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Sei in: Fare l'Italia, fare gli italiani - Il contesto, gli attori, il perché del Risorgimento italiano - 3.2 SOGGETTI E PROTAGONISTI - I patrioti - Documenti degli esponenti della corrente moderata

Documenti degli esponenti della corrente moderata

Marco Minghetti e il decentramento amministrativo

Cavour aveva proposto il 13 marzo 1861 un disegno di legge che «consisteva nel riunire insieme in consorzi obbligatori e permanenti quelle province che fossero più affine tra loro per natura di luogo, per comunanza d’interessi, di leggi, di abitudini».
Il disegno di legge non poté essere sottoposto alla Camera per la morte improvvisa di Cavour e quando Minghetti presentò un analogo progetto di legge dopo un lungo dibattito fu bocciato. Il progetto federalista di Minghetti prevedeva: «[…] un ordinamento che consenta di conservare le tradizioni e i costumi delle popolazioni locali. Ad ogni Grande Provincia dovrà spettare il potere legislativo e l’autonomia finanziaria per quanto riguarda i lavori pubblici, l’istruzione, la sanità, le opere pie e l’agricoltura. Le Grandi Province e i Comuni dovranno ampliare […] le rispettive basi elettorali estendendo il diritto di voto a tutti […] senza escludere gli analfabeti. I sindaci non saranno più di nomina regia ma dovranno essere nominati dal consiglio comunale regolarmente eletto. Allo Stato spetteranno soltanto la politica estera, la difesa, i grandi servizi di utilità nazionale (ferrovie, poste, telegrafi e porti), nonché un’azione di vigilanza e controllo sull’operato degli enti locali».

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G. Riccio, Ritratto di Marco Minghetti

Massimo D’Azeglio, esponente del liberalismo moderato

[…] Costretto da necessità di salute a tenermi lontano dal nuovo Parlamento, ho voluto unirmi almeno col pensiero e coll’opera, a’ miei colleghi che trattano delle cose pubbliche in queste così splendide e felici circostanze, ed esaminare anch’io alcune di quelle questioni che presto devono venir risolute.
So ch’io metto il dito su passioni irritabili, che non amano di sentirsi discutere; e prevedo che mi si desterà contro un vespaio.
Ma bisognerà pure che in Italia cominciamo ad avvezzarci gli uni a parlare, e gli altri a lasciar parlare: gli uni a dir ragioni, e gli altri a risponderne, senza voler soffocar la voce di nessuno con filze d’aggettivi, o spauracchi d’impopolarità. Bisognerà pure ad ogni modo, dopo avere per tanti anni sudato onde liberarci dalle censure degli Ispettori di Polizia e de’ Maestri del Sacro Palazzo, ci risolviamo altresì a far testa alle censure delle sètte, delle sagrestie, degli interessi di vanità, d’influenza, di borsa. Bisognerà pure alla fine risolversi ad essere un popolo libero ed indipendente davvero, ed a prenderne gli usi, la lingua, il modo di trattare, e di vivere; ad assumere quella dignitosa indipendenza di carattere, che è la più nobile proprietà d’un uomo: proprietà che nessun decreto può dare, nessun tribunale guarentire, se non sa ognuno possederla e difenderla per virtù propria: proprietà che innalza l’uomo alla giusta stima di se stesso; […] non è del parere né di chi più grida, né molto meno di chi minacciasse: non prende infine le opinioni bell’e fatte da nessuno, ma cerca farsele da sé coll’intelletto e colla coscienza propria; ed una volta fatte, le manifesta senza timidità, come senza arroganza, non occupandosi punto se sian seguite da molti o da pochi, se piacciano o dispacciano, e se possano procurare a chi le professa applausi o fischi, utile o danno. […]

Da D’Azeglio M., Questioni urgenti. Pensieri di Massimo D’Azeglio, G. Barbèra Editore, Firenze 1861, in: http://it.wikisource.org

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Francesco Hayez, Ritratto di Massimo D’Azeglio, 1860

Cesare Balbo e l’idea di decentramento

CAPO QUINTO


DELLA CONFEDERAZIONE DEGLI STATI PRESENTI

[…]

2. Ora quando un’opinione si vien facendo universale, ella non tarda a trovare un interprete. E questa dell’ordinare sul presente il futuro della nostra Italia ne ha trovato uno eloquentissimo, il Gioberti. Noi riconoscemmo già in lui merito d’aver parlato il primo opportunamente delle cose future italiane. Riconosciamogliene ora un altro; d’averne parlato secondo giustizia, fondando le speranze future su’ diritti e doveri presenti, proponendo una confederazione degli Stati ora esistenti.

3. Le confederazioni sono l’ordinamento più conforme alla natura ed alla storia d’Italia. L’Italia, come avverte bene il Gioberti, raccoglie da settentrione a mezzodì provincie e popoli quasi così diversi tra sé, come sono i popoli più settentrionali e più meridionali d’Europa; ondeché fu e sarà sempre necessario un governo distinto per tutte o quasi tutte queste provincie. E come in Europa rimasero, salvo le brevi eccezioni, quasi sempre distinte quelle sue divisioni di Britannia, Gallia, Spagna, Germania, Italia e Grecia; cosi nell’interno della penisola nostra rimasero quasi sempre distinte: la punta meridionale, la valle Tiberina co’ suoi monti e sue maremme, il bel seno dell’Arno, e l’Italia settentrionale divisa o non divisa in occidentale ed orientale; la Magna-Grecia o Regno di Napoli, il Lazio o Roma, l’Etruria o Toscana, la Liguria o Piemonte, la Insubria o Lombardia, con nomi e suddivisioni varie ma tornanti alle primarie. […]

 

Da Conte Cesare Balbo, Delle speranze d’Italia, Tipografia Elvetica, Capolago (Cantone Ticino) 1844, pp. 35-37, in: http://books.google.it

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Cesare Balbo in una litografia del 1848

Vincenzo Gioberti e il federalismo neoguelfista

[…] Io credo che il principio dell’unità italiana debba essere reale, concreto, vivo e ben radicato; non astratto e in aria; perché gli Stati non si governano colle chimere, né colle astrazioni. Principio di unione vuol dir germe e causa di essa; cioè una tale unità preesistente e effettiva, che divenga, esplicandosi, nazionale e politica, e contenga in se stessa il moto produttivo di questo esplicamento. Molti collocano siffatta unità nel popolo italiano; il quale, al parer mio, è un desiderio e non un fatto, un presupposto e non una realtà, un nome e non una cosa, e non so pur se si trovi nel nostro vocabolario. V’ha bensì un’Italia e una stirpe italiana congiunta di sangue, di religione, di lingua scritta ed illustre; ma divisa di governi, di leggi, d’instituti, di favella popolare, di costumi, di effetti, di consuetudini. La congiunzione fa di questa schiatta un popolo in potenza: la divisione impedisce che lo sia in atto. Se gl’italiani fossero un popolo effettivo, sarebbe vano e ridicolo il voler dar loro quella unità, che già possederebbero. […] L’azione civile del papa non dee ripugnare al suo carattere spirituale e pacifico, come supremo pastore della Chiesa; e vi ripugnerebbe, se il padre comune dei cristiani suscitasse i popoli contro i principi. Anche quando la barbarie dei tempi, la fierezza dei costumi, i modi rotti e scomposti dei dominatori richiedevano un freno più puro e spedienti più efficaci, il papa non fu mai violatore delle sovranità nazionali, né esercitò sui regnanti alcun imperio, che non fosse da quelle consentito e approvato; onde eziandio deponendo i principi, secondo il gius delle genti allora dominante in Europa, egli osservava al possibile i diritti del principato e delle famiglie, che ne godevano il possesso, governandosi presso a poco col senno del parlamento francese, che sforzato, due lustri sono, ad esautorare un re mancatore dei patti e seminatori di liti, e con esso i reali imbevuti delle stesse massime e infesti ai diritti nazionali, mantenne tuttavia ai Borboni il privilegio dato loro ab antico, esaltando al trono il ramo prossimo succedituro. La medesima saviezza, e moderazione si scorge nei papi del medio evo. Non è adunque col suscitare i sudditi contro i sovrani, che il pontefice può salvare l’Italia; ma sì bene, recando a pace e a concordia durevole i principi e i popoli della penisola, e rendendo indissolubili i loro nodi, mediante una lega degli Stati italici, della quale egli è destinato dalla Providenza ad esser duce e moderatore. Che il papa sia naturalmente e debba essere effettivamente il capo civile d’Italia, è una verità provata dalla natura delle cose, confermata dalla storia di molti secoli, riconosciuta altre volte dai popoli e dai principi nostrali, e solo messa in dubbio, da che gli uni e gli altri bevvero ad estere fonti e ne derivarono il veleno nella loro patria. […]

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Vincenzo Gioberti

Da Smith D.M., Il Risorgimento italiano. Storia e testi, Laterza, Roma-Bari 1976, pp. 102, 113.

Guida alla Lettura

Dopo aver letto i documenti tratti da opere dei pensatori moderati esaminati, sottolinea in ogni testo le parole o/e le righe che richiamano l’idea politica di ciascuno di loro, indicata nel titoletto d’apertura.
Al termine prova a spiegare con le tue parole, perché si consideravano moderati, liberali e federalisti.

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