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Sei in: Fare l'Italia, fare gli italiani - Il contesto, gli attori, il perché del Risorgimento italiano - 3.2 SOGGETTI E PROTAGONISTI - I patrioti - Anticlericalismo risorgimentale

Anticlericalismo risorgimentale

Maurizio Maggiani (Castelnuovo Magra, 1951) ha vinto diversi premi letterari, tra il quali lo Strega e il Campiello. Questo articolo, scritto per «La Stampa», si ricollega all’argomento del suo libro Trafila pubblicato nel 2011. Il libro racconta i quattordici giorni dell’agosto 1849 durante i quali un’intera popolazione cooperò per portare in salvo il Generale accerchiato dall’esercito austriaco.

Dal Generale a Cavour, le rivoluzioni risorgimentali sono percorse da un gagliardo moto anticlericale. Eppure...

 

MAURIZIO MAGGIANI

La Stampa 30/05/2011

Rossetti_-_Il_frate_garibaldino_Pantaleo

Rossetti, Il frate garibaldino Pantaleo benedice i Mille, litografia, 1861

volontari del reggimento novarese dei Cacciatori (delle Alpi) che accorrevano alla difesa della Repubblica Romana marciavano per le strade d’Italia cantando la loro canzone di battaglia: «A Roma a Roma ci sta un Papa / Che di soprannome si chiama Pio Nono / Lo butteremo giù dal trono / Che Papi in Roma non ne vogliamo più… / … lo butteremo in una pignatta / Che brutta vacca buon brodo ci darà…».

E non scherzavano.

Il programma di riforma della Società Nazionale, di cui Giuseppe Garibaldi era stato «strumentalmente» nominato presidente dai moderati filo-piemontesi, era stato stilato dal Generale in due soli e granitici punti: 1) sottoscrizione mondiale per l’acquisto di 2 milioni di fucili (o 5 milioni, a seconda del momento) necessari alla rivoluzione nazionale; 2) concentramento nelle paludi pontine dei preti abili al lavoro per essere assegnati alle opere di bonifica.

Del resto, vicino alla fine, il Generale ha lasciato per voce e per iscritto diverse e contrastanti disposizioni circa se stesso e le sue spoglie – accarezzando anche l’idea di essere bruciato su una pira perché le proprie ceneri venissero raccolte in alcune migliaia di piccole confezioni in modo da accontentare gli ammiratori di tutto il mondo che reclamavano una particola dell’Eroe – ma alla fine, esausto di tutta quell’incertezza attorno a lui, finì con l’arrendersi e lasciò detto alla famiglia che facessero pure di lui ciò che volessero, ma a una condizione: «non mi si lasci avvicinare da un prete quando non potrò più cacciarlo via con le mie forze». Il Generale la pretaglia non la poteva soffrire, e nemmeno i suoi garibaldini, e non certo la carboneria massonica, e gli iscritti alla Giovane Italia, pur essendo il pensiero mazziniano profondamente segnato dai temi spirituali, e il suo tricolore portasse il motto: «Dio e Popolo». Appunto, Dio e Popolo, senza intermediari e gerarchie di mezzo. E, se è per questo, i preti non erano graditi neppure al gusto del conte sabaudo e primo ministro Camillo Benso (Cavour); oltretutto, lui, doveva le fortune di famiglia alle terre che Napoleone aveva confiscato alla Chiesa.

[…]

Eppure…

Eppure, al capo del letto dove il Generale morì, c’era il ritratto di un prete, un prete che aveva al capo del suo letto un ritratto del Generale. Don Giovanni Verità, che portò a salvamento Garibaldi nelle tragiche contingenze dell’estate del ’49 in Romagna, caricandoselo sulle spalle e traghettandolo oltre il fiume; e per cui il Generale fece atto di riconoscenza e di stima per tutta la sua vita. Eppure, Garibaldi dovette ancora la salvezza nell’estate romagnola a un altro prete, don Ugo Bassi, che fu fucilato senza processo, solo perché sospettato di quel che aveva fatto.

Eppure...

Eppure, i garibaldini hanno sempre avuto un loro cappellano durante le molte loro campagne. Il più famoso è stato fra Pantaleo, che da Calatafimi ha celebrato, e predicato, e combattuto con Garibaldi fino alla battaglia di Digione in difesa della rivoluzione francese. C’è un suo ritratto mentre eleva l’ostia sacra avendo alla cinta che gli stringe la veste due pistole con il cane armato. Fra Pantaleo, che voleva fondare la Chiesa del Popolo e morì senza neppure i soldi per essere sepolto, perché «nulla chiese e nulla gli fu dato» per tutta una vita consumata in nome dell’Italia e della libertà.

Eppure...

Eppure la rivoluzione italiana è piena di preti, preti combattenti dalla parte giusta, per così dire. Le rivoluzioni siciliane del ’48 e del ’60 furono sostenute e predicate da centinaia di preti e frati; furono loro (…) a instillare nei contadini la fame di libertà oltre che di pane. Come dice nelle sue memorie di Sicilia il garibaldino Bandi, che preti e frati era stato uso a prenderli a sberle come profilassi (cura) preventiva, «una predica di questi benedetti uomini vale più di cento fucili».

[…]

La Rivoluzione italiana è stata piena di preti perché, come tutte le rivoluzioni, fu non solo militare e politica, ma anche culturale, spirituale, sessuale. E i preti del Risorgimento, giovani e giovanissimi come ogni altro rivoluzionario, erano i ragazzi mandati a studiare nei seminari, dove si pregava, ma si leggeva e studiava, si discuteva ogni cosa possibile anche se non raccomandata o addirittura proibita. Erano quei preti, per così dire, forza intellettuale di massa, l’intellettualità di base organica alla rivoluzione. Ben pochi di loro lasciarono la veste talare (smisero di essere preti).

Guida alla Lettura

1) Perché secondo te i patrioti risorgimentali sono stati in grande maggioranza contro il papa e contro i preti?

2) Quale lavoro più utile avrebbero dovuto fare i preti secondo Garibaldi?

3) Il fatto che fossero contro la Chiesa cattolica voleva dire che non credessero in Dio e non fossero religiosi? Come potevano conciliare le due cose?

4) Di quali preti amici di Garibaldi parla il testo? Scopri in che modo lo hanno aiutato leggendo le loro biografie nel testo o su Wikipedia.

5) Alla fine come fu il funerale di Garibaldi? Scoprilo nella sua biografia (fare il collegamento ipertestuale).

6) Perché secondo l’articolo molti preti si schierarono con i patrioti e combatterono nelle battaglie del Risorgimento?

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