di chiesa e letterati tra cui la scrittrice e giornalista Eleonora Fonseca Pimentel, popolani, artigiani, commercianti e aristocratici tra cui Luisa Sanfelice. Vennero subito avviate importanti riforme e vennero aboliti gli ordinamenti feudali, ma l’esperienza repubblicana durò meno di un anno: già nel dicembre dello stesso 1799 le Repubbliche sorelle crollarono in tutta Italia e a Napoli ritornò l’antico regime, anche se il sovrano rientrò da Palermo solo nel 1802. La fine della Repubblica partenopea fu caratterizzata da una repressione sanguinaria: furono processate oltre ventimila persone e ne vennero incarcerate ottomila. Le condanne a morte furono 124 (solo sei condannati graziati), 222 le condanne all’ergastolo, 322 a pene minori, 288 alla deportazione e 67 all’esilio. Un’intera generazione di intellettuali napoletani fu annientata. Le armate imperiali francesi rientrarono a Napoli nel 1806 e Napoleone, costituendo il Regno di Napoli, assegnò il trono in un primo tempo al fratello Giuseppe e poi, quando questi assunse la corona di Spagna nel 1808, al cognato, il generale Gioacchino Murat.

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Heinrich Schmidt, Ritratto di Gioacchino Murat, 1814, Palazzo Reale di Caserta

Il nuovo re per prima cosa riprese la politica di ammodernamento amministrativo, militare, giudiziario e tributario iniziata dalla Repubblica partenopea. Diede avvio a provvedimenti di riforma del latifondo e a opere pubbliche. I provvedimenti però furono a volte affrettati, modellati sulla legislazione francese e, in un Meridione con strutture ancora largamente feudali, risultavano estranei alla società. Murat, d’altra parte, era un generale e passò buona parte del suo regno in armi, al seguito del cognato. Affidò il governo del regno ai ministeri istituiti, ciascuno con un cospicuo numero di funzionari. Nonostante il tentativo di coinvolgere almeno i notabili del regno nelle nuove istituzioni, l’estraneità della popolazione e l’appoggio critico di molti intellettuali (tra cui Pietro Colletta, che pure era di idee illuministe) sfociò in diffuso malcontento e nella creazione di molte bande di briganti. La risposta di Murat fu una dura repressione del brigantaggio affidata al generale Manhès che in tre anni stroncò il fenomeno con circa tremila morti ed episodi di ferocia inaudita. Gli ultimi mesi del regno di Murat furono convulsi: dopo la sconfitta di Napoleone nella campagna di Russia, Gioacchino Murat tentò di salvare il proprio regno e nel 1814 sottoscrisse un trattato con l’Austria. Tentò poi di presentarsi come paladino di una possibile unificazione degli italiani nel famoso proclama di Rimini (30 marzo 1815). Tutto vano: Murat fu sconfitto dagli austriaci a Tolentino e poi a Pizzo Calabro dove fu fucilato il 13 ottobre 1815.

Immagine di pubblico dominio.

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